TENDE ALLA COLUMBIA, ACCUSE ARCHIVIATE. L’ATENEO SI VENDICA da IL MANIFESTO
Tende alla Columbia, accuse archiviate. L’ateneo si vendica
STATI UNITI. La procura chiude il chiuso contro gli studenti, ma laurea negata. Le cerimonie diventano nuovo teatro della protesta. Si dimette un altro funzionario della Casa bianca. Le reti ebraiche sfidano l’Aipac
Luca Celada, LOS ANGELES 23/06/2024
La procura di Manhattan ha archiviato le denunce nei confronti di 31 dei 46 studenti imputati nell’occupazione dei Hamilton Hall, l’edifico dell’amministrazione di Columbia University. L’ateneo di New York è stato uno dei punti focali della protesta studentesca contro il massacro in Palestina che dura da otto mesi.
I CAMPUS americani sono ormai perlopiù chiusi, i corsi terminati e gli studenti tornati a casa per la pausa estiva. Anche le ultime cerimonie di laurea hanno avuto luogo col loro rituale di aulici discorsi, toghe e cappelli lanciati al vento e quest’anno anche molto di più.
I commencement, così si chiamano le cerimonie di consegna del titolo, sono state invariabilmente segnate dalla contestazione, a cominciare dall’ateneo simbolo di Harvard dove il mese scorso la cerimonia è stata segnata dal boicottaggio degli studenti. Centinaia di giovani e docenti solidali hanno voltato le spalle durante il discorso del rettore Alan Garber e hanno abbandonato l’evento per protestare contro la sospensione di tredici studenti che avevano partecipato all’accampamento contro la strage.
Agli studenti sospesi, l’università ha negato la laurea. Garber è rettore ad interim, nominato sostituto di Claudine Gay, in precedenza radiata dopo essere stata convocata dalla commissione parlamentare per l’antisemitismo costituita da parlamentari filo israeliani.
La scena si è ripetuta analoga la scorsa settimana in California, a Stanford e prima alla Columbia di New York per citare solo alcune delle università più rinomate del paese, dove la generazione destinata a produrre molti dei ceti dirigenti di domani ha impedito che l’orrore palestinese fosse rimosso dall’attuale classe politica che sostiene la carneficina. A Ucla la distribuzione delle lauree è stata interrotta dagli studenti che hanno esibito bandiere palestinesi e alzato mani tinte di rosso sangue, chiedendo l’amnistia per i compagni arrestati nelle violente repressioni di polizia avvenute a Los Angeles, Berkeley, Irvine e altri campus della California.
CON L’ANNO accademico concluso, il movimento per il disinvestimento delle università dal complesso militare finanziario che sostiene Israele, ha in parte riorientato l’attivismo su obiettivi politici, quali il contrasto della lobby filoisraeliana Aipac che perora la causa israeliana con pressioni e lauti finanziamenti bipartisan a parlamentari Usa. In particolare formazioni pacifiste ebraiche come Jewish Voice of Peace e IfNotNow, parte integrante del movimento studentesco, hanno preso ad affrontare direttamente i politici che accettano contributi AIpac e chiedergliene conto in video sui social.
Il diffuso disagio politico per il sostegno americano alla pulizia etnica in corso perdura insomma anche dopo la conclusione dell’anno accademico. Ieri un altro alto funzionario del dipartimento di stato ha annunciato le dimissioni. Andrew Miller, sottosegretario del ministero degli esteri ha aggiunto il proprio nome alla lista di diplomatici statunitensi che hanno lasciato il posto da quando sono iniziate le operazioni militari a Gaza, tra questi Josh Paul, direttore dell’ufficio affari politici e militari, e il maggiore Harrison Mann della Defense Intelligence Agency.
Il mese scorso Lily Greenberg, assistente al capo di gabinetto del ministero degli interni, si era aggiunta alla lista di funzionari dissenzienti dell’amministrazione Biden, molti ebrei, espressione del crescente disagio di diplomatici formati nella dottrina dei due stati, che ora di trovano ad abilitare il governo di ultradestra di Israele che Biden riesce solo formalmente a criticare.
LA SENATRICE Elisabeth Warren, intanto, è divenuta l’ultima esponente progressista ad annunciare che non presenzierà al discorso di Benjamin Netanyahu al Congresso, previsto per il 24 luglio, un intervento, quello del leader incriminato dalla Corte penale per presunti crimini di guerra, che rischia di essere anche un contributo elettorale a Donald Trump. Il partito repubblicano sostiene compattamente Israele, mentre i democratici sulla questione sono sempre più divisi.
