LA GUERRA, GLI UCCISI E L’UCCIDERE da IL MANIFESTO, IL FATTO e ANTIDIPLOMATICO
La guerra, gli uccisi e l’uccidere
DIVANO. La rubrica settimanale di cultura e società.
Alberto Olivetti 12/04/2024
Da che le guerre dilagano, e sono più di due anni, né sembra deflettere nei belligeranti e nei loro sostenitori di ogni parte la determinazione a proseguirle, tento di dare un corso ordinato ai miei ragionamenti quando rifletto sulla drammatica situazione in atto convinto che su ogni fronte debbano deporsi le armi.
Un corso ordinato che metta capo non solo a circostanziate valutazioni sulle ragioni e i torti di questo o di quel contendente, ma capace di formulare indicazioni sul piano operativo, cioè a dire efficaci, ovvero tali da poter incidere sul piano dei fatti e obbligare i belligeranti ha cessare il fuoco.
E il discorso cade allora su quale possa essere il soggetto in grado di imporre una tale decisione e, se non lo si identifica, come, e questo è il punto, costruirlo quel soggetto, come suscitare dal basso e con chi coordinare il movimento più ampio che sia possibile schierare contro la guerra. Come rendere operanti questi convincimenti? Questo è il grande, l’enorme problema attuale, stanti le modalità che alimentano e determinano le forme della politica organizzata oggi.
Mi è capitato negli ultimi due mesi di intervenire pubblicamente sulla questione della guerra. Ho scelto di fissare la mia meditazione sui morti, e considerare che quando si parla dei morti in guerra (quelli che l’ipocrita eufemismo definisce «caduti») si parla di uccisi: non «caduti», ma uomini morti ammazzati.
Sconsolatamente, un filosofo ha scritto che la prima parola che dovrebbe aprire l’animo dell’uomo occidentale è un comandamento dei dieci mosaici che recita «non uccidere». Noi, i bianchi occidentali, ne sappiamo assai in tema di uccidere e di guerra! Ci dissero che elaborammo un tempo, noi europei, un codice di comportamento militare in cui il gioco della guerra fu formalizzato in termini che vollero esser definiti cavallereschi, quasi i tornei dei «cavallieri antiqui».
Non coinvolgevano, pertanto, le popolazioni civili, a differenza di quanto avviene in questi giorni ogni giorno e da cent’anni in qua. E da cinquecent’anni noi, cristiani bianchi occidentali, sontuosi tornei abbiamo organizzato a beneficio delle popolazioni (civili) di interi continenti, nelle Americhe, in Africa, nel Pacifico.
La «soluzione finale» è una specialità al perfezionamento della quale gli europei si sono dedicati con notevole successo nel corso di cinque secoli. Non è uno sconvolgente episodio esclusivo del Novecento, quando di quella modalità dell’uccidere è stato toccato un vertice orrendo. Nella lunga durata, è stato giustamente detto, matura uno dei tempi della storia, forse il più certo nei suoi svolgimenti quali giungono a un loro compimento implacabili: nulla si perde, un caso si presenta alcune volte tal quale; le conseguenze di un altro, sotto mutate spoglie, riaffiorano con rinnovata energia.
Muovo così argomenti che forse toccano da vicino (e forse no: forse si allontanano?) il mio proposito di concentrare la riflessione sugli uccisi e sull’uccidere che si esalta oggi dal Baltico al Mar Rosso. Chi uccide compie una violenza irreversibile che insieme spegne una vita e fa nascere in chi uccide un legame indissolubile con l’ucciso: rimorsi, fantasmi, terrori, vendette, cieche crudeltà. Essi si aggirano in Ucraina e nell’oriente mediterraneo oggi, tra le migliaia degli uccisi e tra i loro uccisori.
Grandi argomenti che conoscevano bene gli antichi, intesi a illuminare l’oscura umanità degli uomini e che ci hanno rappresentato nella loro mitologia e nella loro poesia. Il nostro tempo sembra poco interessato a quel lascito, si sente capace di poterne fare a meno. Ne fecero particolarmente tesoro, tra Cinque e Seicento, i drammaturghi dell’epoca elisabettiana, in Inghilterra, consegnandoci un patrimonio che si vorrebbe fosse ai nostri giorni coltivato.
Stare col pensiero agli uccisi e all’uccidere consente una angolatura preziosa per quanto concerne un ragionare sulla guerra. Come poi una crescita di consapevolezza e di umanità che ne possiamo acquisire si declinino in termini politici, in termini di presa di posizione politica questa è la estrema difficoltà da affrontare.
