“I GOVERNI UE INVERTANO LA ROTTA BELLICISTA” da IL FATTO
I pacifisti ai partiti: “Così non basta, serve di più”
TOMMASO RODANO 1 LUGLIO 2023
La domanda più importante arriva durante le conclusioni. Alfiero Grandi, vicepresidente del Coordinamento per la democrazia costituzionale, chiude il convegno “Guerra o pace?” rivolgendosi alla platea, dove sono rappresentati i partiti di centrosinistra: “C’è un’opinione pubblica che è largamente contro la guerra, preoccupata e spaventata dalla minaccia di un olocausto nucleare, ma ha bisogno di interlocutori che la rappresentino. C’è bisogno di mettere in movimento qualcosa. È pensabile avere un gruppo interparlamentare che tenga insieme tutti i gruppi d’accordo sulla linea pacifista? Se serve un contributo intellettuale, noi siamo disponibili a scrivere un documento che vada in quella direzione, ma in ogni caso serve uno sforzo. Quello che c’è non basta, ci vuole di più per restituire fiducia a un’opinione pubblica che non trova risposta”.
Messaggio chiaro. All’evento “Guerra o pace?”, ospitato nella sala capitolare del Senato per iniziativa della vicepresidente Mariolina Castellone e del M5S, hanno partecipato giornalisti, intellettuali, ambasciatori e analisti militari (alcuni nomi: Alfonso Gianni, Domenico Gallo, Giangiacomo Migone, Barbara Spinelli, Fabio Mini, Biagio Di Grazia e Giuseppe Cassini). Ma oltre alle analisi e alle riflessioni sugli sviluppi e le prospettive della guerra in Ucraina, è stato segnalato un allarme urgente ai partiti di centrosinistra: il movimento arcobaleno da solo non ce la fa, al di là delle marce e della manifestazione nazionale di San Giovanni di sette mesi fa. Serve una mano per rimotivare i pacifisti. In platea, i partiti a cui è rivolto l’appello erano ben rappresentati: Giuseppe Conte e Castellone per i Cinque Stelle, Arturo Scotto e Paolo Ciani (deputati del Pd), Nicola Fratoianni di Sinistra italiana.
L’ex premier è l’ultimo dei politici a prendere la parola e nel suo intervento si occupa soprattutto di regolare i conti con Giorgia Meloni. “L’altro giorno – ha detto Conte – si è permessa di attaccare un professore universitario, Domenico De Masi, un libero pensatore senza tessera di partito. L’ha attaccato per colpire noi vigliaccamente. Meloni se la prenda direttamente con noi, senza banalizzare e distorcere il nostro pensiero: noi non abbiamo mai detto che preferiremmo vivere in una dittatura (come aveva sostenuto la premier, citando De Masi, ndr). Ma se dobbiamo parlare di dittature, parliamo di quella che abbiamo avuto in casa: non basta condannare le leggi razziali”. Conte ha ribadito la contrarietà del Movimento rispetto alla “corsa al riarmo che sta aumentando di nuovo il volume globale della spesa militare” e ha ripetuto che bisogna “insistere sulla via diplomatica”.
Parole a cui fanno eco quelle di Fratoianni: “Occorre non rassegnarsi nel lavorare per la pace. Ogni giorno sembra più difficile trovare una via d’uscita pacifica e ogni giorno diventa più necessario continuare a cercarla”. Sullo stesso registro l’intervento di Scotto: “Anche tra di noi bisogna puntare su questo, rimettere al centro la politica. Non si può lasciare solo al Papa l’iniziativa, servirebbe un protagonismo dell’Europa”.
“I governi Ue invertano la rotta bellicista”
IN MOVIMENTO – “L’Italia segua la Carta che ripudia la guerra e favorisca l’interesse del paese”
MASSIMO CACCIARI, DONATELLA DI CESARE, RANIERO LA VALLE, CARLO ROVELLI, MICHELE SANTORO E MARCO TARQUINIO 1 LUGLIO 2023
Gli ultimi avvenimenti dimostrano quali formidabili pericoli il mondo possa correre in seguito a un’esplosione “anarchica” dell’impero russo. Migliaia di sistemi d’arma micidiali possono finire nelle mani di gruppi politici e para-militari assolutamente irresponsabili. Uno scenario di questo genere dovrebbe spingere ogni autorità ragionevole, al di là della discussione e della ricerca sulle cause che ci hanno condotto a questo punto, ad assumere tutte le iniziative possibili per un cessate il fuoco, per una tregua, per l’avvio di serie trattative. Che significa ostinarsi per la “vittoria”? Che significa “vittoria”? La continuazione del massacro bellico in terra ucraina sino, appunto, alla dissoluzione sic et simpliciter della Federazione Russa?
