“VENI VIDI VICHY” da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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“VENI VIDI VICHY” da IL MANIFESTO

Patto di desistenza, Macron non scioglie la riserva

FRANCIA. Estrema destra al 33%, blocco di sinistra al 28% 306 le sfide “triangolari”. Ma non tutto è perduto. Il Fronte popolare fa un passo indietro quando utile. Tra i centristi invece ci sono dubbi. I Républicains, in netto declino, non danno nessuna indicazione di voto. La coalizione del presidente, Ensemble, in testa solo in 68 circoscrizioni

Anna Maria Merlo, Parigi  02/07/2024 

L’estrema destra è alle porte del potere in Francia. Ma è ancora possibile evitare il peggio, la maggioranza assoluta al Rassemblement National. Bisogna aspettare oggi alle 18, per vederci più chiaro sugli schieramenti per il secondo turno di domenica 7 luglio, dopo la conferma del terremoto politico che sta scuotendo la Francia con i risultati del primo turno.

Ieri c’erano già più di 170 “desistenze” al secondo turno dei candidati nelle 306 sfide “triangolari” possibili. L’alta affluenza alle urne ha permesso molte “triangolari”, cioè oltre ai primi due candidati arrivati in testa un terzo ha la possibilità di presentarsi (ci sono persino 5 quadrangolari).L’ESTREMA DESTRA – Rn più il drappello portato dall’ex Lr, Eric Ciotti (il partito di Zemmour, Reconquête, è quasi sparita) – ha ottenuto il 33%, 10,6 milioni di voti (nel 2017 ne aveva 3 milioni, cioè ha moltiplicato per quattro i consensi). Ha eletto 39 deputati al primo turno (Marine Le Pen ha preso il 58% nel Nord).

Il Rn è primo in 222 circoscrizioni, a cui si aggiungono altre 60 con l’ala Ciotti. Al secondo turno il Rn ha qualificato 383 candidati.

Il Nuovo Fronte Popolare, con il 28% dei voti, ha avuto 31 eletti al primo colpo ed è arrivato in testa in 128 circoscrizioni. Ensemble, la coalizione che sostiene Macron, ha avuto 2 eletti al primo turno ed è arrivato in testa solo in 68 circoscrizioni.

Cosa faranno Nfp e Ensemble al secondo turno, nel caso di triangolari? La sinistra è chiara: ritiro della candidatura nel caso in cui l’esponente del Nfp sia in terza posizione e invito ai propri elettori a votare contro l’estrema destra, per il candidato in migliore posizione (che può essere di Ensemble o Lr).

Jean-Luc Mélenchon già domenica sera ha affermato: «Nessun voto al Rassemblement National» e ha precisato «in caso di terzo posto, ritiro». Più confusa la posizione dell’area Macron, dove sono compresenti tutte le sfumature. «Di fronte al Rn è il momento di un’ampia unione chiaramente democratica e repubblicana al secondo turno» ha affermato Macron domenica sera.IERI IL PRESIDENTE ha riunito il governo all’Eliseo, per mettere a punto una strategia, ma non c’è stato un vero chiarimento. Il primo ministro, Gabriel Attal, e alcuni ministri, come Laurent Lescure, sono chiaramente per la “desistenza” in ogni caso per favorire il candidato meglio piazzato del Nfp.

Ma nell’area, ci sono molti dubbi.

Per il ministro delle Finanze, Bruno Le Maire, la desistenza è valida se c’è un “socialdemocratico”, quindi è esclusa la France Insoumise. L’ormai ex presidente dell’Assemblée Nationale, Yaël Braun-Pivet, dice: «Nessun voto al Rn» ma «nella France insoumise faccio dei distinguo» e propone il “caso per caso”. L’ex primo ministro, Edouard Philippe, con il suo gruppo Horizon è per il “ni ni”, né voto per Rn né per Lfi.

Ma gli elettori dei due campi seguiranno le indicazioni dei partiti? Non è sicuro, perché ormai il “cordone sanitario”, con la costituzione di un “fronte repubblicano” è saltato, non funziona più. Il depotenziamento del “fronte repubblicano” è avvenuto parallelamente a un cambiamento nell’elettorato dell’estrema destra: non si tratta più di un voto solo di protesta, di espressione di rabbia, ma ormai è di adesione alle posizioni del Rassemblement National, cioè sulla “preferenza nazionale” e il rigetto degli immigrati, mentre la macchia bruna si è diffusa in tutta la Francia, solo le grandi città sono escluse, Parigi in testa.

