PERUGIA-ASSISI, UNA GIORNATA CHE DIVENTA “SCELTA DI VITA PER COSTRUIRE LA PACE” da IL MANIFESTO
Perugia-Assisi, una giornata che diventa «scelta di vita per costruire la pace»
Dall’«Assemblea dell’Onu dei Popoli» alla storica marcia in programma oggi Yara Abushabi, studentessa palestinese: «C’è un po’ di gioia, ma aspettiamo la fine dell’occupazione». Flavio Lotti: «Il cessate il fuoco è molto positivo; i palestinesi ne avevano bisogno, il mondo ne aveva bisogno. Non è però ancora un accordo di pace: non si fonda sul riconoscimento della dignità e dei diritti del popolo palestinese»
Marinella Correggia 12/10/2025
PERUGIA
Possono diventarne membri delle Nazioni unite, sancisce la Carta istitutiva, «tutti gli Stati amanti della pace». Ma se questi ultimi continuano a comportarsi da attori belligeranti, spetta ai popoli, «decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra» (come recita il Preambolo) diventare protagonisti.
Ecco il senso dell’«Assemblea dell’Onu dei popoli», tenutasi nei giorni scorsi a Perugia, con tante sessioni, innumerevoli ospiti da 35 paesi e un focus importante sui giovani, sull’economia, contro il riarmo. Oggi si svolge la storica marcia Perugia-Assisi, un’assemblea itinerante che, spiega Flavio Lotti, presidente della Fondazione PerugiAssisi per la cultura della pace, «ogni anno rinnova la sfida a chi cammina: trasformare l’impegno di una giornata in una scelta di vita per costruire la pace». Che non c’è. Anzi.
«Viviamo seduti su un’enorme polveriera. Siamo ormai al consumismo bellico», ha sottolineato Nicolas Marzolino dell’Associazione italiana vittime civili di guerra. Nel 2013 a 15 anni in Val Susa incappò in una bomba a mano della seconda guerra mondiale perdendo la vista e una mano: «Le guerre vanno avanti a lungo dopo gli accordi che le concludono». Il suo invito: «Abbiamo il dovere di mettere i nostri talenti al servizio della pace, mentre i conflitti affliggono 31 paesi». Anche dove si crede tutto concluso: Saadia Kouti, dell’Unione delle municipalità della Siria nord-occidentale, punta il dito sulla Turchia, sul nuovo regime di Damasco e sugli Stati che rifiutano di riprendersi i loro cittadini già membri dell’Isis.
Per uscire dal paradigma della guerra, Issakha Koka Adouma, sindaco di Pikine est in Senegal avanza tre proposte. Primo, gli Stati spostino la barra sulle spese civili; secondo, «l’Unione africana si trasformi in ambasciatrice mondiale di pace»; terzo, i territori siano attori primari di cambiamento. Davanti al riarmo in Europa, Teresa Masciopinto presidente della Fondazione Banca etica sottolinea: «Per non rischiare di finanziare le guerre con i nostri risparmi, occorre l’attivismo delle scelte, fare politica, pretendere la trasparenza». Una delle sessioni dell’assemblea dei popoli si è intitolata «salvare l’Onu, la nostra casa comune», che certo ha bisogno di una profonda riforma ma anche dell’impegno degli Stati. E a quando un ministero della pace in tutti i paesi?
Come insegna dalla Colombia la Comunità di San José de Apartado, sopravvissuta a 60 anni di conflitto grazie alla sua difficile «scelta di essere neutrale e di non usare le armi», «i civili possono essere protagonisti nel superamento delle guerre», secondo Alberto Capannini dell’Operazione Colomba, presente da decenni in tanti scenari di conflitto: «Spesso non sappiamo cosa fare. Ma almeno scegliamo di vivere con le persone che si trovano in luoghi di guerra».
Come fanno tanti operatori della salute che hanno raccontato a Perugia il loro lavoro e la loro esperienza di vita. L’anestesista di Emergency Esmati Shekiba in Afghanistan. L’infermiera Manahel Badr Saad Ali del Salam Hospital (sempre di Emergency) in Sudan, una tragedia umanitaria fra le più acute al mondo. Il chirurgo De-Jospeh Kakisingi, dal Kivu nella Repubblica democratica del Congo dove le milizie continuano ad avanzare e le persone sono prive di aiuti umanitari da molti mesi. E studia medicina Yara Abushabi, studentessa di Gaza. Nell’ottobre 2023 era da poco in Italia, dove è rimasta. La sua università, la sua casa, molti suoi parenti non ci sono più. Ma «forse sentite un po’ di gioia nella mia voce. Anche se siamo convinti che il primo vero giorno di pace sarà l’ultimo giorno di occupazione».
Per la Palestina, diventata emblema di tutte le guerre, c’è una svolta? Flavio Lotti: «Il cessate il fuoco è molto positivo; i palestinesi ne avevano bisogno, il mondo ne aveva bisogno. Non è però ancora un accordo di pace: non si fonda sul riconoscimento della dignità e dei diritti dei palestinesi. E non dimentichiamo quanto accade nella West Bank».
No Comments