ISRAELE RADDOPPIA I SUOI COLONI SUL GOLAN SIRIANO da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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ISRAELE RADDOPPIA I SUOI COLONI SUL GOLAN SIRIANO da IL MANIFESTO

Israele raddoppia i suoi coloni sul Golan siriano. Riappare Al Assad

Sindrome siriana Il presidente deposto ha negato di essere fuggito dalla Siria e afferma che la Russia gli ha imposto la partenza per Mosca

Michele Giorgio  17/12/2024

A poco serviranno gli ammonimenti soft della Germania a Israele a cui Berlino ha chiesto ieri di rinunciare ai suoi piani appena annunciati per raddoppiare il numero dei coloni nelle Alture del Golan siriano occupato. Il governo Netanyahu procederà incontrastato con il suo programma di colonizzazione, sfruttando ancora le opportunità che l’attuale quadro mediorientale gli sta offrendo. Non mancando allo stesso tempo di indirizzare i suoi cacciabombardieri contro altri paesi della regione per «ragioni di sicurezza». Nella notte tra domenica e lunedì, l’aviazione israeliana ha lanciato almeno 20 attacchi (70 in 48 ore) devastanti in Siria, «da far tremare la terra» hanno riferito testimoni, colpendo la zona di Tartus sulla costa siriana, oltre alle regioni di Hama e Homs. Gli obiettivi, ha detto Tel Aviv, sono stati depositi di armi, missili, munizioni, ma in Siria parlando di danni gravi anche a infrastrutture civili. Nell’ultima settimana Israele ha effettuato centinaia di attacchi azzerando le forze armate siriane.

Dopo aver occupato con le sue truppe, approfittando della caduta di Bashar Assad, la «zona cuscinetto» sulle linee di armistizio del 1973-74 con la Siria, Netanyahu e i suoi ministri hanno dato seguito al piano messo a punto  dall’ex premier Naftali Bennett (ultranazionalista religioso) per portare a 50mila entro il 2025-26 (raddoppiando il numero attuale), i coloni nei 1200 kmq di territorio siriano che Israele ha occupato nel 1967 durante la Guerra dei Sei Giorni e che si è annesso unilateralmente nel 1981. Annessione riconosciuta da Donald Trump nel 2019, un passo che l’Amministrazione Biden non ha mai messo in discussione. Poco dopo aver preso il suo incarico nel 2021, il segretario di Stato Antony Blinken dichiarò alla Cnn che il controllo del Golan rimane di «grande importanza per la sicurezza di Israele».

Netanyahu investirà subito circa 10 milioni di euro, il piano di Bennett invece ne prevede 300 nel corso di vari anni finalizzati alla costruzione di 7.300 abitazioni a Katzrin, la più importante delle colonie nel Golan, e di infrastrutture. Alle 36 colonie esistenti si aggiungeranno quelle di Asif e Matar e un insediamento che porterà il nome di Donald Trump. I 25mila drusi nel Golan che, per la maggior parte, si considerano sempre siriani e rifiutano l’occupazione israeliana, diventeranno una minoranza. Già oggi un simile numero di coloni vive sulle Alture che la Siria fino a due settimane fa ha sempre rivendicato, mentre non è chiaro l’orientamento dei nuovi padroni di Damasco.

Il jihadista «peace and love» Abu Mohammad Al Julani (Ahmed Shaara), leader di fatto del paese, ha chiesto a Israele di fermare i bombardamenti aerei, aggiungendo subito dopo che la Siria non cerca la guerra con Tel Aviv. Nel frattempo, la zona demilitarizzata istituita nel 1974 è tutta nelle mani di Israele che nei giorni scorsi ha preso il resto delle Alture, in particolare lo strategico Jabal Sheikh (Monte Hermon) il punto più alto della zona e un luogo ideale per la sorveglianza sia della Siria che del Libano. E non è detto che Israele si fermi qui. Se si tiene conto che Netanyahu ha commentato nei giorni scorsi la caduta di Assad affermando «Qui è accaduto qualcosa di tettonico, un terremoto che non si è verificato nei 100 anni successivi all’accordo Sykes-Picot» e che i suoi alleati di estrema destra collocano l’espansionismo israeliano in un contesto religioso, non si può escludere che queste recenti occupazioni territoriali diventino permanenti come quella del Golan.

