LA GUERRA “ALLARGATA” DI NETANYAHU da IL MANIFESTO e IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
15803
post-template-default,single,single-post,postid-15803,single-format-standard,cookies-not-set,stockholm-core-2.4.4,select-child-theme-ver-1.0.0,select-theme-ver-9.11,ajax_fade,page_not_loaded,,qode_menu_,wpb-js-composer js-comp-ver-7.8,vc_responsive

LA GUERRA “ALLARGATA” DI NETANYAHU da IL MANIFESTO e IL FATTO

COMMENTI

La guerra “allargata” di Netanyahu

guerra “allargata” di Netanyahu

ISRAELE. Oggi il ritorno sulla scena dell’Isis con giganteschi attentati in Russia e in Iran costituisce per Israele una «opportunità» da sfruttare per colpire i nemici impegnati su più fronti

Alberto Negri   03/04/2024

Con l’attacco israeliano a Damasco è iniziata una nuova fase di destabilizzazione del Medio Oriente, dalla Siria al Libano e oltre, fortemente voluta da Tel Aviv ben prima del massacro di Hamas del 7 ottobre. Già l’8 agosto il ministro della Difesa Gallant avvertiva che «il Libano in caso di guerra rischiava di tornare all’età della pietra». L’obiettivo di Israele e degli Stati Uniti negli ultimi 40 anni non è mai cambiato, come ben spiega il Patto di Abramo: lo Stato ebraico deve restare l’unica superpotenza regionale. È per questo che si fa la guerra e si rischia il suo allargamento non per altro.

Gli ultimi aiuti militari Usa a Tel Aviv, dicono le carte, sono stati concessi »per affrontare conflitti su più fronti». Basta leggere e guardare la mappa. Israele oltre a occupare una gran parte dei territori palestinesi, si è impadronita delle alture siriane del Golan nel 1967 e di pezzi di territorio libanese. Se l’idea a Gaza è di espellere i palestinesi, ai suoi confini Israele punta a stabilire un sorta di nuova “fascia di sicurezza” e a piegare i regimi della regione. E come sempre tutto quanto riguarda la “sicurezza” di Israele, implica necessariamente l’insicurezza degli altri e il loro annientamento come dimostrano le dichiarazioni di Gallant e quanto avviene ogni giorno a Gaza dove le bombe israeliane hanno ucciso 7 persone che lavoravano per la Ong Usa World Central Kitchen. L’orrore non ha mai fine e le giustificazioni israeliane appaiono prive di ogni credibilità quando si sta radendo al suolo un intero popolo.

In questo quadro, dove il conflitto in Ucraina appare sempre meno lontano dal Medio Oriente, anche il ritorno dell’Isis appare un evento inquietante. Quando sono iniziate le primavere arabe nel 2011 e con la successiva avanzata dell’Isis, il peggiore nemico degli sciiti in Siria e in Iraq – oltre che in Libano – Tel Aviv ha pensato regolare i conti con i pasdaran iraniani e gli Hezbollah alleati di Assad e di Mosca. La sconfitta del Califfato fermato dell’esercito di Assad con l’aiuto decisivo dei russi, dei pasdaran iraniani, degli Hezbollah sciiti e delle milizie curde alleate dell’Occidente ha rallentato questi piani ma oggi il ritorno dell’Isis sulla scena con giganteschi attentati sia in Russia che in Iran costituisce per Israele un’altra un’opportunità da sfruttare per colpire i nemici impegnati su più fronti. Ed è da ricordare che in Siria e in Iraq le milizie jihadiste hanno continuato a colpire nella totale indifferenza occidentale.

Ed è da ricordare che in Siria e in Iraq le milizie jihadiste hanno continuato a colpire nella totale indifferenza occidentale.

Per fare la “sua” guerra Netanyahu è persino disposto a mettere a rischio il suo patto non scritto con Putin che in questi anni non aveva mai protestato per i raid israeliani in Siria e in Libano, ovvero contro gli alleati stessi di Mosca. Ma l’attacco israeliano contro un edificio dell’ambasciata dell’Iran a Damasco, in cui sono morte almeno 11 persone, tra cui il generale Mohammad Reza Zahedi, comandante della Forza Qods dei Guardiani della rivoluzione (i cosiddetti Pasdaran) in Siria e Libano, rischia seriamente di far saltare qualunque possibilità di accordo, anche sottobanco. Ed è esattamente quello che vogliono i vertici israeliani: mano libera contro i palestinesi e contro tutti gli altri. Netanyahu è sotto la pressione di una piazza a lui ostile che chiede un tregua ma ha dalla sua parte i coloni e le proteste di migliaia di israeliani evacuati dai confini con il Libano nell’alta Galilea.

Israele sta alzando il tiro per innescare un altro conflitto. In Libano non colpisce più solo le aree intorno alla Linea Blu, dove è schierata l’Unifil con il contingente italiano, ma addirittura la valle di Baalbek che è nell’entroterra ed è più a nord. La stessa escalation si sta verificando in Siria dove i raid israeliani qualche giorno fa avevano colpito Aleppo e adesso sono tornati di nuovo a prendere di mira Damasco. Lo scopo di Tel Aviv è sempre quello della provocazione portata all’estremo limite: spingere Pasdaran iraniani e Hezbollah libanesi verso una reazione fuori luogo e non calcolata che possa legittimare Israele a lanciare un attacco contro il Libano e il regime di Teheran.

