VIVERE DIMENTICANDO LA COMPETIZIONE SELVAGGIA da IL MANIFESTO
Vivere dimenticando la competizione selvaggia
SCAFFALE. «Generare libertà. Accrescere la vita senza distruggere il mondo» di Chiara Giaccardi e Mauro Magatti (Il Mulino)
Francesco Antonelli 30/03/2024
Il mondo costruito dalla globalizzazione, che sta andando in pezzi sotto i colpi di sfide sistemiche (come il cambiamento climatico e il riaccendersi delle tensioni internazionali) ha messo al centro un’idea essenzialmente negativa di libertà: libertà dell’individuo di slegarsi da tutti i vincoli sociali, etici ed istituzionali, promettendo per questa via di realizzarne la felicità mediante il consumo, l’esaltazione del narcisismo e l’autoreferenzialità.
QUESTO MODELLO è oggi non sostenibile sia per l’impatto in termini di consumo irresponsabile di risorse che esso comporta; sia perché ha generato atomizzazione crescente (e qui si annidano le ragioni profonde dell’ascesa mondiale dell’estrema destra) così come l’opposto di quanto promesso: la crescita della sorveglianza più o meno occulta ad opera di quegli apparati tecnologici – in primo luogo la sfera digitale – utilizzati dall’«io sovrano» per costruire ed esaltare sé stesso. In Generare libertà. Accrescere la vita senza distruggere il mondo (il Mulino, pp. 176, euro 15), Chiara Giaccardi e Mauro Magatti si interrogano su una nuova idea di libertà «sostenibile» (socialmente ed ecologicamente) rimettendo al centro una forte tensione etica: cosa vuol dire avere una «buona vita» e più opportunità senza condannarsi all’auto-distruzione collettiva e alla sopraffazione degli altri?
La risposta a questa domanda si basa sul rilancio e la ricodifica della «libertà positiva»: una libertà che si riconosce come relazione con l’altro e con il mondo; e che è soprattutto libertà di realizzare valori e attività all’interno e grazie a un contesto concreto di persone, di esseri viventi e di cose tra loro inestricabilmente connesse. Questo cambiamento auspicabile si fonda su due pilastri.
Il primo è il più classico e si riconnette a una tradizione ormai consolidata che va da Bateson a Morin, passando per Latour: riconoscere che le scienze naturali stesse, soprattutto quelle della vita, hanno dimostrato la centralità della connessione tra umano e non-umano. Il riconoscimento della verità della scienza in opposizione alla verità puramente manipolativa della tecnica rilancia una vera e propria etica naturale in grado di parlare a diverse culture e religioni, oltre l’etnocentrismo e l’antropocentrismo predatorio della tradizione occidentale.
IL SECONDO PILASTRO individuato da Giaccardi e Magatti, il più caratterizzante le analisi che hanno sviluppato negli ultimi anni, è quello di generatività. Il riconoscimento cioè della connessione tra le cose e gli esseri viventi come occasione per costruire qualcosa di nuovo nel mondo valorizzando e rispettando le relazioni, innanzitutto sociali: nascita, creatività e scambio intergenerazionale sono i principali vettori del principio generativo. Qualcosa che mostra come la libertà in relazione possa essere esperita oltre la sfera del consumo e quella della produzione, in una comunità inserita in un contesto naturale di viventi che cooperano tra loro. E nel quale la dimensione della cura come quella della reciprocità sono fondamentali.
Giaccardi e Magatti sottolineano come tutto questo debba evitare tre riduzionismi che rischiano di «normalizzare» e sussumere nell’attuale sistema socioeconomico centrato sull’esaltazione della libertà negativa, lo stesso principio generativo: il ridurlo ad esaltazione della procreazione; della pura attività di fabbricazione; oppure confonderlo con l’ascesa dell’intelligenza artificiale – detta appunto, e impropriamente, «generativa».
Del classico trittico messo al centro dalla Rivoluzione francese, Giaccardi e Magatti decidono di esplorare un nuovo orizzonte di riconciliazione tra libertà e fraternità, con esiti di sicuro interesse per tutto il mondo progressista. Tuttavia, a rimanere sullo sfondo della loro analisi sono le condizioni di possibilità (materiali, istituzionali, politiche) di questa rivoluzione culturale della generatività: la sfida che apre questo libro – anche all’interno di una prospettiva, come quella dei due autori, che afferma il primato del sociale sulla politica – è quella di chiudere il cerchio e di esplorare come la connessione tra libertà, fraternità e uguaglianza va ricostruita nel mondo di oggi e in quello di domani.
Se l’intelligenza artificiale diventa un archivio creativo
SCAFFALE. Intorno al libro «L’architetto e l’oracolo» di Gino Roncaglia (Laterza). Il digitale, dopo la frammentazione, potrebbe generare un nuovo strato di contenuti che complicherebbe l’orizzonte delle informazioni disponibili
Teresa Numerico 30/03/2024
Nel libro di Gino Roncaglia L’architetto e l’oracolo (Laterza, pp. 226, euro 19) si ipotizza che stiamo attraversando una trasformazione nelle tecniche di conservazione delle conoscenze, dipendente da nuovi dispositivi come le intelligenze artificiali generative, del tipo di ChatGPT (OpenAI e Microsoft), Bard (Google), Claude (Anthropic), LLaMa (Meta) e altri. Sarebbero loro i nuovi oracoli, capaci di mettere ordine nel disordine complesso dei dati digitalizzati.
