PRIORITÀ ALLA SCUOLA da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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PRIORITÀ ALLA SCUOLA da IL MANIFESTO

Un grande movimento con un progetto: «Priorità alla scuola»

In piazza. Oggi dalle 18 in sessanta città italiane si mobilitano i genitori, docenti e studenti del movimento Priorità alla Scuola e Apriti scuola: «Più fondi per la riapertura, contro le linee guida del Miur». In tre mesi è cresciuto in maniera esponenziale un movimento che ha saputo connettere 48 tra associazioni e sindacati e, attraverso una razionalità sensibile e la sapienza delle relazioni, ha formulato collettivamente un progetto alternativo di società e d

Roberto Ciccarelli 25.06.2020

La crescita esponenziale di un movimento come «Priorità alla scuola» che oggi manifesta in sessanta città a partire dalle 18 è un fatto politico e sociale di primo piano. In un paese spezzato dall’emergenza sociale innescata dalla pandemia del Covid 19 c’è una classe dirigente improvvisata che straparla di «rabbia sociale» ma non si è accorta dell’esistenza di un movimento capace di unire con una razionalità sensibile e la sapienza delle relazioni il Nord e il Sud, da Milano a Catania, da Roma a Napoli, da Varese a Matera.

IL MOVIMENTO ha connesso 48 associazioni e sindacati: dal movimento transfemminista Non una di Meno ai sindacati come la Flc Cgil a quelli di base come Cobas Scuola e Usb. Questa molteplicità, sostenuta dalla spinta dei genitori e degli insegnanti, si è riconosciuta negli ultimi tre mesi in un progetto di società alternativa ed è basata su un’idea di istruzione diffusa sul territorio, sulla proposta di finanziarla con il 15% dei 172 miliardi che dovrebbero arrivare dal «Recovery Plan» europeo e con il 10% della spesa pubblica. In questa società si vuole anche sancire la fine del precariato con le assunzioni dei docenti e del personale Ata necessarie per riaprire le scuole in sicurezza e in presenza da settembre.

I BISOGNI della vita familiare, e della riproduzione sociale allargata, sono stati coniugati con i diritti delle donne protagoniste di questo movimento e il diritto all’istruzione dei bambini e degli studenti. Ha preso così forma un avanzato progetto di democrazia che prospetta una nuova istruzione diffusa, coltiva le proposte di una medicina territoriale e di prevenzione dal contagio da coronavirus attraverso la cooperazione tra insegnanti, genitori e soprattutto bambini e studenti. In decine di assemblee virtuali si è consolidata un’intelligenza sociale e politica, l’evoluzione di quella che si è manifestata già nel corso dei mesi della quarantena, quando un’intera popolazione angosciata è riuscita ad autogovernarsi a dispetto dello stato di emergenza e dei conflitti della politica e tra le istituzioni per curare se stessa e gli altri.

SONO LE IDEE spiegate da Francesca Morpurgo di «Apriti scuola», snodo romano del movimento: «La politica è in un enorme ritardo – dice a Il Manifesto – Il silenzio del ministero dell’Istruzione ha diviso la comunità scolastica. In quattro mesi non è stato fatto niente. Ciò che ora si sta facendo è lasciato ai singoli dirigenti scolastici. Bisogna riaprire le scuole con classi meno numerose, trovando spazi adeguati e nuove modalità didattiche in presenza. Dall’asilo all’università l’istruzione non si può fare da casa, ma in relazione, senza ridurre gli orari, ma anzi assumendo subito docenti e personale Ata. L’assenza della scuola ha creato un vuoto educativo, cognitivo e relazionale. Ora deve tornare ad essere un luogo di formazione della persona».

LA BOZZA delle «linee guida», all’esame della Conferenza Stato-regioni (ieri c’è stato un incontro online con il governo), ha creato una reazione di rigetto generalizzata. Le piazze in movimento oggi pomeriggio espliciteranno un «No» a un progetto non condiviso e che, per questo, ha stimolato critiche feroci e documentate. Ieri su twitter la ministra dell’istruzione Lucia Azzolina non era d’accordo: «Leggo tante interpretazioni, molte sbagliate. Questo aiuta solo ad alimentare la confusione». «Questo testo – ha replicato Francesco Sinopoli, segretario della Flc Cgil – non prevede alcuna risorsa aggiuntiva, non si fa carico di una progettualità politica, decentra l’affidamento delle responsabilità ai dirigenti, ipotizza l’esternalizzazione dei servizi per supplire alle mancanze organizzative, ripropone la generalizzazione della didattica a distanza». «Lo dicessero chiaramente – ha detto Pino Turi (Uil scuola) – questo patto vuole aprire alla privatizzazione. Cos’è altro sono i «patti educativi di comunità»? Una cosa profondamente diversa dal sistema nazionale dell’istruzione. È un modo per scaricare le responsabilità che ha il governo sui dirigenti e gli insegnanti». L’incontro tra il Miur e i sindacati ieri è stato un fallimento: «Mancano un cronoprogramma definitivo e risorse certe. Le domande sui tempi scolastici ridotti, le aperture frazionate, i plessi sovraffollati non hanno trovato alcuna risposta. Non c’è una riapertura in grado di garantire alle famiglie e agli studenti misure di sicurezza» ha detto Maddalena Gissi (Cisl Scuola). Critiche sono arrivate dall’associazione dei presidi: «Se non c’è nuovo personale per limitare il numero di alunni per classe e creare nuovi spazi anche l’autonomia scolastica che si sostiene non funziona» ha detto Antonello Giannelli.

