Università. Il declino nel silenzio dei partiti
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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Università. Il declino nel silenzio dei partiti

di Piero BEVILACQUA, da “il manifesto”, 11 gennaio 2018

A proposito della proposta di Pietro Grasso, di abolire le tasse universitarie, forse la novità più rilevante da segnalare è che in Italia il ceto politico si sia ricordato dell’esistenza dell’università. Perché sono più di dieci anni che le burocrazie ministeriali stanno realizzando gli indirizzi della riforma Gelmini nel più assoluto silenzio/assenso da parte del Partito Democratico e di tutti gli altri partiti, non esclusi i 5 Stelle. Un silenzio che ha coperto il più vasto e grave ridimensionamento delle strutture complessive dell’università che si sia mai verificato nella storia dell’Italia contemporanea.

Tra il periodo 2004-2008 e il 2014-15 le dimensioni e le risorse hanno perso 1/5 della loro consistenza. Gli atenei italiani hanno visto diminuire il numero degli immatricolati del 20%. Come ha ricordato Gianfranco Viesti, in un denso volume da lui curato ( Università in declino, Donzelli), sovranamente ignorato dai partiti e da gran parte dei nostri media: «Per la prima volta negli oltre 150 di storia d’Italia il numero degli studenti universitari si riduce».

Nello stesso periodo è diminuito del 17% il numero dei docenti, del 18% i quadri del personale tecnico-amministrativo, del 22, 5%, il fondo del finanziamento ordinario. Quest’ultimo dato è illuminante della direzione che i gruppi dirigenti intendono assegnare al nostro Paese in Europa, se pensa che nello stesso periodo, in Germania, il finanziamento pubblico è stato incrementato del 23 %.

In questo quadro spicca in maniera particolare quello che si configura come un vero e proprio sbarramento classista eretto contro la mobilità sociale delle nuove generazioni. Non si tratta solo dei cervellotici numeri chiusi posti all’ingresso delle varie facoltà, che costringe tanti nostri studenti a emigrare. Quanto dell’innalzamento spropositato delle tasse universitarie cresciute nel periodo di oltre il 57% , mentre le risorse per borse di studio restavano ferme a circa 180 milioni tra fondi nazionali e regionali. Cifre miserrime di fronte ai 2 miliardi di Francia e Germania e persino al miliardo della Spagna. Un vero e proprio sabotaggio del diritto allo studio, che viola la Costituzione, se si pensa alle strutture di sostegno destinate agli studenti fuori sede: solo il 2% di essi è infatti assegnatario di un posto di alloggio nelle residenze universitarie. E naturalmente l’emarginazione si fa più pesante nel Sud, dove il 40% degli studenti aventi diritto rimane escluso, 60% nelle isole. Come ha mostrato sempre Viesti la penalizzazione del Mezzogiorno è stata più ampia e marcata su quasi tutti gli aspetti, contribuendo ad accrescere il divario complessivo con Centro-Nord.

Che cosa significano tutti questi dati se non il disegno evidente delle classi dirigenti italiane, assecondate dal Partito Democratico, specie negli ultimi anni, di abolire il modello dell’Università di massa? Il ridimensionamento di questa istituzione, così come la curvatura della scuola a forme precoci di apprendistato, disegnano un tentativo confuso e socialmente regressivo di riorganizzazione gerarchica della società italiana.

L’aumento delle tasse universitarie e la scarsità di risorse di sostegno a tanta parte degli studenti rientra nel processo di emarginazione dei ceti medio- bassi, che è il segno socialmente più distintivo del declino italiano. Tantissime famiglie hanno dovuto rinunciare a investire sui propri figli per elevare la propria condizione. Chi sostiene che i ragazzi bisognosi sono già esentati non tiene conto che nella platea degli aventi diritto rientrano famiglie che ormai non possono più permettersi il lusso di far proseguire ai propri figli gli studi universitari.

Certo, le tasse sono solo un piccolo tassello della gravissima questione universitaria italiana. E bisognerà anche evitare che della esenzione usufruiscano i ragazzi delle famiglie abbienti, come suggerisce Alba Sasso (il manifesto, 9/2/2018). Ma visto il rumore che la proposta di Pietro Grasso ha suscitato sarebbe il caso di porre sul tappeto le tre grandi necessità di questa istituzione da cui dipende la qualità del nostro futuro assetto di civiltà: immissione di una nuova leva di docenti, che rinnovino un personale fra i più vecchi oggi esistenti al mondo; nuove, significative risorse aggiuntive per ricerca e insegnamento; radicale delegificazione, che spazzi via la montagna di norme e regole sotto cui oggi una università impoverita e scoraggiata sta soffocando.

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