SONO MOLTI I TEMI del ricco volume, ma la tesi principale è che il digitale, dopo la frammentazione, potrebbe generare un nuovo strato di contenuti che complicherebbe invece di frammentare l’orizzonte delle informazioni disponibili. Tale ingente aumento metterebbe in crisi il metodo che abbiamo ereditato per strutturare il sapere nei secoli, basato sull’architettura, cioè quello che prevede un’organizzazione esplicita e categorica dei contenuti, esemplificato nell’enciclopedia e a tratti nella biblioteca. L’aumento costante ed esponenziale dei meccanismi di registrazione delle informazioni e, quindi, una progressiva esternalizzazione della memoria esperienziale e storica potrebbe chiamare in causa l’oracolo – uno strumento incarnato dai sistemi offerti dall’intelligenza artificiale generativa, capaci di raccapezzarsi nella disponibilità illimitata di informazioni disorganizzate.
La biblioteca e l’archivio, strumenti dell’architetto, potrebbero, però, offrire in questo quadro di transizione un potenziale nuovo terreno nel quale collaborare con l’oracolo per rispondere alle nuove sfide della complessità, conseguenza dei meccanismi di registrazione delle attività e dei pensieri che si offrono in sostituzione del processo selettivo e ricostruttivo della memoria umana.
UNA VOLTA discusso della trasformazione digitale dell’enciclopedia, si passa a esaminare le capacità dell’oracolo di costruire testi sensati a partire dal prompt degli utenti, un fenomeno che costituisce sicuramente un passaggio epocale, straniandoci dalla convinzione che solo gli esseri umani siano in grado di maneggiare creativamente il linguaggio. A fronte di una complessa struttura tecnica che si nutre dei dati dei corpora di testi messi a disposizione, i sistemi generativi sanno rispondere in modo sensato e relativamente creativo, partecipando alle nostre conversazioni.
ALAN TURING considerava la capacità dialogica come un processo da esibire in sostituzione della questione insolubile su se le macchine possano pensare. La sua tesi ipotizzava di concentrarsi sulla loro performatività conversazionale, convinto che gli esseri umani proiettino sull’altro – umano o macchinico – il proprio desiderio di entrare in relazione. Complice l’ignoranza dei metodi adottati nell’addestramento, non siamo troppo interessati a comprendere le regole automatiche della conversazione.
La tesi del volume è che invece la complessità dei corpora e dei sistemi di addestramento sia in grado di fornire ai sistemi tecnici oracolari delle proprietà emergenti che possano corrispondere a qualcosa che, se riferita agli esseri umani, avrebbe a che fare con l’intelligenza. Inoltre, suggerisce che, studiando i metodi probabilistici che la macchina usa, potremmo anche scoprire come funzioni la capacità linguistica umana. Non si nasconde che si possano verificare le cosiddette «allucinazioni» del sistema e che a causa del consolidamento dei corpora usati per l’addestramento, siamo in presenza di scelte pregiudiziali che potrebbero dare luogo a discriminazione, ma ciò non si traduce in una sfiducia nei progressi a lungo termine, ritenendo che si eviteranno gli esiti più controversi.
Nel volume è inclusa anche una parte dedicata agli esperimenti di esternalizzazione della memoria umana e collettiva, avveniristici e perturbanti, oltre a una quarta sezione che interpreta testi di fantascienza che preconizzano questa trasformazione dell’architetto nell’oracolo, o un loro futuro sodalizio.
Il libro è dotato di un apparato di note fondamentale per esplorare ulteriormente i temi trattati e riesce a rendere una ricerca documentale molto approfondita sempre comprensibile, senza rinunciare ai concetti più tecnici e impervi.
IL PASSAGGIO dall’architetto all’oracolo, di cui si parla nel libro, non riguarda, però, solo l’organizzazione della conoscenza acquisita. Enciclopedie, archivi e biblioteche al centro della trattazione sono gli strumenti della conservazione del sapere. Ma anche l’attività della ricerca si sta trasformando in senso oracolare. Tale passaggio potrebbe lasciare sul campo della sconfitta non solo le capacità organizzative dell’architetto, ma anche i criteri di validazione intersoggettiva che hanno permesso lo sviluppo della scienza moderna, come la conosciamo.
Se la complessità delle informazioni sarà maneggiata solo attraverso sistemi sociotecnici, per giunta proprietari, ciò potrebbe significare la rinuncia alla mediazione umana nella definizione dei criteri di validazione e accreditamento delle conoscenze, e accettare il fatto che l’autorità scientifica sia nelle mani di chi governa, programma e ottimizza i sistemi oracolari, indipendentemente dall’expertise disciplinare. Inoltre, gli oracoli di cui parliamo si limitano a interpretare i testi, ovvero a estrarre significati da corpora standardizzati e selezionati dall’Occidente avanzato. E sappiamo che non tutte le conoscenze si trovano leggendo quei testi.
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