I RÉPUBLICAINS, che sono in netto declino, non hanno invece dato nessuna indicazione di voto: già una parte (con Ciotti) si è fusa nell’estrema destra, e l’altra mostra già le prime crepe (pensa a una coalizione all’italiana?). Attal, per tendere la mano alla sinistra ha “sospeso” nella notte l’applicazione del decreto di riduzione dei diritti dei disoccupati, che doveva entrare in vigore oggi.

LA FRANCIA CONFERMA la divisione in tre blocchi, con quello centrale in perdita di importanza. Ma il candidato a primo ministro di Rn, Jordan Bardella, vuole lo scontro diretto con la sinistra, che identifica con Lfi: ieri ha proposto un dibattito tv a Jean-Luc Mélenchon. Ma Mélenchon non è il candidato della sinistra a primo ministro e ha declinato.

Il Nfp non ha scelto una personalità per il momento e tra le forze che lo compongono c’è molta insofferenza su questa questione. «Me ne frego di Mélenchon», è esplosa la leader dei Verdi, Marine Tondellier, «l’importante è battere l’estrema destra». Per il segretario del Ps, Olivier Faure (eletto al primo turno), «l’ondata non è inevitabile», c’è ancora la possibilità di sconfiggere il Rn.MOLTE LE REAZIONI dall’estero. Per la ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, «nessuno può restare indifferente», Germania e Francia «hanno una responsabilità comune» in Europa. Lo spagnolo Pedro Sánchez punta alla «speranza nella mobilitazione della sinistra francese».

Mentre la Russia di Putin «segue da vicino» il voto e si rallegra che «le preferenze già appaiono chiare»: Thierry Mariani, del Rn, ieri era a Mosca (futuro ministro degli Esteri?).

«Stati forti, Unione debole»: la lunga marcia verso destra

INTERVISTA. Lo storico Donald Sassoon: «Prima l’Italia, ora la Francia, poi toccherà alla Germania…»

Leonardo Clausi, Londra  02/07/2024

Donald Sassoon è professore emerito di storia europea comparata al Queen Mary College, University of London. Tra le sue opere principali figurano monumentali storie comparate del socialismo europeo e dei consumi culturali. Il titolo provvisorio del suo ultimo lavoro è Revolutions (Verso), attualmente in corso di traduzione per Garzanti.

Professore, sono almeno quindici anni che si sta compiendo questa lunga marcia della famiglia Le Pen verso il potere in Francia: è arrivato il momento che si temeva?

Marine Le Pen è sempre andata avanti, naturalmente spostandosi verso il centro, ha continuato aumentare da quando suo padre Jean-Marie aveva battuto Jospin (2002, ndr). È un partito che continua ad avanzare, anche se siamo ancora lontani dal cosiddetto ultimo atto. È più probabile che al secondo turno ci ritroveremo con un Parlamento senza maggioranza assoluta.

È un periodo di incertezza per la Francia e considerando il peso della Francia in Europa di incertezza per l’Europa, cui hanno contribuito altri paesi importanti come l’Italia con Giorgia Meloni e la Germania, dove ormai il partito di estrema destra, molto più a destra sia di Meloni che di Marine Le Pen e cioè AfD, ha battuto i socialdemocratici alle europee. Senza contare l’avanzata della destra in Austria e in Olanda e anche in Gran Bretagna, dove sono tutti d’accordo che questo giovedì alle elezioni vincerà certamente il Labour Party.

Come giudica la ripulitura moderata del truculento partito di Jean-Marie?

Credo sia inutile fare questo tipo di paragoni perché un nuovo partito deve trovare la sua “fetta di mercato.” Quella del padre di Marine Le Pen e di altri come Tixier-Vignancour negli anni Sessanta era l’estrema destra, cioè la Francia tradizionale anticomunista: sarebbero stati monarchici se ci fosse ancora questa opzione.

Una volta conquistata questa fetta, il 10, 15, 20% al massimo, non si può fare altro che muoversi verso il centro, soprattutto in un sistema politico come quello francese che in fondo è un sistema a due partiti, un po’ come quello inglese, temperato dal fatto che si vota la prima volta chi si vuole, la seconda volta per i meno peggio.

Anche alle recenti europee c’è stato uno spostamento a destra, ma le destre hanno comunque un forte coefficiente nazionalista. Come vede la tensione fra europeismo e nazionalismi?

Questo conterebbe molto se i 27 Stati nazione in Europa avessero un peso molto forte verso l’Unione stessa. Ma l’Unione Europea ha dei meccanismi relativamente deboli rispetto ai poteri dello Stato-nazione. Il potere più forte dello Stato nazione è quello fiscale, seguito dalla politica estera e poi la politica del welfare.

