LA FAME A GAZA E LA COMPLICITÀ DEI PAESI TERZI. OHCHR: PRIMA O POI FINIRANNO TUTTI IN TRIBUNALE” da IL MANIFESTO e IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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LA FAME A GAZA E LA COMPLICITÀ DEI PAESI TERZI. OHCHR: PRIMA O POI FINIRANNO TUTTI IN TRIBUNALE” da IL MANIFESTO e IL FATTO

La fame a Gaza e la complicità dei paesi terzi. Ohchr: «Prima o poi finiranno in tribunale»

Palestina Intervista a Ajith Sunghay, responsabile dell’Alto Commissariato Onu per i diritti umani per i Territori palestinesi occupati: «Solleviamo la questione con tutti i leader dei paesi che incontriamo, Gaza è in cima alla lista. Alcuni ascoltano, altri agiscono, altri no. Intanto, sul terreno, la situazione deteriora»

Chiara Cruciati  26/06/2025

Martedì l’Ufficio dell’Alto Commissariato Onu per i diritti umani ha definito la militarizzazione israeliana degli aiuti a Gaza un possibile crimine di guerra. Ne abbiamo parlato con Ajith Sunghay, responsabile dell’Ohchr per i Territori palestinesi occupati.

Può entrare nei dettagli?

Noi segnaliamo che certe azioni potrebbero ammontare a crimini di guerra: uccidere civili che non rappresentano una minaccia ma che stanno solo raccogliendo aiuti umanitari in una situazione di scarsità e di denutrizione. La decisione finale, dire se si tratta o meno di crimini di guerra, spetta ai tribunali internazionali. Ma il diritto è chiaro: il cibo non può essere usato come arma di guerra. L’Alto Commissariato lo ha ripetuto molte volte, come ha ribadito che l’assistenza umanitaria deve essere gestita da soggetti neutrali come l’Onu, non da un esercito. Deve arrivare alle comunità, direttamente. Quello che c’è ora a Gaza sono tre, quattro centri per 2,2 milioni di persone: significa un centro ogni 550mila persone. È ovvio che si generi il caos e che le persone siano costrette a scegliere tra il rischio di essere uccise da una pallottola o di morire di fame.

È dal 2 marzo scorso che Israele ha imposto il blocco pressoché totale degli aiuti.

La Gaza Humanitarian Foundation fornisce un po’ di cibo, mentre all’Onu non è permesso far entrare i propri camion, se non un rivolo. C’è una carenza seria di cibo, medicine, acqua potabile. Il mix di carenza e fame genera il caos. Chi riesce a prendere qualcosa? I giovani uomini in grado di restare tutta la notte in fila. Donne, bambini, anziani, disabili, feriti che sono decine di migliaia…come ci si può aspettare che vadano a combattere per il cibo in quelle condizioni? Non è teoria, è quello che avviene ogni giorno.

La Ghf, come dice, consegna solo poco cibo. Non consegna né acqua né medicine.

Qualche medicinale entra ma è totalmente insufficiente a soddisfare i bisogni. Il problema non è solo il numero di camion che entrano a Gaza, ma anche cosa c’è dentro.

Come scrivete nel comunicato, prima del blocco Israele ha distrutto sistematicamente la produzione locale. Che strategia è stata adottata?

Dopo 21 mesi le infrastrutture civili sono distrutte e i campi contaminati, ci sono ordigni inesplosi in tutto il territorio e l’80% di Gaza è zona militare o sotto ordine di sfollamento. Con solo il 20% di terra a disposizione come si può pensare di coltivare qualcosa? I camion della Fao con il mangime per gli animali aspettano fuori dai valichi. Dentro non c’è produzione alimentare e le cucine comunitarie sono state più volte prese di mira e distrutte. Gaza oggi è dipendente dagli aiuti al 100%. Che si tratti di un’azione intenzionale…beh, molti dei commenti dei leader israeliani sono preoccupanti: all’inizio, soprattutto, parlavano di radere al suolo Gaza, di renderla invivibile così che la gente la lasciasse. Tagli l’acqua, tagli il cibo…sorgono delle domande.

Parlate anche di obblighi degli stati terzi. Il loro mancato rispetto che conseguenze può avere?

Gli obblighi degli stati terzi sono menzionati nella Convenzione di Ginevra. Possono fare pressione economica, agire sugli accordi bilaterali. Soprattutto i paesi che hanno una maggiore influenza. In ogni caso, davanti ai tribunali, la questione sarà sollevata: che tipo di supporto i paesi terzi hanno dato, quale complicità hanno avuto.