Milano, l’Intifada studentesca incalza l’accordo con la Reichman Univesrity
SAPERI DI PACE, NON DI GUERRA. Prosegue la lotta per rescindere il legame tra la Statale e l’ateneo israeliano a vocazione militare. Il Coordinamento Unimi per la Palestina ora punta a partecipare alla commissione del 4 luglio
Susanna De Guio 23/06/2024
Tra gli stand disposti ieri nel cortile dell’Università degli Studi di Milano per l’Open Day ce n’era uno scortato da studenti vestiti da militari, con mitra di plastica: era quello montato dall’Intifada Studentesca che da mesi chiede al rettore e al Senato accademico di rescindere l’accordo con l’israeliana Reichman University: il nome sullo stand appariva macchiato di sangue e attraversati da proiettili.
«È UN’UNIVERSITÀ a forte vocazione militare, che offre programmi specializzati per i membri dell’esercito, vanta ex generali e comandanti del Mossad tra i membri del suo consiglio d’amministrazione, organizza eventi e corsi di formazione con i servizi segreti, di sicurezza e antiterrorismo» spiega un portavoce dell’Intifada Studentesca che a maggio ha occupato la Statale con decine di tende e prodotto un dettagliato dossier sul sostegno della Reichman allo sforzo bellico di Israele a Gaza.
Il 19 giugno si è riunita la prima commissione destinata a valutare questo accordo interuniversitario, dopo mesi di pressioni a cui si sono uniti alcuni docenti e poi ricercatori, dottorandi e personale tecnico amministrativo, da poco riuniti nel Coordinamento Unimi per la Palestina. «Avevamo chiesto che alla commissione fossero presenti anche docenti che hanno firmato la lettera in cui si argomenta la richiesta di rescissione, invece gli unici presenti erano quelli che questo accordo l’hanno voluto» spiega una ricercatrice rappresentante del Coordinamento. Insisteranno per essere ammessi alla prossima commissione, il 4 luglio, e poi finalmente il 9 si riunirà nuovamente il Senato accademico per votare una risoluzione sul tema.
Sarà un primo risultato, considerando che le autorità della Statale si erano finora rifiutate addirittura di entrare nel merito, ma la componente studentesca e lavoratrice dell’università che si è mobilitata in questi mesi intende andare oltre: la riflessione aperta con la denuncia del genocidio in Palestina si è allargata e sta mettendo in discussione il ruolo dell’università nel contesto politico attuale: «Anche il legame della Statale con Eni è problematico, così come le esercitazioni di Mare Aperto» continua il referente dell’Intifada Studentesca, e un altro esempio è l’accordo che c’era fino a settembre scorso con la Ariel University, che sorge nei Territori Occupati. «Bisogna cambiare l’assetto di fondo, in modo che l’università non favorisca più né guerre, né espropriazioni, né colonialismi, né genocidi».
Anche sul fronte del personale universitario c’è la volontà di intervenire «sul ruolo del sapere nel promuovere contesti di pace invece che di guerra» spiegano dal Coordinamento, che aveva firmato anche la lettera aperta al Maeci per la sospensione dell’accordo di cooperazione industriale, scientifica e tecnologica tra Italia e Israele, rispetto al rischio di dual use delle ricerche.
Nelle università in tutta Italia si stanno interrogando sulle possibilità di azione che hanno di fronte al genocidio: «C’è la necessità di fare rete per promuovere il supporto a studiosi e studenti palestinesi, abbiamo sentito con forza l’appello che è arrivato dagli accademici di Gaza, che hanno scritto una lettera aperta al mondo per ricordare la distruzione di tutte le università nella Striscia e chiedere solidarietà. Per questo cerchiamo di lavorare per ottenere borse e programmi di studio congiunti, cioè per costruire una solidarietà fattiva con la Palestina».
Le acampadas con le tende, le proteste e i reclami dentro le università si sono diffuse in tutto il mondo come strumento per alzare la voce contro il genocidio che Israele sta consumando contro il popolo palestinese, «nelle settimane di occupazione in via Festa del Perdono abbiamo più volte organizzato dei collegamenti con altre mobilitazioni in giro per il mondo, sia dagli Stati Uniti che con quelle più vicine a noi, dalla Spagna, dalla Francia, dal Belgio, dall’Olanda. La cosa positiva di questo spazio politico che si è creato è il fatto di poter condividere le esperienze e di essere sempre un po’ in collegamento» conclude un’altra esponente dell’Intifada Studentesca, che è parte anche dei Giovani Palestinesi. La protesta partita dalle università – la Statale, poi anche Bicocca e Città Studi – dialoga inoltre con le manifestazioni per la Palestina che si radunano ogni sabato, ed è ora diventata un’assemblea permanente anti imperialista, disposta ad estendere il confronto, dentro e fuori dalle università, fin da ora e con più forza da settembre.
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