Non ha fatto riferimenti alle Alture e ai progetti israeliani in Siria, neanche Bashar Assad che ieri ha rilasciato le prime dichiarazioni dalla sua partenza/fuga dal paese. Le sue parole potrebbero aver generato irritazione al Cremlino. L’ormai ex presidente siriano ha affermato che la sua evacuazione da Damasco in Russia non è stata «premeditata», ma imposta da Mosca. «La mia partenza dalla Siria non era pianificata e non è avvenuta durante le ultime ore della battaglia, contrariamente ad alcune accuse», ha affermato Assad sul canale Telegram della presidenza precisando di non aver mai preso in considerazione l’idea di dimettersi o di fuggire. «Mosca – ha sostenuto – ha voluto un’immediata evacuazione la sera di domenica 8 dicembre», aggiungendo che la Siria è ormai «nelle mani dei terroristi».

Intanto la Russia continua ad evacuare le sue forze dalla Siria. Negli ultimi giorni, in coordinamento con Hay’at Tahrir al Sham (Hts), il gruppo jihadista guidato da Al Julani, sono partiti almeno 400 soldati russi di stanza a Qudsayya, un sobborgo della capitale. Il rimpatrio dei militari, assieme ad armi e attrezzature, avviene con aerei da trasporto dall’aeroporto di Khmeimim e dalla base navale a Tartus, le due postazioni militari che Mosca vorrebbe mantenere nella Siria senza più l’alleato Assad, un esito ritenuto improbabile sul lungo periodo.

Non hanno possibilità di fuga invece i militari e civili considerati dai jihadisti sostenitori del passato regime. Pochi ne parlano e scrivono, però almeno una ventina di siriani considerati filo-Assad sono stati uccisi da bande armate nelle regioni di Damasco, Homs, Hama, Idlib, Latakia e Tartus. In maggioranza alawiti, ma anche cristiani

Il potere è una scatola vuota per Al Julani

L’analisi Assad si è portato via le casse dello Stato, mentre Israele sta disintegrando tutto l’apparato militare e si allarga nel Golan; a nord Erdogan occupa due cantoni e apre la caccia ai curdi

Alberto Negri  17/12/2024

Il crollo del regime di Assad e i raid di Israele consegnano al nuovo padroncino di Damasco, il jihadista Al Julani, un scatola vuota sulla quale è scritto «Ex Siria».
Bashar al Assad che si è fatto vivo da Mosca dando la sua versione della storia – «sono i russi che mi hanno chiesto di andarmene» – si è portato via la cassa.

Le riserve della banca centrale, due tonnellate di banconote e 250 milioni di dollari erano già stati trasferiti in passato in Russia, la sua cerchia di potere aveva acquistato un quartiere della capitale russa dove trasferirsi con i proventi delle rapine a danno del popolo siriano, del contrabbando e del traffico di droga.
L’apparato bellico delle forze armate siriane non esiste più. In questi giorni con centinaia di bombardamenti israeliani è stato disintegrato all’80 per cento, dalla marina all’aviazione, alle fabbriche belliche.

La nuova Siria per decenni non potrà ricostruire una capacità militare difensiva significativa, il che vuol dire che è attaccabile in qualunque momento e farà fatica a controllare un territorio dove le milizie abbondano. Pure l’Isis, a Est nel mirino degli americani, i quali dovrebbero proteggere i loro alleati curdi, lasciati al solito, al loro destino. Con l’occupazione del Golan le truppe israeliane sono a qualche decina di chilometri da Damasco: in pratica Al Julani, che ha flebilmente protestato con Tel Aviv, è letteralmente sotto il tiro della tecnologia bellica israeliana, come ha dimostrato la guerra in Libano attuata anche con l’eliminazione della dirigenza Hezbollah. Non gli conviene neppure nascondersi, è quasi un ostaggio.

