A DIFESA DELLA QUALITÀ E DELLA LIBERTÀ DI INSEGNAMENTO da IL MANIFESTO
A difesa della qualità e della libertà di insegnamento
Petizione Lanciata da Manifesto Scuola 29 agosto 2023
diretta a Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara
A difesa della qualità e della libertà d’insegnamento
Una politica scolastica di carattere sempre più regressivo è in atto nel nostro paese da ormai trent’anni, e sembra dover proseguire in modo ancora più estremo. Governi di differente orientamento politico, ma in piena sintonia con il progetto di destrutturazione di una scuola di qualità finalizzata alla formazione culturale degli studenti, continuano, provvedimento dopo provvedimento, nello sforzo di eliminare le resistenze dei docenti migliori, che ancora combattono a sostegno della cultura, della qualità del loro insegnamento e di quello che la scuola per diritto dovrebbe essere e che da tempo, nei fatti, in larga misura non è più.
Continua peraltro la pressione sui docenti, che non si sono ancora arresi a un modello di scuola sempre più impostata, da una parte, secondo un modello organizzativo interno di carattere aziendalistico, totalmente estraneo a quelli che dovrebbero essere i suoi obiettivi culturali e civili, così come sanciti dalla Costituzione repubblicana; dall’altra, sempre più simile a una struttura terapeutica velleitaria e fallimentare piuttosto che a un’istituzione con finalità di formazione culturale e civile. Tale pressione è progressivamente aumentata, con una serie di norme volte a limitare la libertà d’insegnamento e a dissolvere l’alto profilo professionale del docente come esperto di una disciplina, in una funzione impiegatizia di “operatore” o “facilitatore”, come recitano molti documenti ministeriali.
Lungo questa direzione si collocano una bozza relativa alla nuova organizzazione dei concorsi per futuri docenti e il DPR del 13 giugno 2023, n. 81.
Le Disposizioni in materia di reclutamento del personale scolastico e acceleratorie dei concorsi PNRR prevederanno infatti una prova scritta, per accedere agli orali, totalmente non disciplinare, «con più quesiti a risposta multipla volta all’accertamento delle conoscenze e competenze del candidato in ambito pedagogico, psicopedagogico e didattico-metodologico, nonché sull’informatica e sulla lingua inglese». Un filtro, dunque, con le solite sminuenti modalità dei quiz, per impedire l’accesso alla funzione docente a chi non si sia adeguato al pensiero pedagogico unico ministeriale, che autopresuppone una propria inesistente scientificità, non suffragata da nulla al di fuori dell’arroganza e dell’autoreferenzialità di chi la sostiene. Come più volte notato in questi anni, il linguaggio tecnocratico del pedagogismo oggi egemone non è altro che un assemblaggio retorico di concetti, di varia provenienza, volti per lo più a impressionare l’interlocutore poco esperto, anche per il corrivo e superficiale uso di anglicismi; come se questo fosse in grado di dare credibilità a un apparato teorico di evidente inconsistenza epistemologica e decisamente banale in merito ai contenuti che vorrebbe sostenere. Un approccio fatto oggetto di critiche durissime e largamente argomentate da parte dei docenti più consapevoli e dal più qualificato mondo culturale e scientifico, con le quali i sedicenti esperti non vogliono e non sanno confrontarsi e che liquidano con giudizi politici di arretratezza, che definire superficiali, infondati e privi di onestà intellettuale è un generoso eufemismo.
A questo tentativo di selezionare solo docenti allineati con il pensiero pedagogico unico, si aggiunge un attacco maldestro alla stessa libertà d’espressione dei dipendenti pubblici e, per quanto ci concerne, dei docenti. Il DPR 13 giugno 2023, n. 81, relativo al «Codice di comportamento dei dipendenti pubblici», all’art. 11-ter, comma 2, recita che «In ogni caso il dipendente [pubblico] è tenuto ad astenersi da qualsiasi intervento o commento che possa nuocere al prestigio, al decoro o all’immagine dell’amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale». Una norma agghiacciante, in pieno contrasto con la libertà d’opinione e d’espressione tipica di uno stato democratico e sancita dalla nostra Costituzione: finalizzata a ridurre al silenzio chi sta combattendo da decenni una battaglia di civiltà, difesa e rilancio della centralità della cultura nella scuola e nell’università. Un tentativo di negazione autoritaria delle libertà inalienabili del cittadino che giustamente alcuni rappresentanti sindacali hanno subito individuato come anticostituzionale.
