OCCUPAZIONE SENZA LEGGE: COLPE STORICHE DI ISRAELE E USA da IL FATTO
Occupazione senza legge: colpe storiche di Israele e Usa
CATTIVI ESEMPI – Nei conflitti che hanno scatenato, dalla Striscia all’Afghanistan, i due Stati non hanno mai tenuto conto del diritto internazionale
FABIO MINI 24 OTTOBRE 2023
Pristina 2003: dopo un anno di comando lascio il Kosovo. Non ho nulla da rimproverarmi, ma nemmeno da compiacermi. Avevo ricevuto dei compiti da assolvere stabiliti dalla risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza Onu, dagli accordi di Helsinki e dal comando Nato. Per quanto possa sembrare strano era proprio il Comandante di Kfor a riunire questi tre mandati internazionali e a costituire riferimento e responsabilità per 44 Stati partecipanti alle operazioni in Kosovo. Un anno dopo dovetti verificare che molti Paesi, tra cui il nostro, avevano delegato tutto alla Nato, che la Nato aveva una sua agenda opposta alla risoluzione 1244 e che i rappresentanti delle Nazioni Unite non avevano alcuna voglia di perseguire gli scopi delle stesse Risoluzioni. Avevamo fallito tutti. Il Kosovo era ancora instabile e le discriminazioni di etnia erano diventate politica ufficiale. I comandanti di Kfor continuavano a esser soli e a dover ricorrere al proprio buon senso ogni volta che le direttive e i suggerimenti, mai tradotti in ordini, lo perdevano.
Pochi mesi dopo, giugno 2004, vengo invitato dal Naval War College di Newport a una conferenza internazionale sulle sfide giuridiche poste dal diritto internazionale nella sicurezza nazionale e nella lotta contro il terrorismo. Sono presenti accademici, giuristi e molti ufficiali del Jag (Judge Advocate General), il corpo della Giustizia militare Usa. Sono militari e americani anomali: credono nel diritto internazionale. Nel quadro di uno Stato campione di democrazia i cui governanti e comandanti militari credono di non dover rispondere a nessuno, che applicano con scrupolo solo l’uso della forza, che ignorano e non sottoscrivono le principali convenzioni internazionali per poter avere mano libera, che non riconoscono né il primato Onu e nemmeno quello della Nato se non nel diritto di veto che hanno nelle prime e dell’egemonia assoluta che esercitano nella seconda, i Jag sono delle eccezioni. Erano stati loro a salvaguardare i propri soldati schierati nei Balcani e nel mondo con estenuanti lavori per giungere a un accordo legale con gli Stati “ospitanti”. Mentre i legal advisor inglesi assicuravano i comandanti di Kfor che “potevano fare ciò che volevano”, quelli del Jag dicevano chiaramente quello che non poteva fare nessun comandante. Inclusi quelli statunitensi, anche se essi non sempre ascoltavano le “fisime” dei loro Jag. Furono loro a espormi l’illegalità delle detenzioni preventive, il rischio di violazioni dei diritti umani connessi con la “piccola Guantánamo” di Camp Bondsteel di cui proprio gli americani erano orgogliosi tenutari. E fui felice di accogliere i loro pareri emanando gli ordini di svuotare il campo, annullare le detenzioni immotivate e imporre un limite massimo di 48 ore a quelle preventive, sbloccare le richieste di risarcimento danni dei civili, riportare nella legalità le stesse istituzioni para-militari kosovare. Saranno loro a denunciare e perseguire gli abusi di Abu Ghraib e Bagram, saranno gli stessi miei advisor a rivedere migliaia di ordini di arresto e detenzioni abusive in Iraq, saranno loro a sferzare le stesse gerarchie militari di fronte alle violazioni dei diritti umani, proprio mentre la retorica politica e militare Usa stabiliva l’esistenza di Stati e persone “canaglie” ai quali non era riconosciuto alcun diritto.