OLTRE alla sbandierata «sussidiarietà», premessa di una nuova frammentazione e precarizzazione della scuola, è l’intero impianto delle «linee guida» ad essere contestato. È la risposta, sbagliata, alla principale esigenza di centralità sociale e rifinanziamento di un mondo vasto massacrato dai tagli di Gelmini e Berlusconi dodici anni fa (8 miliardi di euro), dalla riforma di Renzi e del Pd «Buona Scuola» e poi abbandonato, vilipeso e ignorato.

Oggi dalle 18 da Aosta a Palermo
Le manifestazioni di oggi inizieranno alle 18 e si svolgeranno in contemporanea a Firenze, Roma, Milano, Faenza, Trento, Ravenna, Genova, Reggio Emilia, Pisa, Livorno, Pontedera, Perugia, Cremona, Lucca, Ancona – Civitanova Marche, Parma, Vicenza, Arezzo, Pistoia, Torino, Padova, Ferrara, Napoli, Collegno (Torino), Vercelli, Brescia, Verona, Prato, Matera, Taranto, Aosta, Bologna, Forlì, Sassari, Sanremo, Potenza, Torre Pellice (Torino), Imola, Palermo, Terni, Cuneo, Cesena, Cosenza, Mantova, Caserta (in piazza venerdì), Benevento, Massa Carrara, Modena, Mondoví (Cuneo), Aci Castello (Catania), Pescara, Catania, Siracusa, Sacile (Pordenone), Salerno, Varese, Pavia, La Spezia, Messina, Ragusa, Frosinone. Aderiscono alla manifestazione 48 organizzazioni nazionali del mondo della scuola: sindacati, associazioni di docenti, di genitori e di studenti: Scuola e bambini nell’emergenza Covid-19, Cnps – Coordinamento Nazionale Precari Scuola, La scuola a scuola, Rete Bessa, Apriti Scuola, Cinnica, No Dad – Settembre in aula, Cattive Ragazze, Scuole per il Futuro, Coordinamento genitori democratici, Ni.Na.Nda, Action aid, Teachers for future Italia, Coordinamento dei Collettivi Studenteschi, Lavoratori Autoconvocati della scuola, Diritto alla Scuola, Scuola Costituente, Comitato bolognese Scuola e Costituzione, Tavolo per l’Educazione Popolare, Mamma di Merda, Scuola Mondo San Giuliano Terme, Priorità all’Università, Gruppo scuola di Archivia, Non Una di Meno (Genova, Perugia, Pisa, Livorno, Milano), Lud – Libera Università delle Donne, MCE – Movimento di Cooperazione Educativa, Assemblea autoconvocata delle lavoratrici e dei lavoratori del sociale, Cidi – Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti, Cobas Scuola, Cib, Flc Cgil, Usb, Euronomade, Centro di Gravità, Casa Internazionale delle Donne di Roma, Associazione Per la sinistra per un’altra Europa, Comitato Popolare di Difesa Beni Pubblici e Comuni «Stefano Rodotà», Le Contemporanee, co2 crisis opportunity onlus, Monitor Napoli, Fronte della gioventù comunista, Studenti Di Sinistra, Unione degli studenti, Rete degli Studenti Medi, Gruppo Comma 255 Mamme Caregivers, Coordinamento AEC assistenti educativi

Venti studenti per classe è il numero della rivoluzione

Istruzione. Prima del virus 1 milione e 260 mila minori viveva in condizioni di povertà assoluta, anche per la crisi economica del 2008. Sono i più a rischio di dispersione scolastica

Francesco Verducci 25.06.2020

Agli «Stati Generali» nei confronti della scuola si è operata una sorta di rimozione. Eppure è il tema più urgente.

Senza la scuola, quella autentica che è innanzitutto comunità fatta di partecipazione, di reciprocità, di consapevolezza condivisa, semplicemente non esiste la società e non può esistere la democrazia.

La scuola è cittadinanza ed emancipazione. Nonostante l’impegno straordinario della classe docente, la didattica a distanza ha dimostrato interamente i suoi limiti ingigantendo disparità e diseguaglianze, dispersione ed esclusione.

