LE DUE FACCE DI TRUMP IN UCRAINA E A GAZA da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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LE DUE FACCE DI TRUMP IN UCRAINA E A GAZA da IL FATTO

Le due facce di Trump in Ucraina e a Gaza

Il futuro del mondo – Donald vuole chiudere la guerra perché gli Usa hanno fornito troppi miliardi e armi a Zelensky. Intanto si adopera perché Bibi ottenga la riconquista delle terre bibliche, senza più palestinesi

Barbara Spinelli  10 Novembre 2024

È probabile che Trump Presidente non voglia iniziare nuove guerre, e che quelle cominciate voglia finirle. Almeno così dice. Allo stesso tempo non vorrebbe entrare nella storia come perdente: cosa accaduta a Biden quando lasciò l’Afghanistan dopo gli accordi che il predecessore stipulò con i Talebani. Trump lasciò a Biden il lavoro caotico della ritirata.

Lo stesso si può dire per la guerra russa in Ucraina che Biden e l’inglese Boris Johnson hanno voluto durasse fino ad oggi – anziché concluderla con un trattato già pronto poche settimane dopo l’invasione – e che è ancora una guerra indiretta Stati Uniti-Russia. Trump vorrebbe finirla o almeno congelarla perché attribuisce una razionalità alla potenza russa e perché ritiene che gli Stati Uniti abbiano fornito troppi miliardi e armi a Zelensky.

L’ingresso di Kiev nella Nato lo considera un impaccio, visto che l’Alleanza comunque lo infastidisce, specie se entra in gioco il famoso articolo 5: Trump vuole intervenire quando e dove e per i motivi che decide lui. Non lascerà decidere a una tecnocrazia (Nato o Onu che sia) quel che è legale o non lo è. Quand’era Presidente, Trump ha sanzionato la Russia e super-armato l’Ucraina. Potrebbe ora auspicare la sua neutralità, ma non è detto. L’isolazionismo con gli alti dazi è sicuro in economia. Il resto è imprevedibile.

Lo scenario muta radicalmente, per il momento, quando dall’Ucraina si passa a Israele. Anche qui Trump vuole che le guerre finiscano, per via dello spazio che occupano nei media e nelle università. Ma intende adoperarsi perché Netanyahu raggiunga quel che si è prefisso: una guerra di riconquista delle terre bibliche, una Grande Israele senza più palestinesi se non schiavizzati.
Questo intende il nuovo Presidente quando invita Netanyahu a “finire la bisogna” (finish the job) sia in Palestina (Gaza e Cisgiordania), sia in Libano, sia soprattutto contro Iran e alleati in Yemen, Iraq, Siria. Nei mesi scorsi ha criticato Biden per aver “troppo frenato Netanyahu” (in realtà il freno era finto) e per questo il Premier israeliano ha glorificato la vittoria di Trump, cui sono andate le sovvenzioni più copiose delle lobby israeliane in Usa. Riassumendo: mentre lo Stato israeliano sta inghiottendo impunemente l’intera Palestina, Trump vuole accattivarsi gli Stati petroliferi sunniti e abbattere il secolare nemico iraniano e i suoi seguaci in Medio Oriente.

Qui conviene fare un salto indietro nel tempo, se si vuol capire la genesi delle due guerre in Ucraina e Medio Oriente. In ambedue i casi siamo alle prese con potenze nucleari (Usa, Russia, Israele dotata di oltre 100 testate) e sia Trump sia il consigliere Elon Musk rispettano solo gli Stati atomici detti “santuari”.
Secondo molti studiosi statunitensi, come Branko Marcetic, Michael Galant o Mehdi Hasan di origine araba, l’eccidio del 7 ottobre 2023 – quando Hamas abbatté la recinzione di Gaza e uccise in Israele 1.139 persone (di cui 695 civili) catturandone circa 250 – non è affatto un’ora zero della storia, un secondo genocidio che annulla gli anni in cui gli indigeni arabi furono scacciati o soggiogati, ma è la conseguenza, atroce e forse non più evitabile, di oltre mezzo secolo di umiliazioni ed espulsioni anti-palestinesi, accentuate in particolare dalla prima presidenza Trump.

