“L’ECONOMIA È FERMA E IL GOVERNO FINORA HA VISSUTO DI RENDITA” da IL MANIFESTO
Di Franco: «L’economia è ferma e il governo finora ha vissuto di rendita»
Intervista Il segretario generale di Fillea-Cgil: «Non serve il ponte sullo Stretto ma ferrovie, dighe, sanità e il piano casa». E sul nuovo contratto collettivo: «Abbiamo ottenuto un aumento storico per i lavoratori edili, pari al 18% sui minimi»
Alex Giuzio 02/02/2025
«L’economia italiana è ferma e il governo Meloni non ha nessuna idea di sviluppo industriale. Finora ha vissuto di rendita, grazie ai bonus che hanno trainato la crescita; ma ora quell’era è finita ed è urgente iniziare a fare qualcosa di concreto». Antonio Di Franco, segretario generale di Fillea-Cgil, non ha dubbi nell’attribuire all’attuale esecutivo la responsabilità della crescita zero certificata dall’Istat. Fillea rappresenta i lavoratori dell’edilizia, un settore al centro dell’attenzione delle politiche meloniane, che secondo Di Franco «sono sbagliate e prive di qualsiasi ragionamento complessivo».
Cosa non è stato fatto negli ultimi due anni?
L’economia italiana ha beneficiato di centinaia di miliardi di euro, dai superbonus al Pnrr, che ci hanno fatto stabilire nuovi record. Ma dopo che i rubinetti si sono chiusi, il governo Meloni non ha saputo sfruttare la scia. Un grande errore che ci ha portato a ritrovarci con la crescita zero.
Come occorre intervenire?
Urge un «piano casa» che favorisca sia le imprese e i lavoratori di tutta la filiera, sia i cittadini. Altrimenti la nostra economia non reggerà. Oggi comprare o ristrutturare casa è impossibile per la maggior parte delle persone a causa dei salari troppo bassi. Ma anziché cercare di contrastare questo disagio, Meloni con l’ultima finanziaria ha bloccato qualsiasi forma di bonus edilizio. Il 70% delle abitazioni in Italia è ancora in classe energetica G, la più bassa. Eppure il nostro è stato l’unico governo, insieme all’Ungheria, a votare contro la direttiva europea «case green». D’altronde sono gli stessi che negano la crisi climatica.
La priorità del governo è sulle grandi opere, come il ponte sullo Stretto.
Un’idea sbagliata per far crescere l’economia. I 15 miliardi previsti per il ponte dovrebbero essere destinati ad altre priorità del sud, come la sanità e le infrastrutture ferroviarie e idriche. Va completata la linea dell’alta velocità, che oggi arriva solo fino a Salerno, e vanno costruiti invasi e dighe per risolvere l’impressionante carenza di acqua che colpisce due milioni di famiglie tra Sicilia e Calabria. Il ponte è un’opera inutile senza il diritto alla salute e alla mobilità.
Alcuni grandi imprenditori edili sono a favore del ponte.
È vergognoso ignorare che dietro questo business ci sono le mire della malavita organizzata. Un copione simile a quello del decreto salva Milano, che ci vede del tutto contrari.
Perché?
Quella che era stata pensata come un’eccezione non può diventare la norma. Ancora più grave è che tutto ciò avvenga in un contesto di complessiva deregulation: pensiamo al recente tentativo della Lega di rendere non vincolanti i pareri delle soprintendenze. Se mettiamo insieme tutti questi pezzi, i ragionamenti del governo diventano molto preoccupanti. Mi piacerebbe ci fosse un’opposizione più decisa a denunciare le anomalie. Milano è diventata la capitale italiana dell’intermediazione illecita di manodopera, con molti caporali che smistano migranti in tutta la penisola, per farli salire sulle gru senza nemmeno un contratto.
Fillea con gli altri sindacati ha sottoscritto il nuovo contratto collettivo nazionale ed entro fine mese sarà siglato un ampio accordo per aumentare la sicurezza e la regolarità nei cantieri. Di cosa si tratta?
Col nuovo contratto collettivo abbiamo ottenuto un aumento storico per i lavoratori edili, pari al 18% sui minimi. Il 21 febbraio firmeremo il patto bilaterale con i costruttori. Tra gli elementi più importanti c’è la denuncia unica nelle casse edili, che contrasterà chi ricorre al lavoro nero. Si tratta dell’ultimo tassello di un percorso avviato nel 2020 con l’introduzione della congruità della manodopera. Semplificando: il costruttore deve ricorrere a un determinato numero di dipendenti, a seconda del valore e delle dimensioni del palazzo che costruisce. Se l’impresa dichiara un numero inferiore, è probabile che non sia in regola.
La firma è arrivata dopo un 2024 chiuso in lieve sofferenza per il settore.
Essendo terminata l’era dei bonus, il calo è normale. In ogni caso si tratta solo di una lieve recessione del 7% sul picco storico del 2023. La vera crisi dell’edilizia è stata dal 2008 al 2018, quando abbiamo perso oltre 100 mila posti di lavoro tra operai e tecnici. Poi il settore ha iniziato a riprendersi, soprattutto dopo la pandemia. Basta guardare un dato: nel 2016 la massa dei salari ammontava a 5,8 miliardi, nel 2024 siamo arrivati a 10,5 miliardi. Stiamo reggendo soprattutto grazie al Pnrr, che ha favorito l’aumento esponenziale dei lavori pubblici, controbilanciando il calo avvenuto nell’edilizia privata. Ma bisogna iniziare a guardare oltre.
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