ISRAELE OCCUPA UN ALTRO PEZZO DI GOLAN. E DI CISGIORDANIA da IL MANIFESTO
Israele occupa un altro pezzo di Golan e bombarda più di cento volte in 36 ore
Israele/Palestina Netanyahu rivendica il crollo del Baath. Smotrich ora vuole tutta Gaza. Tra le opposizioni stessa musica: «anello di fuoco israeliano»
Chiara Cruciati 10/12/2024
Erano passate poche ore dall’annuncio della caduta di Bashar Assad, domenica, quando il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu è apparso sulle Alture del Golan occupato per celebrare e rivendicare la fine del regime Baath.
NE HA APPROFITTATO per fare altro: annunciare il collasso dell’accordo di disimpegno siglato con la Siria nel marzo 1974 e che disegnava la cosiddetta Linea Alpha, a separare il territorio siriano da quello occupato da Israele. Il ritiro dell’esercito siriano e la caduta della dinastia che ci aveva messo la firma a Tel Aviv basta e avanza, l’accordo è «nullo». Immediatamente le truppe israeliane – già schierate in abbondanza alla frontiera – hanno «sfondato» e occupato la zona cuscinetto, fino a spingersi ieri verso la città siriana di Quneitra. A pubblicare le immagini dei carri armati in terra siriana è stato lo stesso esercito, mentre gruppi di paracadutisti il giorno prima si erano fatti immortalare in cima al lato siriano del Monte Hermon, a ben dieci chilometri di distanza dalla Linea Alpha. Ieri il ministro della difesa Israel Katz ha ordinato alle forze armate di completare l’assunzione del controllo della buffer zone e di creare «una zona di sicurezza libera da armi strategiche e infrastrutture terroristiche».
Domenica Netanyahu aveva tenuto a precisare che l’occupazione è una misura temporanea (ma da queste parti alla «temporaneità» delle azioni israeliane non crede nessuno) e difensiva, volta a impedire a gruppi ostili di avvicinarsi alla frontiera. Stesso obiettivo avrebbero avuto, secondo le dichiarazioni israeliane, i pesanti raid che domenica e di nuovo ieri hanno di nuovo colpito la Siria, da Damasco a Daraa.
Domenica è toccato alla capitale, con i raid incuranti della gente in strada a festeggiare la caduta di Assad. Israele ha centrato la sede dell’intelligence siriana, provocando un incendio che ha alzato su Damasco una densa colonna di fumo nero. Colpiti anche la sede della dogana (un edificio civile, dunque) e un centro di ricerca.
I BOMBARDAMENTI israeliani hanno causato danni ingenti, secondo la Reuters, anche alle palazzine vicine. Nelle ore precedenti era stata bombardata la base aerea di Sweida. Ieri mattina è stata la volta di Daraa, nel sud, e in serata del porto occidentale di Latakia, dove è di stanza la principale base russa: anche in questi casi le autorità israeliane hanno giustificato l’azione con l’intenzione di impedire a soggetti ostili di impossessarsi delle armi del fu esercito siriano. A confermarlo è il ministro degli esteri Gideon Sa’ar, che ha parlato di raid su sistemi d’arma e sistemi lancia-missili. In meno di 48 ore, Israele ha bombardato la Siria più di cento volte.
Insomma, Israele avanza via terra e via aria (è l’unico paese che da giorni bombarda la Siria), riscrive confini e calpesta il diritto internazionale, con interpretazioni surreali: la Siria coincide con il suo regime, come il Libano con un partito-milizia, nessuna sovranità riconosciuta agli Stati, tanto meno ai popoli.
E se il presidente statunitense Joe Biden domenica sera è arrivato a dire che è grazie all’alleato israeliano e alla brutale e sanguinaria guerra scatenata contro il Libano se Assad è caduto, i ministri di Tel Aviv e le opposizioni al governo danno un’identica lettura degli eventi: quanto sta accadendo in Siria è parte di una più ampia trasformazione degli equilibri (o meglio, squilibri) mediorientali. Il ministro Sa’ar parla di un avanzamento nella soluzione negoziale per gli ostaggi israeliani a Gaza, quello delle finanze Smotrich va oltre rivendicando il collasso del Baath («i nemici vengono distrutti grazie al potere dell’Idf») e chiedendo di più, «approfittare della disintegrazione dell’asse del male per colpire con forza l’Iran…e completare l’occupazione di Gaza».