Invitiamo pertanto con la massima determinazione – per il bene dei nostri studenti e della società italiana tutta – i soggetti governativi a cui afferiscono queste decisioni a modificare immediatamente la bozza relativa alle nuove modalità di reclutamento dei docenti, evitando qualsiasi filtro di tipo ideologico e dando nelle prove concorsuali la giusta centralità alle conoscenze disciplinari. Invitiamo altrettanto risolutamente a rispettare le norme fondamentali della Costituzione e dei suoi principi democratici e a ritirare di conseguenza qualsiasi norma volta a limitare la libertà d’espressione dei dipendenti pubblici.
Anna Maria Agresta (docente scuola secondaria superiore)
Anna Angelucci (docente, saggista, associazione nazionale “Per la Scuola della Repubblica)
Teresa Apone (docente di scuola secondaria superiore)
Sergio Arangino (docente scuola secondaria superiore)
Angela Baldini (docente di scuola secondaria)
Piero Bevilacqua (storico, già Università la Sapienza, Roma)
Alberto G. Biuso (filosofo, Università di Catania)
Emiliano Brancaccio (economista, Università del Sannio)
Federico M. Butera (ingegnere, già Politecnico di Milano)
Enrico Campanelli (docente scuola secondaria)
Paola Candiano (docente scuola secondaria)
Ferruccio Capelli (direttore Casa della Cultura di Milano)
Lucia R. Capuana (docente, saggista)
Giovanni Carosotti (docente scuola secondaria superiore)
Sergio Colella (già dirigente scolastico presso il Consolato d’Italia a Montevideo, con estensione di funzione in Cile e in Venezuela)
Mino Conte (filosofo dell’educazione, Università di Padova)
Domenico De Masi (sociologo, già Università La Sapienza di Roma)
Maurizio Di Bella (docente scuola secondaria)
Fabio Elemento (docente di scuola secondaria superiore)
Paolo Favilli (storico, Università di Genova)
Luigi Ferrajoli (giurista, già Università Roma Tre)
Giulio Ferroni (storico della letteratura, già Università la Sapienza, Roma)
Ernesto Galli della Loggia (storico, già Università Vita e Salute San Raffaele)
Benedino Gemelli (docente di Latino e Greco presso il Liceo di Bellinzona; curatore Edizione Nazionale delle Opere di Antonio Vallisneri)
Dario Generali (Istituto per la storia del pensiero filosofico e scientifico moderno – CNR – Coordinatore scientifico dell’Edizione Nazionale delle Opere di Antonio Vallisneri)
Carlo Ginzburg (storico, già Scuola Normale Superiore di Pisa)
Franca Gusmini (docente, saggista)
Ignazio Ippolito (docente scuola secondaria)
Walter Lapini (storico della letteratura greca, Università di Genova)
Vincenzo Lavenia (storico, Università di Bologna)
Giorgia Loi (docente di scuola secondaria)
Francesco Luzzini (storico della scienza, Università Ca’ Foscari di Venezia; Edizione Nazionale delle Opere di Antonio Vallisneri)
Paolo Maddalena (magistrato e giurista)
Luca Malgioglio (docente scuola secondaria superiore)
Dacia Maraini (scrittrice)
Laura Marchetti (antropologa, Università di Foggia)
Edoardo Massimilla, filosofo, Università Federico II, Napoli)
Davide Miccione (filosofo, saggista)
Ana Millan Gasca (storica della matematica, Università Roma Tre)
Fabio Minazzi (filosofo della scienza, Università dell’Insubria)
Tomaso Montanari (storico dell’arte, Rettore Università per Stranieri di Siena)
Aurelio Musi (storico, già Università di Salerno)
Fabiana Nencini (docente scuola secondaria superiore)
Francesco Pallante (giurista, Università di Torino)
Livio Pepino (magistrato)
Tonino Perna (economista, sociologo)
Cristina Picciotto (docente scuola secondaria superiore)
Marina Polacco (docente, saggista)
“Professione docente”, Redazione di (Renza Bertuzzi, Giuseppe Candido, Gianluigi Dotti, Gianfranco Meloni, Piero Morpurgo)
Adriano Prosperi (storico, già Scuola Normale Superiore di Pisa)
Renata Puleo (già direttrice didattica, AlaS Associazione Lavoratori Scuola)