Grandi Paesi come India, Brasile e Indonesia si sono espressi per una equa soluzione del conflitto rimanendo del tutto inascoltati. Il Papa e la Chiesa insistono invano da tempo perché parlino finalmente politica e diplomazia e, con la missione promossa in queste settimane, hanno osato dare un esempio. Questa è la via che anche la nostra Costituzione esige senza mezzi termini. Non solo in essa non esiste traccia di un concetto di “guerra giusta” ma, comunque si voglia interpretare e in che limiti il nostro “ripudio” della guerra, quel che è certo è che il dettato costituzionale obbliga chi ci governa a privilegiare sempre e comunque la via della trattativa. Che si fa in questo senso? Quali atti ha assunto il nostro governo per promuovere iniziative già sperimentate in altri teatri di guerra, come l’invio di forze internazionali di interposizione?
Noi riteniamo, inoltre, che un governo sia costituzionalmente tenuto ad agire per l’interesse nazionale. Quale interesse ha il nostro Paese a che si continui una guerra, si continui in massacri e devastazioni, che calpestano ogni diritto umano? Nessuna persona dotata del ben dell’intelletto può ritenere altro che idiota propaganda i paragoni con la guerra mondiale delle democrazie contro il nazi-fascismo. L’interesse europeo, economico, politico, culturale è che la guerra finisca, che la Federazione russa mantenga la sua stabilità, che i rapporti economico-culturali con essa possano riprendere. Interesse nazionale è che i fondi per l’aumento delle spese militari possano essere utilizzati per sostenere le strutture già in crisi del nostro Stato sociale. Stiamo assistendo a un vergognoso aumento di queste spese in tutto il mondo, a un vero e proprio riarmo tedesco, mentre crollano gli investimenti in scuola, sanità, servizi. Anche questo è palesemente contrario a spirito e lettera della Costituzione. È necessario che un grande movimento di popolo costringa i governi europei a un drastico mutamento di rotta.
Abbiamo bisogno di pace, ma non a qualsiasi costo
FABIO MINI 1 LUGLIO 2023
Riportiamo l’intervento di Fabio Mini, letto ieri al convegno romano “Guerra o pace?”
Non sono molte le occasioni offerte a un militare per esprimere opinioni sulle scelte politiche. E non è molta la disponibilità dei militari a discuterne. Esiste il forte pregiudizio che la politica debbano farla soltanto i politici e i militari debbano occuparsi solo di aerei e carri armati. Salvo poi “fare politica” con le armi, rendendo i servitori dello Stato servi d’interessi contrari alla Costituzione. Perciò ho sempre ritenuto che sia un dovere dei militari esprimere opinioni e giudizi anche su questioni sociali e politiche che riguardano la sicurezza dello Stato. E che sia un diritto e un dovere dei governi e dei legislatori ascoltare anche i loro pareri.
Oggi l’Europa è in guerra: sia perché la ospita entro i suoi confini geografici, sia perché partecipa attivamente con il sostegno politico, economico e militare a uno dei belligeranti. Il nostro Paese è in guerra e ne subisce le conseguenze con la prospettiva di doverne subire di peggiori. La guerra in tutte le sue forme sembra l’unica via d’uscita. Non la guerra metaforica, ma quella reale, materiale, cinetica come diciamo noi militari, che poi siamo chiamati ad affrontare. Si dice che occorre aiutare l’Ucraina a difendersi e che la difesa dell’Ucraina è la difesa dell’Europa. Che è una battaglia di civiltà e libertà. Ho molti dubbi in proposito e mi domando come mai non ci siamo preoccupati prima delle minacce alla libertà di quegli stessi ucraini quando erano soggetti a una guerra da parte del loro stesso governo. E come mai la preoccupazione della libertà dei popoli non si estenda ad altre popolazioni soggette alle guerre e alle repressioni.