L’INCONTRO a Damasco tra Al Julani e l’inviato speciale delle Nazioni unite Geir Pedersen ha avuto risvolti quasi comici se di mezzo non ci fosse la tragedia di un popolo. Pedersen ha ribadito l’importanza di una transizione politica credibile e inclusiva, dichiarando: «La transizione deve essere guidata dai siriani e rispettare la sovranità e l’integrità del Paese». Ma certo, come no. Se Israele si è impadronita del Sud nel Golan e dei collegamenti con il Libano, a Nord Ankara, che occupa direttamente due cantoni siriani, ha scatenato le milizie filo-turche contro i curdi e il Pkk, che ora chiedono di trattare con Damasco.

DI QUALE «integrità» della Siria parla Pedersen? Il governo israeliano ha approvato un piano per raddoppiare la popolazione nella parte del Golan siriano occupata da Israele, ma afferma di non essere interessato a entrare in conflitto con la Siria, avendo preso ormai il controllo della zona cuscinetto monitorata dell’Onu. Israele ha conquistato parte delle alture del Golan durante la guerra arabo-israeliana del 1967, prima di annettere il territorio nel 1981. E gli Stati uniti, sotto l’amministrazione di Donald Trump, hanno riconosciuto questa annessione nel 2019, in violazione delle risoluzioni Onu. Tra un po’, con Trump alla Casa Bianca, Netanyahu e il suo governo di estremisti di destra sperano che gli Usa riconoscano l’annessione di tutto il Golan e delle colonie in Cisgiordania.

Si intravede già il solito giochetto coloniale israeliano del divide et impera. Nelle 34 località delle alture del Golan annesse da Israele vivono circa 30mila cittadini israeliani, oltre a 23mila drusi, una comunità che per la maggior parte si dichiara siriana ma ha lo status di residente in Israele. Ora qualche comunità drusa nella parte del Golan siriano appena occupato ha già chiesto di essere annessa a Israele. Tra pressioni esterne e forze centrifughe interne l’integrità territoriale della Siria appare grandemente sotto pressione.

Il terreno è già pronto. L’amministrazione Biden ha subito avallato la narrativa secondo la quale l’occupazione del Golan e i raid israeliani sono «misure preventive di legittima difesa» contro potenziali minacce provenienti dalla Siria. Insomma Israele può invadere tutto i territori che gli pare dei Paesi confinanti: la questione del doppio standard attuato sistematicamente dagli americani è diventata imbarazzante.

A meno che non rientri in una strategia più ampia, evocata tra sussurri e grida nei corridoi diplomatici, ovvero che se la Russia si è messa d’accordo per liberare la Siria da Assad – e ora tratta con Al Julani sulle basi russe – può anche negoziare sull’Ucraina. E anche questa volta la Russia, come spesso accade, non ha niente da dire. sull’occupazione israeliana del Golan. Forse non è un caso.

MAL DI LÀ delle questioni politiche e militari in Siria è in corso, certo non da oggi, una tragedia umanitaria. La metà del patrimonio abitativo è distrutto o inagibile, rendendo complicato anche il ritorno dei profughi, il 90% dei siriani vive sotto la soglia di povertà. Al Julani ha un bilancio statale stimato dal Financial Times in meno di 100 milioni di dollari: per fare un confronto Israele ha annunciato che nel raddoppio dei residenti nel Golan investirà circa 10 milioni di dollari, un decimo di quanto ha in mano il capo jihadista per gestire tutto il Paese. È evidente che i soldi della Turchia non basteranno e quindi si aprirà la corsa ai fondi delle monarchie del Golfo, in gran parte già aderenti al Patto di Abramo.

Il vuoto lasciato dalla caduta del regime di Assad pone interrogativi cruciali sulla sicurezza regionale e sulle dinamiche geopolitiche immediate e future. Ma è già chiaro che indebolita e stremata la Siria oggi lotta ancora per la sopravvivenza.

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