“IL PARLAMENTO EUROPEO” vota per le armi all’Ucraina : l’Europa calpesta la propria identità
MICHELE SANTULLI 12/04/2024
È DI POCHI GIORNI FA LA NOTIZIA che il Parlamento europeo ha votato quasi all’unanimità (contrari i 5S) una cifra colossale di miliardi, tolta ai cittadini europei, a favore dell’Ucraina per la sua guerra. Deve erompere e perfino zampillare un fluido venefico molto efficace da parte della Commissione europea e da parte dei capi degli Stati membri, tra cui l’Italia, per riuscire a condizionare con tali risultati tutti questi personaggi del Parlamento europeo che, accecati, hanno colpevolmente azzerato tutti i principi costitutivi e fondativi della Unione europea, a favore delle armi, oggi. La parola di Papa Francesco, il Vicario di Cristo in terra, vale meno di zero, per i guerrafondai. È troppo umiliante ricordare quanto è scritto nei Trattati di Roma sui doveri e obblighi dell’Europa comunitaria, di pace e fratellanza verso tutto il mondo, ora perfino criminalmente abrogati, a favore della guerra di Biden e della Nato e di Zelensky. È vero, e perfino troppo facile, addirittura arricchente fare la guerra, arduo e intelligente favorire invece il colloquio e la pace e il benessere comune. Il da poco defunto presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, ha scritto: ”…oggi abbiamo bisogno di Europa, di un’Eu ropa che sia e diventi strumento di pace”. “La pace e amicizia tra i popoli, e cooperazione fra gli Stati, condivisione di sovranità con gli organismi internazionali”. Tutto saltato in aria, grazie alle ursule e ursuli, pedagoghi della guerra e della morte, servi di Biden e della Nato. La Nona Sinfonia di Beethoven alla fine contiene la corale dell’Inno alla gioia di Schiller: è la glorificazione del regno della fraternità umana e della vittoria dell’uomo sulla oppressione e sulla tirannide politica, l’inno alla sua libertà. La sinfonia è stata dichiarata inno dell’Europa nel 1972 e nel 2001, dall’Unesco, musica e parole dichiarate “memoria del mondo” e già nel 1964 San Benedetto, il Messaggero dell’istruzione, della devozione e del lavoro, dichiarato Patrono dell’Europa: ora, labora et lege! Una beffa del destino che l’Europa sia capitata nelle mani di bombaroli quali Scholz, Macron, Meloni &C. I cosiddetti parlamentari europei come hanno potuto calpestare, impuniti, questi bastioni e queste barriere dell’amore e della fratellanza, a favore della guerra? Il lettore che ha curiosità e interesse, vada alla famosa lettera di Thomas Mann in risposta al decano della Università di Bonn del 1936 che revocava la laurea honoris causa già concessa. Al posto di Germania e analoghi, immaginare Europa.
L’oblio del Genocidio dei Nativi Americani: oltre 55 milioni di morti
Raffaella Milandri* 10 Aprile 2024
Negli ultimi eventi di guerra abbiamo sentito spesso parlare di “genocidio”. Chiariamone la definizione e, soprattutto, chiediamoci perché l’Olocausto Indigeno delle Americhe non sia menzionato nella tragica lista dei genocidi.
Il conteggio dei morti
Sono decenni che il mondo accademico si interroga sulla stima reale di quello che sia costato in vite umane l’arrivo degli Europei nelle Americhe e l’impatto successivo della dominazione. Le recenti conclusioni dei ricercatori dell’University College London, guidati da Alexander Koch, sono state pubblicate su vari articoli accademici e in una intervista al Business Insider: “Tra il 1492 e il 1600, il 90% delle popolazioni indigene nelle Americhe è morto. Ciò significa che circa 55 milioni di persone sono morte a causa di guerre, violenza e di agenti patogeni mai visti prima, come vaiolo, morbillo e influenza”.
A questa stima vanno aggiunti i Nativi morti tra il 1600 e il 1900, quindi già in “regime” di convivenza e di dominazione degli Europei e dei nuovi Stati da essi creati, e qui la valutazione di vari studiosi oscilla da poche centinaia di migliaia a decine di milioni di morti. Cito qui una frase del 1775 del capo Cherokee Tsi’ yu-gunsini o Dragging Canoe: “Intere nazioni indiane si sono sciolte come palle di neve al sole davanti all’avanzata dell’uomo bianco. Hanno lasciato solo il nome del nostro popolo (…). Verrà proclamata l’estinzione dell’intera razza”.
Nella seconda metà dell’Ottocento alcune fazioni del Congresso statunitense sostennero un vero e proprio sterminio fisico dei popoli nativi; gli “amici” degli indiani, come Pratt della Carlisle Industrial School, sostennero un genocidio soprattutto culturale. Carl Schurz, un ex commissario per gli Affari Indiani, concluse che i popoli nativi avessero “questa severa alternativa: sterminio o civilizzazione”. Henry Pancoast, un avvocato di Filadelfia, sostenne una politica simile nel 1882. Affermò: “Dobbiamo macellarli o civilizzarli, e quello che decidiamo di fare, dobbiamo farlo rapidamente”. L’opera di civilizzazione contemplava, in effetti, un’azione decisa per far loro dimenticare cultura, linguaggio e origini e farli diventare “bianchi”.
