IO C’È da IL MANIFESTO
«La nuova età dell’oro». Il comizio di insediamento di Trump
Io c’è Nel suo discorso attacca l’amministrazione Biden. I suoi rispondono: «Amen». Tecno-oligarchi in prima fila: Elon Musk, Tim Cook, Sundar Pichai, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg
Marina Catucci 21/01/2025
«Questo weekend di inaugurazione ha un’atmosfera molto diversa da quello del 2017» ha detto Roger Stone al Washington Post, e in questo caso non si può dargli torto. Otto anni fa, all’alba del primo mandato di Donald Trump, Washington era confusa, spaventata, colpita al cuore, e le celebrazioni del movimento Maga erano impacciate. Questa volta la città è stata consegnata ai trumpiani, lo stesso Stone, graziato da Trump 4 anni fa per crimini vari, ha tenuto corte mentre aspettava di incontrare gli alleati internazionali del tycoon.
Nel suo discorso di insediamento Trump ha promesso di «unificare il Paese», e ha pensato che il modo migliore per farlo fosse attaccare il presidente uscente seduto dietro di lui: «È il giorno della liberazione – ha detto – tornerete a potervi fidare del governo». La mattina Trump era andato alla Casa bianca, accolto Joe Biden con un «Benvenuto a casa».
MA LA CERIMONIA, che si è tenuta all’interno del Campidoglio, ha visto un cambio di tono. «Oggi inizia una nuova era, oggi finisce il declino dell’America – ha detto Trump non distaccandosi, nemmeno in questa occasione, dal registri bellicosi da campagna elettorale – oggi abbiamo un governo incapace di gestire una crisi interna, mentre protegge criminali e malati di mente entrati da ogni parte del mondo. E rifiuta di difendere i confini americani o ancor più importante il suo popolo. L’età dell’oro comincia ora, il nostro paese fiorirà e metterò sempre al primo posto l’America».
Nel Campidoglio ad ascoltare il loro leader c’erano 2000 persone, la maggior parte della base era fuori, a cercare di entrare nel Capitol One Arena, o riparata in bar a guardare in televisione ciò per cui era venuta a Washington a vedere di persona.
Nel bar dove eravamo quando Trump ha scandito lo slogan Make America Great Again, oltre all’applauso è scattato un coro di «fight fight fight», che evocava il grido del tycoon dopo l’attentato in Pennsylvania. In altri momenti, invece, nelle pause che Trump dissemina sempre ad effetto, il coro è stato «amen», a sottolineare l’aria di culto che si respira attorno al tycoon.
«PROSPERITÀ, sicurezza, pace e libertà per tutti – ha promesso Trump – questo 20 gennaio sarà ricordato come il giorno della liberazione».
Già nelle ore precedenti il suo staff aveva anticipato che durante il discorso il tycoon avrebbe dichiarato l’emergenza nazionale al confine, e lo ha fatto: ora potrà inviare altro personale e anche l’esercito. E non basta: ha dichiarato «guerra alle gang criminali», che metterà fine allo ius soli sancito dalla Costituzione, che darà il via libera a trivellazioni selvagge per cercare i combustibili fossili: «Drill baby drill» (e qua è esploso un altro «amen»).
Ha promesso di mettere fine «al Green New Deal e agli incentivi alle auto elettriche. Potrete comprare le auto che vorrete». Ha annunciato dazi, e garantito che in Usa verranno riconosciuti solo due generi : maschio e femmina Ha promesso ancora di ribattezzare il Golfo del Messico in Golfo d’America e di riprendere possesso del canale di Panama, e di non volersi fermare a queste conquista terrestri, ma di voler piantare la bandiera americana su Marte, facendo sorridere di gioia Elon Musk seduto nelle prime file, insieme a quelli che ormai vengono chiamati i tecno oligarchi: Jeff Bezos, Mark Zuckerberg , Tim Cook e Sundar Pichai.
«Molti pensavano che il mio ritorno fosse impossibile – ha gongolato Trump – Beh come vedete, eccomi qui: il popolo americano ha parlato. Sto qui a dimostrare che l’impossibile è ciò che noi americani facciamo meglio. Insieme restaureremo il paese che tanto amiamo. Io combatterò e vincerò per voi».
L’ECO di queste promesse era ancora nell’aria quando, pochi minuti dopo il giuramento di Trump, è stata presentata una causa per sostenere che il «Dipartimento per l’efficienza governativa» di Elon Musk viola le norme federali sulla trasparenza, dando il via a una battaglia legale su un aspetto chiave dell’agenda della nuova amministrazione.
La denuncia di 30 pagine ottenuta dal Washington Post prima della sua presentazione, è partita dallo studio legale della National Security Counselors, e afferma che il comitato non governativo Doge sta violando una legge del 1972 che richiede ai comitati consultivi del ramo esecutivo di seguire determinate regole in materia di divulgazione, assunzioni e altre pratiche. La causa sostiene che Doge soddisfa i requisiti per essere considerato un «comitato consultivo federale», una classe di entità legali regolamentata per garantire che il governo riceva una consulenza trasparente ed equilibrata. Questi gruppi sono tenuti ad avere una rappresentanza «equamente bilanciata», a tenere verbali regolari delle riunioni, a consentire al pubblico di partecipare, a depositare uno statuto presso il Congresso e altro ancora: tutti passaggi che Doge non sembra aver intrapreso.