La guerra in Ucraina è un obbligo nei confronti di un Paese aggredito: è vero, ma il ricorso alla forza deve essere approvato dal Consiglio di sicurezza dell’Onu e questo non c’è ancora stato. La Nato si sta solo difendendo: è vero ma per vent’anni ha condotto un attacco subdolo alla Russia e senza autorizzazione ha già attaccato uno stato sovrano membro delle Nazioni Unite. La guerra riguarda Russia e Ucraina: non è vero, riguarda Stati Uniti e Russia e soprattutto riguarda l’intera sicurezza europea. L’Ucraina nella Nato rafforzerà l’alleanza e porterà alla vittoria: non è vero, l’Ucraina è un Paese in guerra e l’inclusione nella Nato porterà al coinvolgimento diretto della Nato e quindi degli Stati Uniti nella guerra. Una clausola fondamentale del trattato atlantico stabilisce che i nuovi membri debbano contribuire alla sicurezza dell’Alleanza. L’Ucraina in guerra contribuirà alla sicurezza in peggio. Il sostegno all’Ucraina è imposto dalla Nato: è vero, ma le norme del trattato stabiliscono che le decisioni siano prese all’unanimità e questa non c’è. E quando ci dovesse essere sarebbe l’unanimità nella rinuncia a esprimere e far valere la sovranità dei Paesi membri. Si dice che la partecipazione alla guerra è un interesse nazionale che coincide con quello della Nato: non è vero, l’interesse nazionale di Paesi come l’Italia è la cooperazione, la competizione se si vuole, ma non il conflitto. Se la Nato, come ora, si schiera in guerra fa solo gli interessi di qualche Paese in particolare. L’Italia sta pensando agli interessi nella produzione di armi e nella ricostruzione post bellica dell’Ucraina: vero, il mondo intero sta pensando a questo e oggi occorre valutare quanta parte potrà avere nella ricostruzione. Riuscirà questa parte a compensare le perdite secche che ora stiamo subendo in materiali, economia e finanza? Abbiamo bisogno di pace: è vero, ma non a qualsiasi costo e nemmeno una pace temporanea che contenga, come tutti i trattati di pace, i semi del successivo conflitto.
Le scelte politiche di questo periodo sono importanti e una soluzione del conflitto è possibile sul piano politico-diplomatico come era possibile evitarlo del tutto o interromperlo in qualsiasi momento. Oggi è sempre più difficile negoziare e per farlo occorre rinunciare a qualcosa. Non servono soltanto le rinunce della Russia e dell’Ucraina: serve un compromesso che salvaguardi la sicurezza europea. La politica deve rispolverare concezioni vecchie, ma collaudate. Per esempio, la de-militarizzazione del conflitto, come quando Iran e Iraq in guerra per dieci anni furono privati degli aiuti esterni; la smilitarizzazione di una fascia di sicurezza in Ucraina e Russia e la neutralità di quei Paesi avviati al conflitto come strumento per diminuire la percezione d’insicurezza dei vicini. Sono tutte cose che sembrano inefficaci e inattuabili e quindi sono state eliminate dalla visione politica orientata in un unico senso: la guerra. Occorre ribaltare l’approccio e considerarle possibili perché la soluzione militare sul campo non solo è impossibile, ma pericolosa qualunque essa sia.
Un’ultima riflessione: “Magari perderò voti, ma il mio programma di governo è: 1. Finire il conflitto in Donbass; 2. Parlare con i russi; 3. Neutralità ucraina”. Era il 2019 e il neoeletto presidente Zelensky lo dichiarò al Parlamento. Dall’estrema destra gli arrivò un avvertimento: “Non perderà solo voti”. E i comandanti delle milizie in Donbass gli dissero che finire lì e parlare coi russi sarebbe stato alto tradimento. Cambiò idea. Oggi, forse, con le stesse milizie decimate e con la guerra che va avanti solo con il supporto occidentale, si apre paradossalmente la via della demilitarizzazione agendo semplicemente sul sostegno esterno. E si apre la via per il ritorno alle intenzioni di quattro anni fa, con 200mila morti in più.
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