La crisi sociale post-Covid ha nella «crisi educativa» uno dei suoi aspetti più drammatici. Sconcerta la mancanza da parte del Governo di un «piano» per il nuovo anno scolastico, di una «visione» strategica per la scuola pubblica e, di conseguenza, per il Paese.

Il «blocco» ha squadernato una dura verità: il nostro sistema di istruzione va radicalmente ripensato, perché non è in grado di essere leva di reale inclusione per i ragazzi che scontano condizioni di partenza sociali, economiche e territoriali svantaggiate. Al rischio della «dispersione» si somma quello dell’abbandono. Fratture che diventano insanabili.

L’ascensore sociale è rotto perché il «motore» dell’istruzione è inceppato. Le statistiche sono impietose. Chi arriva alla laurea è quasi sempre figlio di laureati, mentre la gran parte di chi frequenta istituti tecnici o professionali non si iscrive all’università. Una barriera «classista» che alimenta marginalità ed esclusione, acuite in questi mesi.

Prima del virus un milione e 260 mila minori viveva in condizioni di povertà assoluta, anche in conseguenza della crisi economica del 2008. Sono i più a rischio di dispersione scolastica.

In autunno questi numeri peggioreranno. Ad ognuno corrisponde un nome, una storia, sogni e speranze.

Scuole chiuse ha significato anche mense e palestre chiuse e per molti il venir meno di pasti completi e corretta attività motoria. Mancanza di apprendimento, salute e nutrizione. Un costo sociale troppo alto per non prendere coscienza che è questa la battaglia vitale.

La scuola ha bisogno immediato di investimenti ingenti e strutturali, oppure rischia la débâcle. Non basta quanto stanziato nel Decreto Rilancio. Anche se il virus fosse definitivamente debellato (ma sappiamo che non è così) è un grave errore pensare di tornare a quel che era «prima». Anzi a peggio di prima.

Ridurre il tempo-ora di insegnamento e quindi il monte ore complessivo di apprendimento per gli studenti avrebbe conseguenze disastrose per la crescita individuale e collettiva. Sarebbe l’ammissione di un fallimento, culturale e politico.

Esiste un’alternativa e va messa subito in campo partendo da ciò che è più urgente.

Primo: l’inclusione, mettere al centro i bisogni degli studenti. Servono più aule, spazi e strumenti didattici rinnovati.

Secondo: investire sulla professionalità dei docenti. Serve più personale scolastico. Innanzitutto più insegnanti. Di ruolo e non precari.

Il precariato mortifica progetti di vita ed è nemico della qualità dell’insegnamento, della continuità didattica, della crescita formativa. Servono investimenti strutturali: cinque miliardi per ridurre a 20 il numero degli alunni in classe. È una rivoluzione necessaria.

È quanto sta facendo il governo spagnolo. Va fatto altrettanto. A partire da un piano contro il precariato. È un tema politico che va posto con determinazione, contrastando la vulgata denigratoria e punitiva nei confronti dei precari della scuola.

Nel dibattito politico-parlamentare e giornalistico campeggia il tono sprezzante che etichetta i precari come fossero dei furbetti intenti a gabbare un concorso. Come se essere precari fosse una colpa da cui redimersi, e non invece un’ingiustizia. Una campagna aggressiva ammantata della ipocrita retorica del merito che in questi anni di neo-liberismo è stata utilizzata nel discorso pubblico per colpire i più deboli e aumentare le diseguaglianze.

Vanno rovesciati i termini di questa impostazione, che tiene sotto scacco con i precari l’intera vertenza per la scuola, modificando alla radice un sistema che produce e sfrutta il precariato, licenziando a giugno per poi riassumere in settembre, «risparmiando» a scapito di insegnanti e studenti.

C’è il rischio che il prossimo anno si apra con oltre 200mila precari. Per questo è urgente introdurre un percorso certo di progressione abilitante che permetta l’immissione in ruolo dei docenti in base al fabbisogno (in virtù di una prova concorsuale imperniata sulla valutazione delle competenze professionali).

Il «decreto scuola» è stata un’occasione persa malamente.

Serve un altro provvedimento urgente, che sulla base della straordinarietà del prossimo anno scolastico delinei il ripensamento strutturale della nostra scuola. Coinvolgendo le autonomie territoriali, tenendo alto il dibattito pubblico e politico, facendo vivere una battaglia per la scuola pubblica che sia il modo per ottenere le risorse necessarie.

Ci sarà un nuovo scostamento di bilancio. E ci saranno i fondi europei.

Ci sono finalmente le condizioni, da subito, per un grande investimento. Per il diritto allo studio, per la qualità dell’istruzione, contro il precariato. Per il futuro del nostro Paese.

* L’autore è Vice presidente Commissione Cultura e Istruzione del Senato

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