TELEVISIONE: DA RISORSA A LAVAGGIO DEL CERVELLO da IL FATTO
70 anni fa la tv era una risorsa adesso è rissosa e diseducativa
GIANDOMENICO CRAPIS 4 GENNAIO 2024
Oggi la televisione non è più quella che vide la luce il 3 gennaio del 1954: un solo canale, un monopolio statale, pochi programmi dalle 17 alle 23 con l’eccezione della domenica quando alle 11 c’era la Santa Messa. Ma non è nemmeno quella che uscì dallo stretto controllo statale per aprirsi negli anni 80 al consumo, alla pubblicità, al mercato, un modello che resistette fino all’avvento del web, che per molti è sembrato segnarne la fine. Un errore, perché la televisione rimane tuttavia centrale nella comunicazione degli anni duemila e per vari motivi: perché è ancora l’unico mezzo a poter davvero raggiungere la totalità dei cittadini con un linguaggio accessibile a chiunque; perché spesso molti dei contenuti del web sono proprio quelli televisivi; perché la tv scomparsa dal salotto di casa è rinata sugli schermi dei computer, dei tablet, dei telefonini.
Quel che invece è mutato profondamente è la funzione nella società di un mezzo che fino agli anni 70 ebbe, con tutti i limiti di un modello pedagogico e a volte bigotto, un ruolo fondamentale di coesione sociale, di acculturazione di massa, di costruzione della democrazia e dell’identità nazionali, annullando campanili, dialetti e separatezze con la sua forza centripeta.
Il fatto è che con il nuovo secolo la tv da risorsa è diventata un problema: non è più un collante per il Paese, polarizza e divide, non accultura le masse, dissipa il prodotto in funzione del solo mercato in rivoli sempre più piccoli, con un pubblico spezzettato tra vari canali e innumerevoli trasmissioni, a volte più numeroso, a volte meno. Certo, come ha dimostrato l’esperienza della pandemia nel biennio 2020-2021, la televisione rimane al di là di tutto uno strumento fondamentale per le comunità nei momenti di emergenza, di gran lunga più forte di qualsiasi nuovo mezzo, riprendendosi in pieno il suo ruolo unificante e in parte la sua autorevolezza. Ma più in generale il grande racconto che essa ha narrato agli italiani fino agli anni Ottanta s’è dissolto oramai in un pulviscolo di micronarrazioni settoriali: ridimensionato il suo ufficio di integrazione sociale, la tv nell’ultimo quarto di secolo si è avviata a grandi passi verso una replica infinita di sé stessa.
Oggi la televisione è problema, per la società e per la democrazia. E non solo per l’essenza duopolistica del nostro sistema e la sua spiccata politicizzazione, ancor più consolidatasi dopo il 1994. Ma anche per il processo di mediatizzazione e personalizzazione della politica di cui è stata, ed è, il motore. Chi scrive resta convinto che i vantaggi derivanti dalle maggiori opportunità di partecipazione e di informazione offerti ai cittadini dalla spettacolarizzazione della politica alla fine risultino inferiori rispetto agli effetti deleteri di quest’ultima sul discorso pubblico: la frammentazione, la conflittualità, la rissa, il presenzialismo esasperato, il ricorso agli effetti speciali allontana l’elettore dalla conoscenza razionale delle questioni, spingendolo a valutazioni di tipo impressionistico, estetico, emotivo, forgiando tifoserie più che schieramenti. Il fenomeno non è solo italiano ma mi sembra di poter dire che nel nostro paese, con la complicità della tv e di molti dei suoi protagonisti e dirigenti, la comunicazione politica ha preso la piega dell’alluvione parolaia, del presenzialismo catodico quotidiano, un fenomeno che alla fine ha contribuito alla crescita della disaffezione dalla politica e dai partiti.
La televisione, insieme alla corruzione, ai cambiamenti costituzionali ed elettorali, è stata certamente uno degli elementi chiave della trasformazione italiana e della sua storia a cavallo del passaggio di secolo. Non ci risulta sia accaduta la stessa cosa negli altri paesi occidentali.
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