Il grande balzo all’indietro, arriva il Nuovo Imperialismo Americano
Stati Uniti Acquisizioni territoriali vere o anche soltanto minacciate, controllo di quanta più economia mondiale possibile, dazi e pratiche neo-mercantili: bentornati nel XIX secolo
Fabrizio Tonello 21/01/2025
Le idee recenti ventilate da Trump di annettere il Canale di Panama, la Groenlandia, il Canada e di lanciare un’operazione militare speciale per eliminare i cartelli della droga dal Messico appaiono tutte assurde, difficili da prendere seriamente. In fondo abbiamo già sperimentato un decennio con migliaia di tweet bizzarri e senza senso da parte di Trump.
TUTTAVIA questi ballons d’essai rivelano l’idea centrale che sta al centro della sua politica estera nei prossimi quattro anni, un’idea che potrebbe essere chiamata Nuovo Imperialismo Americano. Nuovo perché, dopo aver completato le conquiste continentali, l’impero americano globale è stato costruito con la superiorità economica, con l’intimidazione e con il soft power più che con le acquisizioni territoriali. E’ vero che Guam, Puertorico e le isole Samoa sono territori degli Stati Uniti ma si tratta di briciole. L’amministrazione Bush non si è ritagliata un pezzo di Iraq dopo l’invasione e i vent’anni di guerra in Afghanistan si sono conclusi con il ritiro, non con la difesa a oltranza di Kabul. Ci sono basi americane in oltre 100 paesi del mondo, comprese Cuba e la Siria, ma nel XX secolo nessuno ha pensato seriamente di invadere il Messico, il Canada e la Groenlandia. Per la prima volta si riparla di territori da controllare fisicamente.
LA SUA SQUADRA della sicurezza nazionale è stata selezionata fondamentalmente perché i suoi componenti non hanno alcuno scrupolo per il mantenimento di una finzione di adesione dell’America alle norme internazionali. L’idea che gli Stati Uniti non debbano essere frenati dalle leggi e dalle Organizzazioni internazionali risale alla sua prima amministrazione, (non che prima questo sentimento non esistesse ma veniva avvolto da una retorica meno aggressiva). Per Trump e i suoi consiglieri il diritto internazionale è semplicemente un tentativo senza senso di limitare il potere americano.
Persone come Pete Hegseth o Elbridge Colby, entrambi designati al Dipartimento della Difesa o Marco Rubio, il nuovo Segretario di Stato, sono da sempre su questa posizione: gli Stati Uniti non hanno alcun impegno effettivo nei confronti di altri Paesi. Anche nel caso di relazioni bilaterali basate su trattati legali, niente di tutto ciò ha importanza. La visione che Trump ha dell’America è quella di un Paese che non ha alcun obbligo formale nei confronti di alcunché, come le sue minacce nei confronti dei paesi aderenti alla Nato avevano reso evidente già durante il suo primo mandato. Non solo: per quanto riguarda i dazi sulle importazioni dal Canada o dal Messico, esiste già un accordo commerciale con questi paesi, un accordo che lui stesso ha negoziato.
Anche la volontà di fregarsene delle garanzie americane di sicurezza per altri trattati che abbiamo negoziato, ad esempio la Nato, è un chiaro aspetto di questa tendenza. Per la sua squadra di sicurezza nazionale entrante, cose come la Nato sono viste interamente attraverso il prisma se l’America può o meno estrarre concessioni per aumentare il proprio potere, e se non lo fa, non hanno alcun valore.
TUTTE LE SCELTE devono essere soppesate in termini di benefici economici diretti per gli Stati Uniti, in un gioco a somma zero. Per esempio, la difesa di Taiwan è la difesa degli interessi economici americani (semiconduttori), non la difesa degli ideali di democrazia e indipendenza dell’isola. Taiwan è eliminabile nel momento in cui diventa disponibile un’altra fonte di semiconduttori. Non è altro che la logica imperiale del XIX secolo: gli Stati Uniti devono esercitare il loro potere in modo da controllare la parte più grossa possibile dell’economia del mondo.
Lo stesso per la Groenlandia, che Trump vede solo come un pezzo di proprietà immobiliare da estrarre per le risorse.
Nel dibattito delle ultime settimane è stato praticamente ignorato il fatto che Trump sta minacciando di attaccare una nazione della Nato (la Danimarca) per ottenere parte del suo territorio, appunto la Groenlandia). Tuttavia, un’invasione degli Stati Uniti, in base ai trattati istitutivi della Nato, richiederebbe a tutti gli altri membri di prendere le armi contro gli Stati Uniti, che ne sono i fondatori. L’Associated Press registra le osservazioni di Trump sull’espansione territoriale come una preferenza politica su una lista di opzioni preesistenti, non come un’intimidazione mafiosa a un paese membro della Nato e dell’Unione Europea.
QUESTO NUOVO approccio di politica estera non appartiene solo alle bizzarrie di Trump: si colloca piuttosto in una linea coerente con la frammentazione del mondo in blocchi economici regionali. Già con l’amministrazione Biden e il tentativo di riportare negli Stati Uniti una parte delle industrie manifatturiere emigrate all’estero Washington sembrava voler dare addio al feticcio del libero scambio e voler dare il benvenuto al neomercantilismo.
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