Fu Trump nel 2018 a smettere le sovvenzioni Usa all’Agenzia Onu per l’assistenza dei rifugiati palestinesi UNWRA, su spinta di Netanyahu. Nello stesso anno uscì dall’accordo sul nucleare con l’Iran, aumentò gli assassinii con i droni (del generale iraniano Qasem Soleimani e dell’iracheno al-Muhandis nel 2020) e intensificò il contributo, iniziato da Obama, alla guerra saudita in Yemen. Fu il suo ministro degli Esteri Pompeo a giudicare “perfettamente in linea col diritto internazionale” le colonie in Cisgiordania, nel 2019, e fu ancora Trump, sempre nel 2019, a riconoscere la sovranità israeliana sulle alture occupate del Golan ai confini con la Siria, suscitando l’ira degli abitanti drusi. Una delle colonie porta il nome di “Trump Heights”.
Infine, fu lui a spostare l’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, riconoscendo di fatto la sovranità israeliana sull’intera città, compresa Gerusalemme Est occupata. Fu lui ad architettare gli accordi di Abramo tra Israele, Emirati e Bahrein nel 2020. Obiettivo: il depotenziamento dell’Iran e della questione palestinese, e l’estensione della sovranità israeliana sul 30% della Cisgiordania.

È a partire dalla prima presidenza Trump che i Palestinesi, scoraggiati come mai, rappresentati ormai efficacemente solo da Hamas e Jihad, sono stati sopraffatti da collera e disperazione, smettendo di credere nella soluzione dei due Stati che l’Occidente infruttuosamente continua a declamare. Si è così giunti al culmine efferato della protesta: l’evasione dal recinto di Gaza e l’assalto del 7 ottobre, simile per alcuni versi alla nemesi dell’11 settembre 2001 o all’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022: invasione che ha alle spalle anch’essa una storia lunga, visto che dal 2008 Mosca ha ripetutamente definito un pericolo esistenziale l’allargamento Nato a Ucraina e Georgia, ai propri confini.
Ma se Trump ha avuto più voti musulmani di Kamala Harris, se molti voti arabi sono andati all’ecologista Jill Stein, che denuncia la “colonizzazione e il genocidio dei Palestinesi”, è perché il cosiddetto campo progressista è vuoto. L’enorme errore di Kamala Harris, dopo quasi tre anni di guerra per procura in Ucraina e dopo uno sterminio già in parte compiuto a Gaza e ora in Libano, è stato di restare aggrappata alla presidenza Biden, senza accennare la minima rottura (“non c’è una sola politica di Biden che io disapprovi”), e di spostare a destra il proprio partito, vietando ai protestatari filopalestinesi di prender la parola alla Convenzione democratica e blandendo i responsabili di aggressioni e torture in Afghanistan e Iraq (famiglia Cheney).

Lo studioso Norman Solomon paragona Harris a Hubert Humphrey, vicepresidente di Lyndon Johnson, che quando si candidò alla Casa Bianca nel 1968 non ebbe il fegato di staccarsi da Johnson e dalla sua guerra in Vietnam. Perse rovinosamente contro Nixon.
Così Kamala Harris. Pensava di vincere demonizzando Trump e difendendo i diritti delle donne all’aborto, e la maggioranza delle donne bianche ha scelto Trump: l’economia era per loro prioritaria. Pensava di convincere gli ispanici: se li è presi Trump. Inoltre per colpa di Biden aveva poco tempo: poco più di tre mesi di campagna.
Ora i giornali dominanti se la prendono con Harris. L’accusano di aderire alla cultura woke, custode delle minoranze e della loro inclusione. Si ripropone l’annosa polemica delle destre contro il ’68. Forse in passato Harris difese le minoranze – in patria e fuori – proprio come le aveva difese Humphrey. Ma il potere e i soldi dei donatori l’hanno prima stravolta, poi affossata. L’hanno talmente accecata che in agosto definì se stessa e il vice Tim Walz due invincibili “guerrieri gioiosi” (joyful warriors).

Che cosa (non) cambierà Trump, a parte l’ipocrisia

Elena Basile  10 Novembre 2024

Una possibile novità delle elezioni Usa sarebbe costituita da una stampa mainstream contraria al potere presidenziale statunitense. Almeno in un primo periodo, avremo editorialisti e accademici pronti a criticare il cattivo per antonomasia, nella narrativa surrealistica dei doppi pesi che ci accompagna, simile a Putin, Xi, Erdogan, Orban, ma non a Biden, all’Arabia Saudita, agli Emirati, ai cosiddetti amici. Trump non sembrerebbe condizionare i grandi mezzi di informazione, a eccezione della Fox o di X dell’amico Elon Musk.

