MODELLO LIBANO PER GAZA: L’OFFENSIVA A OLTRANZA DI ISRAELE da IL MANIFESTO
Modello Libano per Gaza: l’offensiva a oltranza di Israele
Eliana Riva 11/11/2025
Striscia continua In parlamento Netanyahu spiega la sua idea di «cessate il fuoco» e incontra Kushner sulla Fase 2: forze estere per disarmare Hama
Il cessate il fuoco per Israele è e sarà sempre armato. Lo ha dichiarato ieri alla Knesset Benyamin Netanyahu, annunciando ufficialmente che il «modello Libano» verrà esportato a Gaza e che rimarrà in vigore finché Tel Aviv percepirà nemici o minacce – un altro modo di dire «per sempre».
NEL SUO DISCORSO al parlamento, il premier è tornato ad affermare che la guerra «non è finita». Lo ripete quotidianamente da quando ha firmato il piano di cessate il fuoco presentato dal presidente degli Stati uniti, Donald Trump. «Chi cercano di farci del male si sta riarmando – ha detto Netanyahu riferendosi ad Hamas e Hezbollah – Non ha rinunciato all’obiettivo di distruggerci». Ma è Tel Aviv che parla di «annientare» i nemici e che non ferma i raid oltreconfine.
Solo ieri l’esercito israeliano ha utilizzato i droni per bombardare Gaza, uccidendo almeno due palestinesi, tra cui un bambino, e ha ammazzato un’altra persona nel sud del Libano. Il premier lo ha chiamato «pugno di ferro», sono tutte violazioni del cessate il fuoco per le altre parti coinvolte negli accordi. Netanyahu ha difeso il suo governo e accusato le opposizioni, rifiutando ancora una volta l’istituzione della commissione d’inchiesta che dovrebbe valutare le responsabilità politiche che hanno portato all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. «La stragrande maggioranza del popolo non crede in una commissione d’inchiesta», ha affermato alla Knesset tra urla e proteste.
Eppure, i sondaggi raccontano il contrario. Ieri, per la prima volta, Netanyahu ha aperto alla possibilità di nominare un organo d’indagine, precisando però che non dovrà essere guidato dalle istituzioni statali preposte. I suoi membri dovranno essere nominati dalle forze politiche presenti in parlamento. L’opposizione ha fortemente contestato l’ipotesi, denunciando che il premier intende costituire un comitato governativo sulla cui composizione avrà un maggior controllo.
PRIMA DI RECARSI alla Knesset, Netanyahu ha ricevuto nella sua residenza di Gerusalemme Jared Kushner, genero del presidente statunitense e uno degli artefici del piano Trump per Gaza. Al centro del colloquio, secondo il portavoce del governo Shosh Bedrosian, la seconda fase del progetto, che prevede la creazione di una forza internazionale incaricata di supervisionare il disarmo di Hamas e la distruzione delle sue infrastrutture. I due avrebbero discusso anche della «garanzia che Hamas non avrà mai più alcun ruolo nel futuro di Gaza». Non si sa ancora quali sono i paesi che prenderanno parte alla Forza di stabilizzazione, se le Nazioni unite intenderanno conferirle un mandato ufficiale, come verrà garantita la sicurezza dei suoi rappresentanti in mezzo agli attacchi israeliani, come potrà controllare gli aiuti e tutelare la sicurezza della popolazione. In mancanza di un quadro chiaro, gli Emirati hanno dichiarato che non prenderanno parte alla forza di stabilizzazione.
NEL SALOTTO del premier, Netanyahu e Kushner hanno discusso anche dei circa duecento combattenti di Hamas che si trovano all’interno dei tunnel di Rafah, bloccati nella parte della Striscia controllata dall’esercito. Il gruppo palestinese sta tenendo colloqui con i mediatori arabi per assicurare loro un passaggio sicuro oltre la linea gialla. Al momento, secondo diverse fonti, non si starebbe discutendo dell’ipotesi di deportarli all’estero, anche se la possibilità non può essere del tutto scartata. Hamas avrebbe fatto presente che l’omicidio di massa, così come auspicato da diversi rappresentanti del governo di Tel Aviv, avrebbe messo in discussione il cessate il fuoco e l’intero piano statunitense. Diversi quotidiani internazionali hanno citato una fonte diplomatica turca secondo cui Ankara starebbe seguendo da vicino la vicenda e avrebbe convinto Hamas a consegnare il corpo di Hadar Goldin. I resti del soldato israeliano ucciso e sequestrato nel 2014 nei pressi di Rafah sono arrivati domenica a Tel Aviv.
SI ERA SOSTENUTO che lo scambio, nonostante le smentite da parte di alcuni ministri, avrebbe aperto la strada alla liberazione dei combattenti. Ieri il portavoce del governo israeliano ha dichiarato che qualsiasi decisione in merito sarebbe stata presa con l’amministrazione Trump, che propende per una risoluzione pacifica.
Una volta identificato Goldin, l’esercito ha consegnato alla Croce rossa internazionale altri 15 resti di prigionieri politici palestinesi. Sono 315 i corpi rientrati a Gaza dall’inizio del cessate il fuoco. Israele non ha dato indicazioni sulla provenienza dei cadaveri e solo 91 sono stati identificati. Intanto, nella Striscia gli aiuti umanitari entrano con il contagocce. John Whyte, vicedirettore senior dell’Unrwa per le operazioni a Gaza, ha dichiarato che Israele ha chiesto all’agenzia Onu per i profughi palestinesi di consegnare le proprie provviste ad altre organizzazioni umanitarie.