Queste tre politiche sono europee a livello di Stato nazione e non fanno parte del sistema europeo: uno può essere un convinto nazionalista e nello stesso tempo essere filo europeo. De Gaulle ne era l’esempio più chiaro, era patriottico ed era nazionalista; allo stesso tempo, non mise mai in discussione l’Europa perché pensava che comunque la Francia vi avrebbe giocato un ruolo egemone approfittando dell’impossibilità che la Germania facesse altrettanto.

Questa spinta del baricentro a destra non è il risultato della più o meno universale adesione da parte di tutte le maggioranze di centrosinistra o centrodestra europee alle politiche neoliberali?

Sono sempre stato un po’ scettico nei confronti di questa definizione, intesa più o meno nel senso di voler ridurre il peso dello Stato. Nella politica pratica è impossibile andare avanti con sempre meno Stato, soprattutto di fronte a difficoltà economiche: ogni Stato cerca di difendere la propria economia e così facendo deve per forza intervenire. In questo senso non agisce in modo neoliberale, se vogliamo lo fa in senso pro capitalista, ma ormai sono tutti pro capitalisti, che siano di centro o di sinistra.

Il problema principale è cosa debba fare un partito pro capitalista per salvare o aiutare proprio i capitalisti, soprattutto in un’Europa divisa tra 27 stati in un mondo che vede la difficoltà dell’Europa di intervenire nei due principali conflitti internazionali di oggi, cioè quello del Medio Oriente e quello russa Ucraina o di contrastare l’ascesa della Cina nel mercato mondiale.

Trump possiamo davvero definirlo neoliberale quando cerca di mettere il massimo di protezionismo di tariffe sugli import della Cina? Io ho sempre sostenuto che avere un approccio liberale verso il proprio capitalismo dipende da dove ti trovi nel sistema mondiale. E qui c’è un’ipocrisia di massa: gli Stati Uniti avevano delle barriere doganali nell’Ottocento più forti di qualsiasi altro Paese eccetto la Russia zarista. Quando sono poi arrivati a essere il primo paese industriale al mondo hanno cambiato linea e sono diventati difensori del free trade.

Il politico cerca una giustificazione ideologica a quanto ha già fatto nella contingenza. Secondo me i limiti di manovra di un governo di destra in economia sono limitati come quelli della sinistra. Per questo i partiti di destra sono ossessionati dall’immigrazione o dai diritti civili.

Possiamo dire che il campo dei diritti civili sia l’unico territorio che distingue il centrodestra dal centrosinistra perché è l’unico dove c’è un effettivo scontro “di civiltà” fra i due?
Magari ci fosse uno scontro, non c’è proprio. I partiti di centrosinistra cercano di andare timidamente verso forme di diminuzione dei diritti civili perché hanno paura dell’avanzata della destra.

La battaglia frontale molto forte che ci dovrebbe essere ma non c’è è ovviamente quella sull’ambiente, perché una politica che difende l’ambiente è necessariamente una politica restrittiva per i consumi.

La base del capitalismo moderno è non solo il consumo individuale, ma la promessa che questo possa continuare eternamente. Per questo sia Sunak che Starmer, come i loro omologhi, continuano a martellare sulla crescita.

Donald Sassoon

I diritti civili unico terreno rimasto di vero scontro? Magari ci fosse uno scontro, ad esempio sull’ambiente: la base del capitalismo è la promessa che i consumi continuino eternamente

Il movimento verso destra dell’Europa ne influenzerà la subordinazione nei confronti degli Stati Uniti rispetto alla Nato?

Non si capisce bene che funzioni possa avere la Nato. Venticinque anni fa scrissi un pamphlet per un think tank di centrosinistra in cui dicevo che dovevamo assolutamente sbarazzarcene, perché mantenere la Nato, o addirittura allargarla, non poteva che incentivare il nazionalismo in Russia. E mentre qui si continua a parlare della Nato, Donald Trump torna all’isolazionismo pre-seconda guerra mondiale.

C’è stato un grande aumento dell’affluenza alle urne in Francia. Secondo lei ci sarà una risposta altrettanto incoraggiante a livello di affluenza nelle elezioni britanniche?

Non credo. Ormai è sicuro che il Labour party vincerà le elezioni e il sistema elettorale che abbiamo non incoraggia ad andare alle urne perché nella maggioranza delle circoscrizioni il risultato è comunque certo. L’affluenza aumenterà forse nei marginal seats, i collegi incerti.

C’è poi un altro fatto che distingue queste regioni britanniche dalle altre e che aumenta le difficoltà del partito conservatore. Mentre per il Labour Party è abbastanza semplice, basta spostarsi verso il centro, i conservatori di Sunak devono fare fronte a Reform Uk, il partito di estrema destra di Farage verso il quale hanno perso tutte le elezioni europee e dunque dovrebbero spostarsi a destra; ma facendolo rischiano di perdere voti sia verso i liberali che verso il Labour.

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