LA MUSICA non cambia sul fronte delle opposizioni. L’ex capo di stato maggiore ed ex ministro della difesa Benny Gantz, allo stesso modo, ha descritto la fuga di Assad come «un’opportunità di proporzioni storiche» e puntato alla preda più succosa, l’Iran, suggerendo di creare «un anello di fuoco» israeliano nella regione attraverso la normalizzazione con i futuri – come spera – Siria e Libano. Non troppo lontano dalla visione di Netanyahu che ieri sera, in conferenza stampa, ha sentenziato: «Stiamo trasformando la faccia del Medio Oriente».
La Cisgiordania si restringe, terra di stato senza palestinesi
Palestina L’annessione a Israele è già realtà: confische record, mai così tanti ettari sottratti. E poi fondi ai coloni, nuove reti stradali e la modifica delle gerarchie: a gestire i Territori palestinesi occupati saranno i ministeri, come fosse terra israeliana. I casi di Al-Malha e al-Khas
Chiara Cruciati 10/12/2024
Dalle colline più alte di Al Malha si intravede la Giordania. È laggiù, oltre una distesa di alture desertiche che ricordano la forma delle nuvole. Da un paio d’anni l’Autorità nazionale palestinese ha investito molto da queste parti: ha creato un reticolo di strade asfaltate e ha riconosciuto, lo scorso giugno, il consiglio comunale.
A est di Betlemme, Al Malha conta 2mila abitanti, per lo più beduini e pastori, e ricade in Area B. Secondo la mappatura stabilita dagli Accordi di Oslo del 1993, è sotto il controllo civile palestinese e militare israeliano. Significa che spetta ai palestinesi gestirne lo sviluppo urbano.
Così alle sparute case in cemento e alle più numerose casette in pietra e lamiera se ne sono via via aggiunte altre: alcune sono finite, altre sono ancora cantieri aperti. Ma di operai non c’è traccia e i tanti cartelli «Vendesi» lungo la strada perdono colore.
NEGLI ULTIMI DUE ANNI la compravendita di terre aveva vissuto un piccolo boom. Tante famiglie da Hebron, Betlemme, Gerusalemme hanno acquistato un appezzamento dove costruire una casa. I prezzi sono infinitesimali se paragonati alla città: 10-15mila euro, a Betlemme o Hebron si paga venti volte tanto.
Sono bastati pochi mesi perché tutto si congelasse. Appena un mese dopo il riconoscimento del consiglio comunale palestinese, il ministro delle finanze israeliano Bezalel Smotrich è giunto in missione ad Al Malha, scortato da centinaia di coloni, e ha dichiarato la zona «riserva naturale».
«L’ho visto mentre guidavo verso l’ufficio. In cielo ronzavano i droni», dice Eish Alayan, la vice presidente del municipio. La strada che conduce alla sede, un edificio blu scuro in cima a una collina, non è asfaltata. Gli operai assunti dall’Anp non sono riusciti a terminare il lavoro, Smotrich è arrivato prima.
Da quassù si vede la colonia israeliana di Tuqoa a ovest, quella di Ma’ale Adumim a nord e il confine con la Giordania a est. È facile capire perché serva gli interessi israeliani: prendersi Al Malha significherebbe creare un corridoio palestinian-free nel sud della Cisgiordania occupata.
«Smotrich ha dichiarato terra di proprietà statale 6.300 dunam, ovvero 630 ettari – continua Alayan – Ha bypassato la Knesset, coordinandosi direttamente con l’Amministrazione civile». È stata questa, l’ente israeliano che “gestisce” i Territori occupati palestinesi, a consegnare i primi ordini di demolizione a sei case di Al Malha.