Concentriamoci ora sugli Stati Uniti. Il professor David Michael Smith della University of Houston, che riporta gli studi, tra gli altri, di Russell Thornton e David Stannard, sottolinea come anche dal 1900 in poi le morti non naturali non si siano fermate. “Le morti di Nativi che si sono verificate negli Stati Uniti dal 1900 in poi, a causa dell’eredità del colonialismo e del razzismo istituzionalizzato contemporaneo devono essere conteggiate. Il numero totale di morti indigene è stato causato da guerre, repressioni e violenze razziste, ma anche dalle dure condizioni economiche e sanitarie. La scarsità di informazioni statistiche sulle nascite, i decessi e la mortalità degli Indigeni per gran parte del ventesimo secolo rende impossibile stimare con precisione il numero totale di morti in eccesso. Una stima di almeno 200.000 decessi totali attribuibili all’eredità del colonialismo e del razzismo istituzionalizzato dal 1900 in poi è molto prudente”.
Per alzare realisticamente le cifre è sufficiente pensare alla sterilizzazione forzata delle donne native americane, terminata (speriamo) alla fine degli anni Settanta, di cui vi parlerò in un prossimo articolo. Oppure alle scuole residenziali indiane, terminate alla fine degli anni Novanta, di cui vi ho raccontato in un articolo precedente. Tutti strumenti di morte creati negli Stati Uniti dove, peraltro, si è iniziato già agli albori con le coperte infette di vaiolo e la famosa “acqua di fuoco”.
La domanda è: perché la parola genocidio non viene automaticamente associata ai Nativi Americani? La risposta è semplice. Come molti media evitano accuratamente di divulgare informazioni sulle condizioni passate e presenti dei Nativi Americani, a maggior ragione non si parla di genocidio, che stona terribilmente con la “terra della libertà”. Approfitto per ringraziare L’Antidiplomatico per avermi dato lo spazio di questa rubrica per parlare di tematiche tanto scottanti quanto evidenti.
Il concetto di genocidio
La UN Genocide Convention è un trattato internazionale che mette al bando il genocidio e obbliga gli Stati parte a implementare l’applicazione di tale divieto. Ecco il contenuto dell’Articolo II della Convenzione delle Nazioni Unite per la Prevenzione e la Punizione del Crimini di Genocidio, 1948.
«Nella presente Convenzione, per genocidio si intende uno dei seguenti atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, in quanto tale:
- a) Uccidere i membri del gruppo;
- b) causare gravi danni fisici o mentali a membri del gruppo;
- c) infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita tali da provocarne la distruzione fisica, totale o parziale;
- d) Imporre misure volte a impedire le nascite all’interno del gruppo;
- e) trasferire con la forza bambini del gruppo a un altro gruppo».
Per approfondire: https://www.un.org/en/genocideprevention/genocide-convention.shtml
E’ interessante notare che questa Convenzione fu adottata dall’United Nations Center for Human Rights nel 1948, ma fu approvata negli Stati Uniti solo nel 1988 da Ronald Reagan.
L’accusa di genocidio non sarebbe quindi un pianto romantico di liberali e buonisti. Si adatta perfettamente alla situazione dei Nativi Americani.
Attualmente la Convenzione contro i Genocidi è stata siglata da 153 stati (ultimo lo Zambia nel 2022) sui 193 totali membri dell’Onu.
Il Papa e il genocidio
Come abbiamo visto in uno degli articoli precedenti, il Papa si è recato alla fine di luglio 2022 in Canada, per porgere le scuse alle comunità indigene sullo scempio delle scuole residenziali indiane, organizzato dallo Stato, al quale la Chiesa Cattolica ha preso parte. Brittany Hobson, del Canadian Express, ha chiesto al Papa in conferenza stampa durante il volo aereo di ritorno:
«“Lei sa che la Commissione canadese per la verità e la riconciliazione (TRC) ha descritto il sistema delle scuole residenziali come genocidio culturale, e questa espressione è stata corretta semplicemente in genocidio. Le persone che in questa scorsa settimana hanno ascoltato le Sue parole di scusa hanno lamentato il fatto che non sia stato usato il termine genocidio. Lei userebbe questo termine e riconoscerebbe che membri della Chiesa hanno partecipato a questo genocidio?”.
Papa Francesco: “È vero, non ho usato la parola perché non mi è venuta in mente, ma ho descritto il genocidio e ho chiesto scusa, perdono per questo lavoro che è stato genocida. Per esempio, ho condannato pure questo: togliere i bambini, cambiare la cultura, cambiare la mente, cambiare le tradizioni, cambiare una razza, diciamo così, tutta una cultura. Sì, è una parola tecnica – genocidio – ma io non l’ho usata perché non mi è venuta in mente. Ma ho descritto che era vero, sì, era un genocidio, sì, sì, tranquilla. Tu dì che io ho detto che sì, è stato un genocidio. Thank you”».
E Papa Francesco si è dimostrato di parola, quando il giorno dopo usciva il comunicato di Vatican News: “Papa Francesco: È stato un genocidio contro le popolazioni indigene”.
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