IL PATTO DI STABILITÀ SALVA IL GOVERNO, NON L’ITALIA da IL FATTO e UNIONE POPOLARE
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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IL PATTO DI STABILITÀ SALVA IL GOVERNO, NON L’ITALIA da IL FATTO e UNIONE POPOLARE

Patto di stabilità salva il governo, non l’Italia

 PASQUALE TRIDICO  3 GENNAIO 2024

Il nuovo anno si apre con importanti novità sul fronte della dinamica dei conti pubblici. I mercati internazionali e l’UE non sono tanto delusi per il no al Mes, perché hanno incassato un sì al nuovo patto di stabilità che imbriglia i paesi in politiche deflazionistiche, e rappresenta un ritorno a quello che abbiamo visto in particolare tra il 1992 e la fase precedente alla crisi del covid, con il picco raggiunto tra il 2011 e il 2014 con le politiche di austerità.

Era interesse dell’Italia, soprattutto in questa fase di tassi alti, ottenere lo scorporo dal deficit della spesa per gli interessi sul debito, che pesano ogni anno circa 80 miliardi di euro. Era interesse dell’Italia tirare fuori dal deficit la spesa per investimenti, almeno per quelli cosiddetti green, che saranno necessari e determinanti nei prossimi anni per centrare gli obiettivi che la stessa UE pone per la transizione ecologica. Tra l’altro queste raccomandazioni erano contenute nella proposta di primavera di revisione del Patto da parte della Commissione Ue. Bisognava insistere su queste perché appunto erano considerati ragionevoli dalla stessa UE. Al contrario abbiamo subito un Patto stilato dal vecchio direttorio Franco-Tedesco, dannoso non solo per l’Italia ma per la stessa UE.

Il Governo, mi pare, si sia solo curato, egoisticamente, di ottenere da Francia e Germania qualche regola di bilancio più elastica per questa legislatura, per assicurarsi, mentre è in carica, margini di flessibilità maggiori rispetto alle regole a regime dal 2027, che invece dovranno fronteggiare altri governi.

Il nuovo Patto è privo di un’attenzione reale al grande tema della competizione che gli Stati Uniti stanno lanciando sugli investimenti green: gli Stati Uniti spendono 100 miliardi di dollari per attrarre le imprese, mentre noi ci occupiamo di aggiustamenti strutturali che ogni anno comporteranno per l’Italia una riduzione di spesa per circa 12 miliardi di euro. E la storia del debito alto in Italia è poco convincente, a fronte del debito di poco inferiore negli USA in percentuale e di gran lunga superiore in termini assoluti. Gli Stati Uniti, l’esempio più importante di economia di mercato, trainata da un approccio liberale e liberista, hanno varato un Piano, chiamato IRA (inflation Reduction Act) in cui lo Stato mobilita circa 1000 miliardi di dollari, che servirà non solo per ridurre l’inflazione favorendo l’aumento di produttività del sistema americano, ma consentirà l’innalzamento della frontiera tecnologica e produttiva del Paese, per garantire all’economia americana ancora, per i prossimi anni, la leadership tecnologica.

In questo contesto, il no al Mes da parte della maggioranza, risulta solo un effimero modo per accontentare la competizione nel consenso di pancia di Lega e Fdi, ma è completamente sganciato da un’analisi economica e da una visione alternativa dell’Ue sui benefici che si potrebbero avere per gli stati membri se altre politiche fiscali fossero alla base delle regole di bilancio dell’Ue. Una visione basata sui benefici che l’Ue avrebbe nello scacchiere mondiale se si decidesse di avere investimenti comuni per la creazione di una Comunità Europea di Difesa. Una visione basata su un bilancio UE maggiore di quel ridicolo 1% che oggi abbiamo, e che dovrebbe raggiungere almeno il 5% e tendere verso il 10% per costruire un vero pilastro sociale con un welfare europeo che garantisca un reddito minimo europeo, e avvicini i cittadini all’UE. Una visione che traduca in politiche concrete, investimenti e spese, la grande e genuina ambizione che l’UE ha verso un paradigma produttivo sostenibile, green, ecologico, con un piano di politica industriale ispirato alla tradizione del New Green Deal per rilanciare un nuovo piano europeo di investimenti, simile al Next Generation Eu. Per essere credibili, contestualmente al no al Mes, bisognava rilanciare tutto questo, indicando nuovi strumenti per portare avanti il percorso di integrazione. Rilanciare il sogno europeo partendo da sfide concrete per la crescita sostenibile, ed evidenziare così l’inutilità ed anzi gli ostacoli che poneva il Mes in questo percorso. Ma evidentemente non era questo l’obiettivo del governo, spinto tra sovranismo e mal di pancia, rigurgiti nazionalistici, e feticci legati a ciò che evoca la parola “Mes” nel povero dibattito politico italiano.

E allora ritorneremo al dibattito spicciolo della politica dello “zero virgola” e di misure insignificanti, e le conseguenze di tutto questo le vedremo già nel prossimo DEF ad aprile, quando la revisione in negativo dei tassi di crescita del Pil sia sul 2023 che sul 2024, allo 0,6%-0,7% appunto, porterà il rapporto debito-Pil ad aumentare, e costringerà il Governo a una manovra ancora più restrittiva rispetto ai già 12 miliardi di aggiustamento previsti nel 2024 (ovvero lo 0,6% previsto dalle nuove regole del patto di stabilità). Questo spingerà il Governo, come prima cosa, a pensare di non confermare le iniziative non strutturali di solito previste in legge di bilancio, come ape sociale e opzione donna per le pensioni (che già abbiamo visto essere state peggiorate in questi anni), oppure la riduzione del cuneo fiscale, che pesa poco più di 12 miliardi di euro, appunto lo 0,6% di riduzione di deficit richiesto dalle regole che il Governo ha scelto al posto del Mes.

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