Alice Romagnoli (docente di scuola secondaria)
Lucio Russo (fisico e storico della scienza, già Università Roma 2)
Stefano Salmeri (Pedagogia generale, Università di Enna)
Battista Sangineto (archeologo, Università della Calabria)
Manuela Sanna (Direttrice dell’Istituto per la storia del pensiero filosofico e scientifico moderno – CNR)
Enzo Scandurra (urbanista, già Università la Sapienza, Roma)
Adolfo Scotto di Luzio (storico della pedagogia, Università di Bergamo)
Salvatore Settis (storico dell’arte, già Scuola Normale Superiore di Pisa)
Filippo Spallino (docente Liceo Gobetti, Torino)
Andra Tagliapietra (filosofo, Università Vita e Salute San Raffaele)
Tiziano Tussi (docente, giornalista e saggista)
Floriana Vernola (docente scuola secondaria superiore)
Davide Viero (docente scuola primaria)
Povertà educativa in aumento, il futuro sottratto ai giovani
Dall’abbandono degli studi ai Neet, in un’Italia a due velocità
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Enrica Di Battista 01 settembre 2023
L’abbandono scolastico, ma non solo: a mangiare il futuro dei ragazzi in Italia è la crescente povertà educativa nel Paese.
Sono troppi i bambini che non hanno la possibilità di visitare una mostra, di andare al cinema, di leggere un libro, di fare sport: l’impoverimento culturale è in drammatico aumento, parallelamente al peggioramento delle condizioni economiche e sociali delle famiglie. Un minore su 7 lascia prima la scuola, altri ragazzi non raggiungono le competenze di base alla fine del percorso di studi. Bassi livelli di apprendimento e abbandono scolastico sono poi correlati alla condizione di Neet: i giovani che non studiano, non lavorano, non sono in formazione. Recenti fatti di cronaca che vedono coinvolti ragazzi, gli stupri di Palermo e di Caivano ma non solo, fanno tornare a discutere di povertà educativa in un’Italia che si mostra anche in questo caso a due velocità tra Nord e Sud, centro e periferie, grandi città e aree interne.
I numeri della povertà educativa
Povertà economica e povertà educativa si alimentano a vicenda e si trasmettono di generazione in generazione, fa notare l’associazione Con i bambini che da anni ha un osservatorio sul fenomeno. In Italia sono quasi 1 milione e 400 mila i minori che vivono in povertà assoluta, altri 2,2 milioni sono in povertà relativa. Se fino al 2005erano gli anziani le persone più indigenti, oggi invece la povertà assoluta aumenta al diminuire dell’età. La povertà educativa è un problema complesso, spiega l’associazione Con I Bambini, “frutto del contesto economico, sociale, familiare in cui vivono i più piccoli”. Non incide solo sui singoli ma sul futuro e sullo sviluppo di tutto il Paese. Riguarda tutti e comincia dall’età degli asili nido, la cui presenza o meno sul territorio segna già la differenza.
Dall’abbandono degli studi al limbo dei Neet
Il 23,1% dei giovani tra 15 e 29 anni in Italia si trova nel limbo dei Neet (acronimo per Not in Employment, Education or Training), fuori da ogni percorso di lavoro, istruzione o formazione. La percentuale è la più alta dell’Ue, oltre il doppio di quella di Francia e Germania. Il 12,7% degli studenti non arriva al diploma, abbandona precocemente gli studi (al Sud si arriva al 15%). C’è poi il 9,7% del totale, quasi un diplomato su 10 nel 2022, “senza le competenze minime necessarie per entrare nel mondo del lavoro o dell’Università”, sottolinea Save the Children.
Laddove la povertà minorile è più alta e sarebbe dunque importante un’offerta formativa di qualità, “la scuola è più povera, privata di tempo pieno, mense e palestre”, rileva Save the Children che stima, per garantire il tempo pieno in tutte le classi della scuola primaria statale, la necessità di 1 miliardo e 445 milioni di fondi.