A Newport (RI) parlo delle interpretazioni e mistificazioni di due termini “Liberazione e Occupazione”. Il primo abusato dalla propaganda dei vincitori e degli stessi “liberati”, il secondo volutamente ignorato proprio nei suoi aspetti giuridici. Nessun esercito al mondo vuole essere definito “occupante” ritenendo, a ragione, che sia una cosa sconveniente e, a torto, che l’occupazione comporti e giustifichi solo gli abusi. Richiamando la IV Convenzione dell’Aja del 1907 e relativi Regolamenti annessi, confluiti nelle norme internazionali delle convenzioni di Ginevra, metto in evidenza che tali norme prevedono per occupanti e occupati una serie di diritti e doveri soprattutto nella salvaguardia della popolazione civile. Le norme stabiliscono l’occupazione militare come una situazione di fatto che non ha bisogno di autorizzazioni o riconoscimenti di parte: scatta nel momento in cui una forza militare di qualsiasi livello esercita i suoi poteri su tutta o parte del territorio altrui. L’occupazione de facto prescinde dai fini o dagli eventi che l’hanno determinata e comporta la responsabilità della sicurezza delle popolazioni di tali territori. La Nato in Kosovo è giuridicamente una forza occupante e i regolamenti prevedono per essa più doveri che diritti. Fra i quali quelli di garantire sopravvivenza e incolumità degli occupati. Tra gli ascoltatori c’è il prof. Yoram Dinstein, ebreo israeliano, attento alla questione del terrorismo islamico e dell’occupazione dei Territori palestinesi dal 1967. Il professore mi chiede l’autorizzazione a pubblicare la relazione.
Così il testo viene inserito nell’Annuario d’Israele sui diritti umani del 2005. So quanto stimato sia in Israele e negli Usa il prof. Dinstein e da allora mi chiedo se quella edizione abbia in qualche modo influito sulla decisione assunta proprio nel 2005 dal premier e generale israeliano Ariel Sharon di ritirare le truppe israeliane dalla Striscia di Gaza. Forse Sharon non aveva avuto bisogno di consultare il diritto internazionale o l’Annuario di Dinstein per capire che l’occupazione fosse insostenibile, ma chi avesse pensato che il solo ritiro delle truppe di terra dalla zona avrebbe fatto decadere lo stato di occupazione e quindi i doveri degli occupanti, si sbagliava. Gaza è ancora sotto occupazione non solo perché assediata da terra, ma perché Israele ne controlla gli spazi dal mare e dal cielo.
Il presidente Biden, nell’annuncio di sostegno senza limiti a Netanyahu (secondo me non a Israele) lo ha invitato a non commettere l’errore americano di decidere in preda all’ira o alle emozioni l’invasione e l’occupazione dell’Afghanistan dopo l’11 settembre. Bisogna riconoscere la saggezza dell’invito (forse Biden legge il FQ?) e la consapevolezza del fallimento di quella frettolosa decisione presa in un momento di comprensibile panico: 20 anni di guerra e occupazione militare per giungere a un ritiro mortificante. Ovviamente Biden non parla da presidente degli Stati Uniti, ma da candidato democratico alle prossime elezioni e quindi si capisce che il caso afghano voglia essere addebitato solo ai Repubblicani e neocon. Da presidente avrebbe dovuto ricordare che l’occupazione israeliana di Gaza e di altri territori palestinesi dura da oltre 50 anni e non se ne vede, grazie agli Stati Uniti, la fine; che negli ultimi settant’anni tutti i governi statunitensi democratici o repubblicani hanno invaso e occupato con la forza Stati sovrani non perché in preda all’ira o al panico, ma dopo averlo accuratamente provocato e aver manipolato e diretto la stessa indignazione globale o quasi. Da presidente dovrebbe ricordare oltre all’avventura afghana quelle coreana, vietnamita, libanese, irachene, somale, balcaniche, siriane, africane e così via fino a quella ucraina e alle altre in preparazione. In tutti questi anni gli Usa non hanno neppure considerato il diritto internazionale e meno che mai la sottile, ma tremenda concezione giuridica dell’Occupazione. Eppure sarebbe proprio essa a fornire il quadro di giustizia che tutti invocano: Israele potrebbe affrontare nella legalità tutte le responsabilità e i doveri che l’occupazione comporta e i palestinesi riconoscere e applicare le stesse norme internazionali riguardanti i doveri degli occupati nei confronti degli occupanti. Questo non significa che l’occupato accetta supinamente lo stato di occupazione né che l’occupante acquisisce il diritto di sovranità sul territorio occupato. L’occupazione è un fatto temporaneo e il diritto all’autodeterminazione consente anche la ribellione e la resistenza all’occupazione specie se essa viola i diritti degli occupati o i doveri degli occupanti. La temporaneità dell’occupazione non autorizza neppure l’annessione forzata. Perciò lo sblocco della situazione può avvenire in due modi legali: il ritiro dell’occupante con restituzione dei diritti soppressi o la riconquista con la forza o la resistenza della libertà d’azione da parte degli occupati. Gaza e Israele si trovano da cinquant’anni a questo bivio. La temporaneità è già elusa. Hamas si sforza di agire da ribelle, ma cade nell’efferatezza, Israele già dal 2005 si è resa conto di non poter sostenere l’occupazione, ma Netanyahu si ostina a volere la pulizia di Gaza. Come per gli americani, l’emozione e l’indignazione dei primi giorni sono state già superate. Ora esiste il calcolo freddo che mira alla distruzione o autodistruzione di Gaza che, e qui Biden ha ragione, si potrà tradurre in un altro disastro. Una volta di più, mentre la gente muore, si chiarisce che la discussione sui principi del diritto internazionale viene impedita e avvelenata da quella dei bar, in basso, e dal cinismo dei politici e dei piazzisti della guerra, dall’alto.