«L’ANP STAVA lavorando alla stesa della rete elettrica e idrica, qui vivono soprattutto beduini, usano generatori e cisterne d’acqua. Stavamo progettando la clinica e la scuola, la più vicina è a venti chilometri. Dopo Smotrich, nessuno ha più acquistato terre qui, hanno paura. A spaventare sono anche i coloni, minacciano gli abitanti. I droni volano con sempre più frequenza».
La riserva naturale è solo uno dei modi in cui Israele da decenni trasforma pezzi di Cisgiordania occupata in state land, togliendola ai legittimi proprietari. Ora però, si è battuto ogni record: solo nei primi sei mesi del 2024, denuncia l’ong israeliana Peace Now, l’Amministrazione civile ha dichiarato terra di stato 23.700 dunam, 2.370 ettari: 12.700 nella Valle del Giordano, 2.640 intorno alle colonie di Ma’ale Adumim e Keidar, altri 8mila nella zona adiacente, 170 a Herodium a est di Betlemme.
Un calcolo di cui non fanno parte i 6.300 dunam di Al Malha, la confisca è avvenuta dopo. La firma sull’ordine è di Hillel Roth, nominato vice direttore dell’Amministrazione civile da Smotrich e a cui lo stesso ministro ha trasferito buona parte dei poteri dell’ente attraverso la creazione di una speciale “Amministrazione delle colonie” per velocizzare il processo di espansione coloniale.
«23.700 dunam è un valore enorme, più grande di tutte le confische effettuate nei 25 anni precedenti combinati insieme», ci spiega l’ufficio stampa di Al Haq, la più nota organizzazione per i diritti umani palestinese, 45 anni di storia e una sede all’Onu di Ginevra.
I regimi di apartheid e di occupazione sono sempre stati puntellati dal sistema normativo internoAl Haq
«Come per altre violazioni del diritto internazionale, Israele tenta di dare una parvenza di legalità. Tra le altre, usa una sua interpretazione della legge ottomana di metà Ottocento: lo Stato può confiscare una terra se non viene coltivata per sette anni. In Cisgiordania è pieno di casi in cui la terra è resa inaccessibile, dal muro, le colonie, le zone militari, è una scappatoia che viola il diritto internazionale e, da ultimo, la sentenza di luglio della Corte internazionale di Giustizia sull’occupazione».
«Ma, dopotutto – continua Al Haq – i regimi di apartheid e di occupazione sono sempre stati puntellati dal sistema normativo interno».
LA COLONIZZAZIONE procede sotto varie forme. Dal 7 ottobre 2023 il governo Netanyahu ha istituito 43 nuovi outpost (piccoli insediamenti agricoli), anche questo un record, e cinque nuove colonie; ha legalizzato altri 70 outpost, fuori legge secondo la stessa legge israeliana, permettendogli di accedere ai finanziamenti dello stato; ha autorizzato la costruzione di 8.861 nuove unità abitative in colonie preesistenti; ha raddoppiato il budget del ministero delle colonie; ha stanziato 7 miliardi di shekel (1,85 miliardi di euro) per strade tra le colonie e 75 milioni per gli insediamenti illegali.
Per il resto si opera in maniera indiretta, con le violenze senza precedenti dei coloni che hanno già costretto 25 comunità beduine ad abbandonare le proprie terre e con 1.600 demolizioni di case e strutture palestinesi, lasciando 3.600 persone senzatetto.
«Il record di demolizioni è possibile grazie all’ampliamento del raggio di azione dell’Amministrazione civile – ci spiega Issam Aruri del Jerusalem Legal Aid and Human Rights Center – Ora in Area C (il 60% della Cisgiordania, sotto totale controllo israeliano, ndr) serve un permesso anche per i pannelli solari di una tenda o per una cisterna d’acqua».
«Questo non è il piano di Smotrich. È il piano dello Stato di Israele, un progetto coloniale fondato sull’annessione. I palestinesi sono solo una minaccia demografica, da ridurre in spazi sempre più piccoli con un’operazione di ingegneria e pulizia etnica. L’annessione è già realtà. Smotrich è solo più chiaro degli altri, lo dice ad alta voce».