La crisi peggiorata con il Covid: l’aumento delle scarse competenze
L’emergenza Covid ha peggiorato molti indicatori anche in questo ambito. Una delle conseguenze della pandemia è stato l’aumento della dispersione implicita, termine con cui si intende “la quota di studenti che terminano il loro percorso scolastico con competenze di base inadeguate in tutte le materie rilevate nelle prove Invalsi (italiano, matematica e inglese)”. La percentuale di ragazzi con competenze inadeguate, secondo i dati Openpolis èpassata dal 7,5% del 2019 al 9,8% del 2021. I test Invalsi 2022, tuttavia, sembrerebbero segnare una stabilizzazione (9,7%) ma non un ritorno al pre-Covid. Arrivare a terminare gli studi con scarse competenze porta più facilmente all’abbandono degli studi, al limbo dei Neet, alla rinuncia a costruire un futuro migliore.
Le disuguaglianze territoriali nella dispersione a scuola
Nel 2022 le regioni dove la dispersione implicita è risultata più elevata, secondo i dati Openpolis, sono state Campania (19,8%), Sardegna (18,7%), Calabria (18%) e Sicilia (16%), regioni che sono sopra la media anche per la quota di giovani che hanno lasciato la scuola con al massimo la licenza media. L’abbandono scolastico ha infatti una media nazionale del 12,7%, con punte in Sicilia (21,1%) e Puglia (17,6%) e valori più alti rispetto a Centro e Nord anche in Campania (16,4%) e Calabria (14%), rileva Save the Children.
Questa situazione colpisce soprattutto ragazze e ragazzi con alle spalle le famiglie più fragili a livello economico, culturale e sociale e affligge soprattutto, come si evince, le aree del paese più deprivate e maggiormente segnate dalle disuguaglianze, in particolare il Sud, le isole e le aree interne.
Italia paese di Neet: nel limbo ci sono più le ragazze e chi vive al Sud
In Italia circa 1,7 milioni di giovani tra 15 e 29 anni sono Neet, non studiano e non lavorano: in un Paese che invecchia questo viene visto come un enorme spreco di potenziale. Anche in questa categoria c’è un divario di genere: il fenomeno dei Neet interessa in misura maggiore le ragazze (20,5%) e i residenti del Mezzogiorno (27,9%). Openpolis ricorda infatti che le 9 province dove oltre il 35% dei giovani è Neet sono tutte al Sud: in testa Caltanissetta (46,3%),Taranto, Catania, Napoli, Messina, Palermo, Siracusa, Foggia e Catanzaro.
Tra i principali fattori di rischio di finire tra i Neet sono stati riscontrati un basso rendimento scolastico, una famiglia con basso reddito, un genitore con periodi di disoccupazione, crescere con un solo genitore, essere nato in un Paese fuori dell’Ue, vivere in una zona rurale, avere una disabilità.
L’appello del Moige: “L’istruzione sia di tutti”
Il contrasto alla dispersione scolastica sia una priorità del Paese, chiedono le associazioni in campo da anni sul tema. “Sicuramente la parte più fragile del sistema sono le scuole superiori – afferma Elisabetta Scala, vicepresidente del Moige -. In primo luogo perché non c’è un corretto orientamento e molti ragazzi scelgono la scuola sbagliata che li porta alla rinuncia”. In accordo con i principi sanciti dalla Costituzione italiana, l’istruzione deve essere per tutti: eppure “sta diventando sempre più cara, a partire dai libri di testo”, fa notare il Moige. E quando un ragazzo ha difficoltà, le ripetizioni diventano una spesa insostenibile per le famiglie e molti restano indietro. Invece, conclude il Movimento Italiano Genitori, “deve essere premiata la scuola che porta avanti tutti, ognuno con le proprie capacità. C’è bisogno di un aggiornamento della didattica ma anche di una collaborazione scuola-famiglia”.
Micaela Malaguti
6 Settembre, 2023 at 23:02La disciplina la impari all’Università, il reclutamento degli insegnanti non può avvenire in base alle conoscenze, avendo una laurea il futuro docente dovrebbe già conoscerle, imparare un po’ di pedagogia invece è utile: testare le competenze pedagogiche dei docenti con le quali sapersi rapportare ai ragazzi è fondamentale!