NON SOLO TOTI: È IN CRISI OGNI GESTIONE PUBBLICA da IL FATTO
Non solo Toti: è in crisi ogni gestione pubblica
FILORETO D’AGOSTINO 16 MAGGIO 2024
Le disavventure giudiziarie degli amministratori regionali (l’ultima riguarda Toti) sono oggetto, da un lato, di comprensibile disgusto da parte di chi li scopre proni a qualunque richiesta (anche la più indecorosa) di facoltosi personaggi e, dall’altro, della difesa da parte della coalizione politica d’appartenenza che spergiura sulla (talora ipotetica) probità dei personaggi, finendo per insinuare che non è certo l’indagato ad avere la coscienza sporca. Magari ce l’ha chi lo inquisisce, per conto di una Spectre “comunista”: un tentativo meschino d’intorbidare le acque a comprova della carenza di veri argomenti a discolpa dell’indagato di turno.
Sembra tuttavia sfuggire a tutti che, al di là delle singole vicende, il problema centrale resta l’affidamento di estesi poteri a una istituzione “sbagliata” come la Regione, aggravato dalla carenza di controlli sull’operato degli amministratori.
Sulla Regione ci si è espressi altre volte: se le sopprimessimo rimedieremmo il grave deficit pubblico e restituiremmo coerenza e conformità all’azione amministrativa (gestita, come rivelano le intercettazioni su Toti, al telefono o “in barca” di richiedenti sostanziosi favori d’assai dubbia liceità!). Le principali funzioni affidate alle Regioni sono la sanità e l’urbanistica. Sulla sanità il disastro generale, pilotato in favore della sanità privata, non richiede dimostrazioni; per l’urbanistica è sotto gli occhi di tutti la mancata tutela del territorio per l’anomalo consumo del suolo. A enti per definizione fallimentari si vogliono affidare, con il disegno Calderoli, ulteriori compiti: indipendentemente da altri e più gravi profili, sarebbe come premiare a scuola il più asino.
Una metodica così incongrua si spiega solo con un piano politico che intende, attraverso l’autonomia differenziata, lacerare definitivamente l’unità della Repubblica. Le Regioni, d’altro canto, offrono alla casta posti e prebende a iosa sicché la loro doverosa eliminazione è purtroppo affidata a una combinazione astrale imponderabile e fortunatissima e, per questo, altamente improbabile. I danni sarebbero inferiori se operasse un sistema di controlli per impedire l’uso arbitrario e spregiudicato del potere che contrassegna la gestione degli uffici di vertice delle pubbliche amministrazioni. Spiace ripeterlo: l’ordinamento soffre di un’eccessiva personalizzazione del potere introdotta negli anni 90 su ispirazione di funesti giuspubblicisti, all’apparenza progressisti ma d’intima propensione reazionaria e autocelebrativa.
Senza controlli gli amministratori si sentono autorizzati ad agire con primario riguardo ai loro interessi indirizzati al mantenimento della carica o all’acquisizione di una maggiore: un carrierismo esentato da ogni responsabilità e del tutto indifferente al bene comune. Con l’aggravante che gli amministratori hanno la gestione esclusiva della comunicazione dell’ente, utilizzata per magnificarne le attività, talora inutili e perfino dannose: se la cantano e suonano ignorando o falsamente rappresentando la realtà.
S’impone perciò la reintroduzione d’un sistema di controlli conformato a standard più elevati nei confronti d’ogni amministrazione pubblica. Resta l’amarezza nel constatare l’inconsistenza intellettuale, palesemente denunciata dalla carenza di un’adeguata preparazione culturale, della classe governante che, anzi che porsi il problema dell’inefficienza amministrativa e, di conseguenza, approfondire una seria autocritica, sfugge alle proprie responsabilità con ciarle imbarazzanti. Non solo.
Gestire degnamente la cosa pubblica implica anche una dose di coraggio che consenta d’affrontare consapevolmente le situazioni e gli interessi contrapposti al miglioramento del Paese. La dimostrazione del coraggio non si ottiene con pose da combattente di wrestling, ma dalla capacità di scelte conseguenti. Finora mancano segnali in questo senso, mentre questo governo, al pari di altri, preferisce la marmellata istituzionale definita (mio contributo sul Fatto dell’11.03.2021), “magma appiccicoso di false interpretazioni, elusioni e violazioni di norme eretto a sistema nel quale contegni pur esiziali per l’interesse pubblico vengono trattati con indifferenza o vuota retorica dai responsabili politici, mentre si sanzionano quanti denunciano male gestioni o potenti furbetti e tutto e il suo contrario coesistono nel gelatinoso composto”.