TEL AVIV PRETENDE che l’Unrwa rimuova il proprio logo da tutte le forniture, ossia dalla merce stipata sui 5mila camion in attesa di consegna.
Pena di morte ed espulsioni, il futuro di Silwan e Cisgiordania
Michele Giorgio 11/11/2025
Terra rimossa Avanza alla Knesset la legge voluta da Itamar Ben Gvir per colpire i «terroristi palestinesi». A Silwan altre famiglie espulse dalle loro case
Gli avvocati erano riusciti a strappare ai giudici israeliani lo slittamento di qualche settimana degli ordini di espulsione di decine di famiglie palestinesi a Silwan, ai piedi della città vecchia di Gerusalemme. Ma due, la Odeh e la Sweiki, domenica hanno già visto occupata e confiscata la loro casa. Un’altra, la Rajabi, ha ricevuto la «visita» della polizia e presto perderà la sua abitazione. L’ombra dei coloni israeliani e della legge israeliana a senso unico grava sempre di più su Silwan e sui rioni di Batn al Hawa e Bustan. Dopo anni di battaglie legali, gli sfratti politici nella zona araba della città occupata da Israele nel 1967 diventano esecutivi con l’impiego di decine di poliziotti. Il clima è cupo e a renderlo più opprimente è il dibattito sulla «pena di morte per i terroristi» (palestinesi), in corso ad appena tre chilometri di distanza da Silwan, alla Knesset, per iniziativa del ministro israeliano della Sicurezza, Itamar Ben Gvir. La legge verrà approvata «rapidamente e senza compromessi» dal parlamento, ha promesso Ben Gvir. Quando sarà approvata in via definitiva, i giudici manderanno davanti al boia coloro che avranno commesso l’omicidio di un israeliano per motivi nazionalistici, quindi solo i palestinesi.
«La situazione è pessima, peggiora giorno dopo giorno. Siamo disperati, non sappiamo dove andare e a chi chiedere aiuto» ci dice al telefono Zohair Rajabi, attivista di Batn al Hawa e cugino di Nasser Rajabi, al quale potrebbero portare via la casa nel giro di qualche giorno. «Nasser – racconta Zohair – ha cinque figli, uno dei quali disabile. Gli israeliani gli porteranno via la casa e per lui e la sua famiglia trovare un alloggio sarà impossibile. In città gli affitti sono altissimi per i nostri stipendi molto bassi». La famiglia Rajabi è solo una delle tante a vivere con la paura costante di perdere la propria casa. L’ordine di sfratto stabilisce che dovrà uscire dall’abitazione entro il primo dicembre. Altrimenti sarà cacciata via con la forza. Sullo sfondo di queste sentenze ci sono le organizzazioni dei coloni israeliani.
Durante i due anni di offensiva contro Gaza, al riparo dagli obiettivi delle telecamere, i coloni e le autorità israeliane sono riusciti a cambiare ulteriormente il volto di Silwan. Oltre alle evacuazioni di Batn al Hawa, è vicino al completamento lo scavo della via Erodiana e avanza il piano di demolizione del rione Bustan. Questi progetti cambieranno il volto dell’intera Silwan, aumentando il numero dei coloni e rendendo la vita più complicata agli abitanti palestinesi. L’organizzazione israeliana Ateret Cohanim rivendica la proprietà di oltre 5.200 metri quadrati di terreno, sostenendo che appartenevano a ebrei yemeniti fin dal 1881. L’argomento legale si fonda su di un trust istituito nel 1890 per ospitare immigrati ebrei dallo Yemen, abbandonato negli anni Trenta e poi riattivato nel 2001 con il trasferimento del diritto di gestione ad Ateret Cohanim da parte del cosiddetto Custode israeliano delle proprietà degli assenti. Da allora, 87 famiglie palestinesi hanno ricevuto ordini di sgombero, citazioni legali e minacce. Domenica, durante l’irruzione della polizia, Asmahan al-Shweiki, una settantenne, ha avuto un collasso ed è stata portata all’ospedale.
La situazione non è diversa nella Cisgiordania occupata. Nel villaggio di Umm al-Khair, a sud di Hebron, gli abitanti attendono l’arrivo dei bulldozer militari israeliani. Quattordici strutture, tra cui il centro comunitario e la serra, saranno demolite. Molti residenti hanno ricostruito le case distrutte decine di volte. Israele parla di «costruzioni illegali». Ma ottenere un permesso di costruzione per i palestinesi è quasi impossibile: secondo l’organizzazione Bimkom, tra il 2016 e il 2021 il 99% delle richieste è stato respinto. I coloni dell’insediamento di Carmel, accanto al villaggio, hanno spesso preso parte ad atti di violenza. All’inizio del 2025, un settler ha ucciso l’attivista Awdah Hathaleen mentre si trovava nel centro destinato ora alla demolizione.
Nei villaggi cisgiordani, nel frattempo, non si arrestano gli attacchi dei coloni contro gli uliveti. A Khirbet al-Taban, nella zona di Masafer Yatta, sono stati sradicati circa settanta alberi nelle ultime ore. Tra i 14 palestinesi feriti nel fine settimana a Beita ci sono anche cinque giornalisti picchiati dai coloni. La fotoreporter della Reuters, Ranin Sawafteh, ha subito fratture e contusioni. Dall’ottobre 2023, con l’inizio della guerra a Gaza, la violenza dei coloni e gli spari delle forze israeliane in Cisgiordania e a Gerusalemme Est sono aumentati drasticamente: oltre mille palestinesi sono stati uccisi e migliaia arrestati.
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