Dopo l’attacco israeliano al consolato iraniano a Damasco, foto Ap

Con gli Stati Uniti che in questa tragedia coprono due ruoli contraddittori ma complementari nella loro assurdità. Uno è quello di mediatore: Washington sta trattando per Gaza e ha persino nominato un “inviato di pace” per il Libano che si chiama Amos Hochstein. Una strana figura di paciere che ha servito nell’esercito israeliano e poi per le lobby di Washington. Un pompiere-piromane che esemplifica l’inaccettabile politica americana di appoggiare costantemente Israele con aiuti militari a tutto spiano. Il tutto con la complicità degli europei che mandano armi a Tel Aviv ma non hanno mai il coraggio di mettere una sanzione allo Stato ebraico.

Per Washington, in pieno anno elettorale, si tratta tra l’altro di un strategia assai pericolosa. Questo governo israeliano sta facendo di tutto sul fronte siriano e libanese per trascinare gli americani in un conflitto allargato che si può estendere all’Iran. Ma per fare una guerra più grande di quella attuale ha bisogno probabilmente di un cambio alla Casa Bianca. Sono calcoli rischiosi e spregiudicati ma ormai lo stato ebraico ci ha abituati a ogni cinismo.

Iran, Siria e Libano: Netanyahu attacca ovunque (pur di non cadere)

INCALZATO BIBI RILANCIA – L’uccisione del generale Mohamed Reza Zahedi e di sette altri ufficiali dell’Irgc, apre nuovi preoccupanti scenari. Khamenei: “Vendetta”

FABIO SCUTO   3 APRILE 2024

Incurante degli appelli alla moderazione della Casa Bianca, alla cautela da parte dell’Unione europea, sotto tiro al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, Benjamin Netanyahu ha rilanciato. E nel poker della guerra è convinto, avendo colpito la sede diplomatica iraniana a Damasco, di aver fatto girare la mano a suo favore. Ma la partita è ancora lunga, l’uccisione del generale Mohamed Reza Zahedi e di sette altri ufficiali dell’Irgc, apre nuovi preoccupanti scenari. I sei missili che hanno colpito il quartiere di Mezzeh hanno polverizzato l’uomo di collegamento fra Teheran e gli Hezbollah, l’armiere delle milizie sciite in azione fra Siria e Iraq. La sua morte è stata l’uccisione più significativa di un leader dell’Irgc da quando gli Usa hanno assassinato il capo della Forza Quds a Baghdad nel 2020. Zahedi, 63 anni, era da tempo sulla lista nera Onu, sotto sanzioni negli Usa e in Australia, nell’Ue e in Gran Bretagna. Per il premier Netanyahu, che ha approvato un attacco così delicato, l’eliminazione riuscita di figure chiave dell’esercito iraniano è come un colpo di Stato politico. Ciò avviene in un momento in cui le manifestazioni che chiedono le sue dimissioni sono aumentate di intensità, mentre la guerra contro Hamas si trascina e gli ostaggi israeliani rimangono a Gaza. Come ha scritto Haaretz, “una guerra senza fine è l’unica scappatoia per Netanyahu”.

Mai finora lo Stato di Israele è stato così isolato internazionalmente, ed è tutto merito del suo leader, un uomo disperato sul viale del tramonto politico. Dal suo ufficio ieri – come d’abitudine – non una parola sul raid che ha colpito Damasco. Ma il premier ha voluto commentare da far suo la strage degli operatori umanitari a Gaza: “Un tragico incidente, di quelli che accadono in guerra”. Non è stato un incidente, è stato un attacco deliberato. I droni hanno colpito per tre volte consecutive il corteo di tre auto con le insegne della Ong World Central Kitchen uccidendo 7 persone perché convinti che a bordo ci fosse un esponente di Hamas di medio livello. L’ennesimo tragico errore del programma di riconoscimento facciale “Corsight”, usato dall’Idf per identificare “i bersagli” a Gaza. Il bombardamento su Damasco è una grave escalation di quella che è da tempo una guerra latente e non dichiarata tra Israele e Iran. L’Iran promette grandi ritorsioni per voce del suo leader Ali Khamenei, ma né Israele né l’Iran vogliono una grande guerra, data la posta in gioco per entrambi. Ma anche così, il pericolo di un errore di calcolo è sempre presente, poiché entrambi cercano di ottenere un vantaggio a Gaza e nel sud del Libano.

I funzionari iraniani uccisi erano seriamente impegnati nell’armare e guidare le forze per procura a Gaza, Libano, Siria, Iraq e Yemen come parte dello sforzo dichiarato dell’Iran di destabilizzare e persino distruggere lo Stato ebraico. Dimostrando la sua capacità di infiltrarsi nell’intelligence iraniana, Israele sta cercando di colpire questi “delegati” regionali dell’Iran, il cosiddetto Asse di Resistenza, con l’obiettivo di indebolirli e scoraggiarli, anche se la guerra a Gaza continua. Yaakov Amidror, ex consigliere per la sicurezza nazionale israeliano, definisce la morte di Zahedi “un duro colpo alle capacità immediate dell’Iran nella regione”. Come e quando l’Iran sceglierà di reagire aumenta ulteriormente la posta in gioco. Teheran potrebbe fare scelte azzardate: un grave attacco informatico alle infrastrutture israeliane o alle sue forze armate, una raffica di razzi dal Libano meridionale, l’assassinio di un comandante Idf, un attacco a un’ambasciata israeliana all’estero o un’altra brusca accelerazione del programma nucleare. L’ultima sarebbe una sorta di risposta a Bibi, che da tempo mette in guardia sul pericolo di un Iran dotato di armi nucleari e ha promesso di impedire che ciò accada. Oppure Teheran può prendere tempo, come spiega Amidror, che dubita che l’attacco possa portare a una guerra totale che coinvolga Hezbollah. “Cercheranno vendetta certo, e non si limiterà alle immediate vicinanze”.

No Comments

Post a Comment

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.