Il buon senso di Michele Serra salverebbe il corpo del reato
GIANDOMENICO CRAPIS 16 MAGGIO 2024
Su Repubblica dell’11 maggio leggendo l’Amaca di Michele Serra, del quale condivido spesso ciò che scrive dalla prima all’ultima riga, mi sono ritrovato a riflettere sulle sue considerazioni, come sempre guidate dal buon senso (da non confondere con il ‘senso comune’ che, come ricordava Manzoni, è tutt’altra cosa). Lo scrittore, commentando l’affare Toti, ha fatto notare che il presidente della Liguria era stato arrestato nottetempo “come per sorprendere nel sonno il latitante o il fuggiasco”, sottolineando che l’irruzione notturna per notificare un ordine di arresto ha un effetto “drammatizzante e noir del quale, francamente, non si sente il bisogno”. Anche perché, aggiungeva, già l’arresto eccellente è di per sé un evento drammatico e, visto che si tratta di un incensurato che occupa una carica pubblica ed è facilmente rintracciabile, in questi casi forse “basterebbe una telefonata, tipo: ‘ci dispiace ma lei è in arresto. Si presenta subito in caserma o dobbiamo venire a prenderla?’”.
L’argomento, appunto di buon senso, apparentemente non fa una piega. E magari lo si condivide. Poi però si cerca di capire i perché e le ragioni del dispositivo di legge che guida queste operazioni, o si prova a pensare alle possibili immediate conseguenze di comunicazioni di questo tipo fatte con maggiore… cortesia, e ci si accorge dell’errore. Proviamo infatti a immaginare gli effetti di procedure più informali. Per reati contro la Pubblica amministrazione le prove si trovano sovente soprattutto nella documentazione (privata, societaria, bancaria etc.) e nel denaro contante, così un soggetto che venisse a sapere telefonicamente che sta per essere arrestato potrebbe fare sparire il materiale compromettente (la legge prevede che contemporaneamente all’arresto ci sia anche una perquisizione personale e ambientale). Solo per fare un esempio di questi giorni: a casa di Spinelli la GdF ha trovato 200 mila euro e probabilmente non sarebbe stato così se non ci fosse stata un’esecuzione a sorpresa dell’ordinanza. Dunque la pur traumatica concretizzazione notturna di ordinanze del giudice, oltre a rispondere naturalmente all’esigenza di non spettacolarizzare l’arresto in luoghi pubblici, è dovuta alla necessità di non disperdere prove importanti a carico dell’indagato e di acquisirne di ulteriori. Se poi, ancora, ci fossero altri cittadini sottoposti a indagine si capisce che il soggetto, se informato con più… garbo di ciò che gli accade, potrebbe avvisare le altre persone coinvolte, con effetti intuibili.
Anche un personaggio pubblico come Toti, facilmente rintracciabile e poco sospettabile di fuga, potrebbe però benissimo adoperarsi, una volta avvisato telefonicamente della misura cui è invitato a sottoporsi, per far sparire possibili prove di reato, come soldi, carte o file informatici compromettenti o anche altro. Purtroppo non pare, a meno che qualcuno non mi convinca del contrario, che esista un modo meno scioccante di operare quando ci troviamo di fronte a fatti di questo genere. Insomma muoversi diversamente alla fine comporterebbe il rischio di far diventare più ‘buie e tempestose’ (per restare al titolo dello scritto) più che le notti degli indagati, proprio le ricerche degli inquirenti.
Forse l’autore non aveva valutato a pieno tutti gli aspetti di queste brutte faccende di giustizia, anche perché sono certo che egli non condivida affatto la singolare proposta della maggioranza in materia di giustizia penale: e cioè l’interrogatorio preventivo della persona che si sta per arrestare. Persona che a quel punto sarebbe ben felice di sapere in anticipo che sta per essere arrestata, per poi magari correre subito a nascondere le prove, avvisare (se ci sono) i complici o, peggio, darsi alla macchia.
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