A VOCE ALTA, l’ultima volta lo ha detto l’11 novembre, pochi giorni dopo la vittoria di Donald Trump alle elezioni statunitensi: «2025: l’anno della sovranità su Giudea e Samaria», ha scritto su X utilizzando il nome con cui Israele identifica la Cisgiordania.
«Ho ordinato l’inizio di un lavoro professionale per preparare la necessaria infrastruttura» per l’annessione, ha detto, perché «non ho dubbi che il presidente Trump sosterrà lo Stato di Israele in questa mossa», l’unico modo – ha aggiunto – per impedire la formazione di uno Stato palestinese. Dalla sua ci sono due precedenti: nel primo mandato Trump riconobbe la sovranità israeliana su Gerusalemme e sul Golan siriano occupati.
Appena due giorni fa Smotrich ha proseguito con i festeggiamenti per la vittoria trumpiana annunciando l’intenzione di smantellare l’Amministrazione civile come parte del piano di annessione: non ce ne sarà più bisogno, ha detto, perché il territorio ricadrà sotto il controllo diretto dei ministeri.
Anche questa non è una novità: dall’entrata in carica dell’attuale governo Netanyahu (dicembre 2022), Tel Aviv – sottolineava l’associazione Adalah già a giugno 2023 – ha promosso modifiche strutturali che «costituiscono già l’annessione di parti della Cisgiordania: una varietà di ministeri gestiranno i territori occupati come se fossero parte integrante del territorio israeliano».
Il popolo ebraico ha diritto esclusivo e inalienabile a tutte le aree della Terra d’Israele… in Galilea, Negev, Golan, Giudea e SamariaProgramma di governo
Da cui la necessità di smantellare l’Amministrazione civile per far ricadere tutto sotto l’autorità diretta dei ministeri, senza enti a fare da filtro. Dopotutto stava già scritto nelle linee guida che la coalizione di ultradestra aveva reso note a gennaio 2023: «Il popolo ebraico ha un diritto esclusivo e inalienabile a tutte le aree della Terra d’Israele. Il governo promuoverà e svilupperà l’insediamento in tutte le parti, in Galilea, Negev, Golan, Giudea e Samaria».
C’è fretta. Lo dicono i continui lavori in corso, le colonie che si allargano, le nuove strade di collegamento con Israele, un costante cantiere in cui pezzi di muro di separazione si sovrappongono, si intersecano, circondano le comunità palestinesi.
ALLE PORTE di Ramallah la ridefinizione dello spazio è costante: è chiaro che le nuove rampe, i tratti di autostrada, le strade vietate al traffico palestinese sono le coordinate della mappa del futuro. È da lì che passa la direttrice per Gerusalemme e per il definitivo taglio in due della Cisgiordania.
Altrove si agisce con altri mezzi. Come le zone militari. Nel villaggio di Al-Khas lo hanno scoperto per caso, quando alcuni abitanti hanno chiesto al comune il permesso di aggiungere un piano alla propria casa. Non si può costruire perché ora mezzo villaggio è zona militare, la porzione che guarda al checkpoint di Har Homa, tra il nord di Betlemme e Gerusalemme.
Il checkpoint continua ad ampliarsi, sembra voler salire su, sulla collina, dove le ultime case si appoggiano. «La nuova mappatura risale a giugno 2024 – ci dice Sami C., un residente – In quei giorni i droni volavano di continuo, scannerizzano la zona per vedere se ci sono nuovi edifici rispetto al passato».
«Al ministero delle amministrazioni locali dell’Anp mi hanno detto che per loro resta Area B, come dicono gli Accordi di Oslo. Il permesso di costruire possono pure rilasciarmelo, ma poi gli israeliani mi buttano giù la casa perché sono loro che decidono qua. Il mio permesso fantasma è come Abu Mazen che si dice presidente di uno stato che non c’è».
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