PERCHÈ L’UCRAINA NON PUÒ VINCERE da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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PERCHÈ L’UCRAINA NON PUÒ VINCERE da IL FATTO

Perché l’Ucraina non può vincere

LA BATTAGLIA IN EUROPA – Svaniti i due obiettivi Usa di far fallire l’economia russa attraverso sanzioni e di espellere la Federazione dal novero delle grandi potenze, sul campo lo scontro è ancora ìmpari

 PINO ARLACCHI  31 MAGGIO 2023

Il conflitto in Ucraina viene spesso definito come una guerra di posizione, di trincea, più simile alla Prima che alla Seconda guerra mondiale. La guerra di posizione si distingue per la sua brutalità, dove a pesare sul risultato sono il numero di morti nel campo di battaglia causati soprattutto dalla potenza del re delle stragi, l’artiglieria.

I fattori che contano nelle guerre di posizione non sono gli armamenti disponibili all’inizio dello scontro, ma quelle che vengono chiamate le capabilities dei contendenti: la popolazione, il territorio, l’apparato industriale, le fonti di energia, le risorse naturali. Cioè l’hardware che consente di finalizzare verso lo sforzo bellico le risorse di un Paese.

È per questo che non c’è vera partita nello scontro tra la Federazione russa e l’Ucraina, anche se dietro quest’ultima si è schierato l’Occidente euroamericano. Le forniture di armamenti dalla Nato non saranno mai sufficienti a colmare un gap a favore della Russia che va dal due a uno nelle perdite in battaglia, dal cinque a uno nella popolazione, dal sette al dieci nell’artiglieria, e dal sedici al cinquanta nel resto delle capabilities.

È vero che si possono detenere risorse immense senza essere capaci di usarle o senza volerle usare, ma non è questo il caso della Russia di oggi. Essa condivide con l’Ucraina la convinzione di lottare contro una minaccia per la propria stessa esistenza che le impone di mettere in ballo tutte le sue forze. Ma, a differenza dell’Ucraina, la Russia è una grande potenza dotata di un micidiale arsenale nucleare, di un grado di autosufficienza economica senza uguali (detiene oltre il 20% delle risorse naturali del pianeta), e di una tradizione di invincibilità che risale al Diciottesimo secolo e che le ha consentito di fare a pezzi invasori del calibro di Napoleone e di Hitler.

Minacciarla fin quasi dentro i suoi confini come hanno fatto gli Stati Uniti dopo la fine dell’Urss tramite l’espansione della Nato non è stata una buona idea, ma una ricetta per il disastro attuale, annunciato tra l’altro dai più autorevoli leader occidentali che hanno guidato la Guerra fredda.

Lo scontro in corso non è tra Russia e Ucraina. Se fosse così, esso sarebbe terminato da un pezzo o non sarebbe mai arrivato al confronto militare. Nessun governo ucraino avrebbe mai osato provocare la Russia massacrando l’etnia russa del Donbass e poi concludere un falso accordo a Minsk garantito dalle potenze europee, se queste non lo avessero spinto in quella direzione.

È quanto rivelato candidamente dalla signora Merkel, da François Hollande e da altri: abbiamo mentito a Putin firmando un accordo che non avevamo intenzione di rispettare, con il solo scopo di guadagnare il tempo necessario per armare l’Ucraina.

La reazione armata della Russia è stata certamente un eccesso di legittima difesa che ha fatto in un certo senso il gioco degli antagonisti occidentali. Ma è difficile ipotizzare, viste le circostanze, un percorso alternativo per Putin. Dopo il febbraio dell’anno scorso, infatti, sono via via venuti alla luce i tre obiettivi di fondo degli Stati Uniti, da perseguire con o senza il consenso degli alleati: la disfatta della Russia nel territorio di una Ucraina da trasformare in un bastione occidentale, la rovina dell’economia russa tramite sanzioni e confisca di beni detenuti all’estero, l’espulsione della Federazione Russa dal novero delle grandi potenze.

A quindici mesi dall’inizio della guerra, è chiaro che il secondo e il terzo di questi obiettivi si sono rivelati impossibili da raggiungere.

L’economia russa ha resistito senza grandi sforzi, ed è l’Europa che ha patito l’autogol della rinuncia al gas russo.

Lo standing della Russia presso i tre quarti del mondo è rimasto tale e quale o si è rafforzato, assieme alla sua amicizia con la Cina. E dopo la leva di 300mila uomini, dopo il miglioramento delle tattiche di guerra russe lungo quest’anno, e dopo la caduta della città-simbolo di Bahkmut a opera dei contractors russi senza l’aiuto dell’esercito regolare, anche la sconfitta di Mosca in Ucraina si è rivelata una chimera.

È evidente che l’Ucraina ha raggiunto e superato il culmine nella mobilitazione delle proprie capabilities, soprattutto in termini di popolazione e di numero di combattenti, mentre la Russia è solo all’inizio di un trend di potenziamento.

I militari americani già da mesi consigliano di seguire strade alternative alla vittoria militare, perché a questo punto non si può più escludere che avvenga il contrario di quanto desiderato da media e governi occidentali: una continuazione in Russia dei fiaschi statunitensi in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria.

Governi e media occidentali non parlano più di vittoria ucraina. Washington ha iniziato a diffondere proprio in questi giorni l’idea di una cessazione delle ostilità senza accordo di pace, senza negoziato diplomatico: un frozen conflict tipo Corea che può trascinarsi a tempo indefinito, e che lasci gli spazi attuali nelle mani di chi li controlla.

Ciò significa che la Russia può incorporare le quattro province che già occupa, pari al 23 per cento del territorio ucraino, più le altre quattro a Ovest di quelle già occupate e che intende conquistare nei prossimi mesi, prima del cessate il fuoco.

Se ciò accade, il 46 per cento del territorio ucraino – circa l’intera area russofona – apparterrà alla Russia. L’Ucraina diventerà uno Stato smembrato e sull’orlo del fallimento, mantenuto in vita dal denaro e dalle armi dell’Occidente. La Russia dovrà sopportare l’ingresso dell’Ucraina nella Nato e il rischio continuo di una ripresa delle ostilità, come appunto avviene nei frozen conflicts. E l’Europa continuerà a pagare il prezzo della sua discesa nella tomba di un impero americano seppellito da un mondo divenuto ormai multipolare.

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