Tel Aviv. Le quattro teorie “morali” per giustificare il neo-colonialismo
Alessandro Orsini 24 OTTOBRE 2023
Scoppiata la guerra in Ucraina, Biden ha assunto un approccio radicale contro la Russia e i media italiani hanno ripetuto i suoi slogan. Scoppiata la guerra in Palestina, la Casa Bianca ha assunto una posizione moderata e i media italiani hanno abbracciato la sua moderazione. È evidente che il sistema dell’informazione sulla politica internazionale in Italia è molto corrotto e non adeguato a una società libera. Peggio: copiando gli slogan Usa, non è in grado di servire gli interessi nazionali dell’Italia.
Questa settimana affronto una questione decisiva della storia della libertà. La teoria postcoloniale insegna che i colonizzatori occidentali hanno sempre bisogno di sviluppare una teoria morale per giustificare l’oppressione sui colonizzati. Essendo l’arte del governo un misto di forza e di consenso, le teorie morali nobilitano la violenza dei colonizzatori trasformando gli oppressori in benefattori. I colonizzatori europei sostenevano di operare per il bene dell’Africa: “Portiamo la civiltà bianca superiore alla società nera inferiore”. Questo argomento non può essere più esibito per il suo contenuto razzista. Per questo motivo Israele ha dovuto elaborare tre nuove teorie morali per giustificare l’occupazione delle terre palestinesi.
Secondo la prima teoria, gli ebrei sono più bravi dei palestinesi a coltivare le terre in Cisgiordania. Questo argomento è velatamente razzista, poiché induce a ritenere che i palestinesi siano meno capaci e volenterosi degli ebrei, senza chiarire che il successo dei coltivatori israeliani dipende, in larga parte, dall’avere alle spalle uno Stato ricchissimo rispetto al non-Stato dei palestinesi, e di beneficiare delle tecnologie migliori.
La seconda teoria morale afferma che Israele occupa le terre palestinesi per difendersi dai nemici. Se fosse vero, gli israeliani si limiterebbero all’occupazione militare. Invece sfruttano i campi più fertili dei palestinesi, a cui sottraggono persino l’acqua, e costruiscono nuovi insediamenti nelle loro terre, come documenta l’Onu.
Secondo la terza teoria, Hamas conduce i suoi attentati per imporre a Israele di rimanere in Cisgiordania. Ho confutato questa tesi assurda del New York Times, cavalcata dal Corriere della Sera, la settimana scorsa su queste colonne. Passo alla quarta teoria morale, secondo cui Israele occupa le terre palestinesi perché Hamas vuole cancellare Israele dalla faccia della terra. Hamas non ha la potenza militare per realizzare un’impresa del genere. Inoltre, Israele ha la bomba nucleare e può contare sull’esercito americano. Le teorie morali per giustificare il colonialismo d’Israele ambiscono a distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dal problema essenziale che è l’occupazione dei territori palestinesi. Quando il mondo si accorge della Palestina per le periodiche eruzioni di violenza, i quotidiani come il Corriere fanno iniziare il conflitto israelo-palestinese dall’ultimo attentato di Hamas. Violentando la metodologia delle scienze storico-sociali, il Corriere della Sera sostiene che tutti i discorsi su Gaza dovrebbero partire dal 7 ottobre 2023. Anche questa è una distorsione neocoloniale per giustificare i bombardamenti contro i civili palestinesi e il colonialismo d’Israele. La civiltà neocoloniale fa iniziare la storia dalla data più comoda per lei in modo da nascondere i suoi misfatti precedenti. La guerra in Ucraina è iniziata il 24 febbraio 2022. Analogamente, il conflitto israelo-palestinese è iniziato il 7 ottobre 2023. La storia d’Europa inizierà la settimana prossima. Ma potrebbe esserci un ritardo.
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