Lo spazio politico, come si è visto dalle dichiarazioni dei leader europei, appare pronto a cambiare padrone. È stupefacente che i sostenitori del centrosinistra europeo, i liberal, i progressisti non si rendano conto di come la politica del “ma anche” veltroniano sia stata perdente. Il “trash bianco” si estende, la gente senza istruzione ha l’intelligenza per comprendere la doppiezza della politica, le menzogne sulla difesa della libertà e dei diritti umani, la ipocrita sottocultura che impera. Trump, il clown, il gigione spontaneo che parla in modo semplice e diretto, rappresenta una boccata di ossigeno per la massa emarginata e disprezzata dalla élite progressista. Trump vince perché fa capo ad articolazioni differenti della finanza: Musk, Thiel, i venture capitalist della Silcon Valley. Essi hanno bisogno di liquidità e mal sopportano lo spreco di miliardi in Ucraina e nell’apparato militare-industriale. I petroliferi, l’Aipac, una delle principali organizzazioni della lobby di Israele, i sionisti cristiani sono i finanziatori del leader che è riuscito, come Meloni in Italia, a captare il dissenso e a rendere governabile lo status quo.

Non cambierebbe molto con il nuovo presidente. Egli considera papabile a segretario della Difesa Mike Pompeo, così da sottolineare la continuità dell’apparato neoconservatore. La politica estera potrebbe concludere il lavoro dei democratici. Si realizzerebbero le stesse strategie dei Dem, ma in bella copia. Verrebbero assecondati, senza falsi piagnistei, i piani di Netanyahu, la pulizia etnica e la realizzazione della Grande Israele. Questo obiettivo sarà raggiunto anche con l’allargamento del conflitto al Libano e all’Iran. Verrà impartita una lezione a Teheran con attacchi a basi militari (spero non nucleari), negoziando con la Russia e la Cina fin dove spingersi. Naturalmente la situazione in Medio Oriente diverrà ancora più insicura. L’aspirazione iraniana a ottenere la bomba atomica potrebbe essere realizzata grazie all’aiuto di Mosca e Pechino. Israele continuerà a governare col terrore e con l’apartheid la Palestina, senza peraltro riuscire a distruggere completamente la resistenza.

Data l’incontestabile vittoria della Russia sul campo, si sceglierebbe una via di uscita dal conflitto ucraino accollando all’Europa i costi del sostegno a un Paese fallito. Credo che infine si riuscirà a pervenire a una mediazione. L’Ucraina neutrale ne sarà la base. I filoucraini hanno preferito distruggere il Paese e una generazione di giovani per poi accettare la realtà e le legittime, ragionevoli preoccupazioni di sicurezza di Mosca.

Anche la politica interna non cambierà poi molto. Si continuerà a detassare i ricchi, a rinunciare alla globalizzazione preferendo politiche protezionistiche per mascherare la mancanza di competitività dell’industria americana. La bella copia avrà colori più netti della precedente brutta copia difesa da Biden e dai progressisti. Le libertà civili, come l’aborto delle donne in alcuni Stati, saranno limitate, ma i costumi della società civile resteranno gli stessi. Le pillole per abortire facilmente saranno alla portata della maggioranza. Si resterà riluttanti all’utilizzo dei preservativi. Lo scarso congedo parentale in caso di maternità continuerà a rendere difficile la coniugazione di vita privata e pubblica.

Il falso femminismo ci consolerà. In fondo la libertà sessuale è l’unica protetta nella sostanza nelle oligarchie liberali. Al netto della retorica, la mercificazione del corpo della donna continuerà. Democratiche o Repubblicane, certe donne non smetteranno di vendersi per fare un passetto avanti nella carriera. Purtroppo, a New York come a Stoccolma e a Milano, siamo lontani dall’utopia gramsciana: che infine uomini e donne si incontrino come esseri umani.

L’Europa come risponderà? Come nel 2016. Gli Stati membri dell’Ue faranno a gara per ingraziarsi il nuovo presidente e chiedere clemenza. La burocrazia europea dominata dalla Von der Leyen, dalla Polonia, dai Nordici e dai Baltici potrebbe investire maggiori fondi nelle armi, nell’Europa della difesa senza alcuna autonomia strategica. L’Europa sarà il braccio armato della Nato. Questo è l’essere. La prossima volta scriverò del dover essere e potrò essere ottimista.

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