Avete un canale di comunicazione aperto con Israele e con altri paesi?

L’Ohchr solleva la questione con, letteralmente, tutti i leader dei paesi che incontra. Gaza è in cima alla lista. Ne parla in comunicati pubblici, al Consiglio Onu per i diritti umani, negli incontri bilaterali.

E cosa rispondono?

Sanno tutti di avere un ruolo da giocare. Ogni paese dà risposte diverse e ha influenza diversa. Alcuni ascoltano, altri agiscono in qualche modo, altri no. Intanto però, sul terreno, la situazione deteriora e basta.

Intanto anche in Cisgiordania assistiamo a un’escalation nel trasferimento forzato di comunità palestinesi e nelle demolizioni e le distruzioni. Lo stesso a Gerusalemme.

Non va mai persa l’attenzione su Cisgiordania e Gerusalemme est. Molto prima del 7 ottobre, registravamo demolizioni di case, sgomberi, sfollamento forzato. Oggi ci sono interi campi profughi demoliti, comunità cacciate, violenza massiva dei coloni, decine di arresti ogni giorno, civili uccisi, compresi bambini. Gli attacchi ai villaggi e la distruzione delle risorse idriche e delle greggi rendono molto difficile per i palestinesi rimanere. Le intenzioni sono chiare, Israele lo ha detto: imporre la sovranità israeliana in Cisgiordania entro il 2025.

Gli altri. Dei morti che camminano, i gazawi, non importa a nessuno

 Paolo Mocchi  26 Giugno 2025

In Israele-Palestina ci sarà pace solo quando rinascerà la consapevolezza dell’esistenza dell’altro. Il concetto di alterità, ancorché fortemente ridotto, nel quale le due parti hanno vissuto negli ultimi 80 anni, oggi è sicuramente azzerato. Leggendo il “Diario da Tel Aviv” di Manuela Dviri, che analizza lo stato d’animo di una israeliana, penso agli altri, ai gazawi. Nessuno di loro è in pensiero per gli amici o per i propri cari perché esserlo implica un’incertezza sul futuro. Per i gazawi invece c’è solo la certezza della morte, ora o domani.

Non ci sono palazzi mezzi squarciati, un ospedale mezzo distrutto, alcune auto schiacciate. Tutti i palazzi, tutti gli ospedali, tutte le auto sono rase al suolo. È Dresda hic et nunc. Non c’è qualche missile che li colpisca, ma raffiche di missili che producono “effetti collaterali”. Nessuno sta chiuso una mezz’ora nel “mamad” di casa perché non solo non c’è, ma non esistono case dove mangiare, bere, dormire, riunirsi, vivere. I cellulari non hanno la funzione preventiva di avvertire l’arrivo dei missili, ma sono solo bollettini di morte, comunicano che l’amico o il parente è “stato neutralizzato”. Dopo i missili nulla torna normale, perché non c’è vita, ma solo una limitatissima sopravvivenza. Non ci sono lavoratori perché non c’è lavoro, non ci sono ancora turisti perché “bisogna ancora finire il lavoro”. Non ci sono genitori e figli rimasti dai nonni. I figli restano senza genitori e viceversa e i sopravvissuti come automi vagano tra le macerie. Tutti sono esposti, 24 ore al giorno, al fuoco dei cecchini che sparano. Meglio se un solo colpo alla testa o al cuore di bambini, come testimoniato dai medici. Nessuno organizza viaggi di ritorno perché non c’è stato nessun viaggio di andata. Dalla prigione a cielo aperto più grande del mondo nella quale i gazawi hanno vissuto negli ultimi venti anni, l’organizzazione ha previsto il passaggio al cimitero a cielo aperto più grande del mondo. Nessuno ha perso il sonno perché perdere il sonno implica il susseguirsi dei ritmi biologici quali l’alzarsi, il mangiare, il bere, il dormire. Qui nulla è fisiologico, tutto è patologico. Il tempo che è scandito dai concetti di ieri, oggi, domani a Gaza non esiste. Per i gazawi esiste solo l’oggi e il fatto di essere vivi, ma ancora per quanto? La nausea non è lieve e temporanea, ma costante e fortissima. Il sogno non esiste perché sognare implica vivere oggi e sperare in un domani migliore. I gazawi non essendo portatori di interessi non interessano a nessuno. Soli e indifesi, sono morti che camminano.

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