IL FALLIMENTO DELL’ONU E L’ALTERNATIVA POSSIBILE da IL MANIFESTO
Il fallimento dell’Onu e l’alternativa possibile
24 ottobre 1945 Ottanta anni fa, all’indomani delle due spaventose guerre mondiali, è entrata in vigore la Carta dell’Onu, con la sua promessa di pace. Una promessa non mantenuta, dato che l’Onu non è riuscita a impedire nessuna delle tante guerre che in questi otto decenni hanno insanguinato l’umanità
Luigi Ferrajoli 24/10/2025
Ottanta anni fa, il 24 ottobre 1945, all’indomani delle due spaventose guerre mondiali, è entrata in vigore la Carta dell’Onu, con la sua promessa di pace. Una promessa non mantenuta, dato che l’Onu non è riuscita a impedire nessuna delle tante guerre che in questi otto decenni hanno insanguinato l’umanità. Il suo lento logoramento, fino all’odierno fallimento, si è aggravato con la fine della guerra fredda. Con il crollo del muro di Berlino e con l’implosione dell’Urss avrebbe potuto aprirsi un’era di pace. Venuto meno il “nemico” con la fine del comunismo sovietico, non avevano più senso le alleanze militari, inclusa la Nato, che avrebbe potuto sciogliersi, unitamente allo scioglimento, se l’avesse proposto la superpotenza Usa allora incontrastata, di tutti gli eserciti nazionali.
Si sarebbe attuato l’auspicio formulato da Emanuele Kant nel 1795, e l’Onu avrebbe potuto rifondarsi come una Federazione mondiale basata sulla pace e sull’uguaglianza dei popoli e delle persone.
È invece accaduto esattamente il contrario. L’Occidente ha vissuto l’89 come una vittoria e come una sconfitta del suo nemico storico. Ma non è riuscito a rimanere privo del nemico. È andato perciò alla ricerca di nuovi nemici, primo tra tutti il terrorismo, in grado di sorreggere la sua corsa a sempre nuovi armamenti, la sua concezione unilaterale delle relazioni internazionali, il suo suprematismo rispetto alle periferie povere del mondo. Il diritto internazionale è stato frattanto da più parti sistematicamente violato.
OGGI PREVALGONO apertamente la legge del più forte, la logica del nemico e il disprezzo per il diritto. Basti pensare all’intera vicenda palestinese e alle parole sprezzanti nei confronti dell’Onu e del suo segretario Guterres pronunciate da Trump e da Netanyahu. Siamo in presenza, in breve, di un fallimento del ruolo di garanzia del diritto, nell’ordinamento internazionale, ma anche all’interno delle nostre democrazie.
Si tratta di un terribile paradosso. Nel momento in cui le catastrofi e le sfide globali – il mondo in guerra, i pericoli di un conflitto atomico, il riscaldamento climatico, la crescita delle disuguaglianze e il dramma dei migranti – richiederebbero un aumento del ruolo del diritto quale sistema di limiti imposti ai poteri selvaggi degli Stati e dei mercati, si è prodotto il fenomeno diametralmente opposto: una tendenziale involuzione autocratica dei sistemi politici; la loro sostanziale subordinazione ai poteri economici e finanziari globali, sempre più identificati con pochi multi-miliardari; il sostanziale negazionismo delle emergenze globali da parte di questi nuovi padroni del mondo e, insieme, il crollo, fin quasi alla scomparsa, del ruolo delle Nazioni Unite.
Nel convegno sulla crisi dell’Onu che si svolgerà oggi a Roma, in via Panisperna 207, abbiamo opposto a questa crisi la possibilità di un’alternativa. Il fallimento dell’Onu ha mostrato i limiti della carta del 1945 e dalle tante carte internazionali dei diritti umani.
QUELLE CARTE sono fallite – e non potevano non fallire – per due ragioni. La prima è stata la loro mancanza della forza vincolante che è propria delle odierne costituzioni avanzate, cioè di una loro rigida sopraordinazione alle fonti statali, e la conseguente impunità delle loro violazioni sistematiche. La seconda è stata la mancata previsione di adeguate garanzie e istituzioni di garanzia dei diritti di libertà e dei diritti sociali in esse proclamati. I principi della pace e dell’uguaglianza e i diritti fondamentali stipulati in tante carte internazionali sono perciò rimasti, letteralmente, sulla carta.
L’ALTERNATIVA CONSISTE chiaramente nel superamento di questi due limiti. È un’alternativa radicale: il pericolo nucleare, l’inabitabilità della Terra tra crescenti e atroci sofferenze e il caos globale, oppure la rifondazione della carta dell’Onu e delle altre carte internazionali che introduca, come nel nostro progetto di una Costituzione della Terra, rigide garanzie dei principi in esse stabiliti.
QUESTE GARANZIE sono tutte vitali: la previsione come crimini contro l’umanità della produzione e del commercio di tutte le armi, non solo di quelle nucleari ma di tutte le armi da fuoco, a tutela della pace e della sicurezza; un demanio planetario che sottragga al mercato e alla dissipazione i beni vitali della natura, come l’acqua potabile, le grandi foreste e i grandi ghiacciai; la trasformazione dell’Oms, dell’Unesco e della Fao in istituzioni in grado di garantire a tutti salute, istruzione e alimentazione di base; la garanzia del diritto di tutti gli esseri umani di circolare liberamente sulla terra; un fisco globale progressivo in grado di finanziare le istituzioni globali di garanzia e di impedire le odierne accumulazioni sterminate di ricchezze.
Non si tratta di un’ipotesi utopistica. Si tratta della sola risposta razionale e realistica allo stesso dilemma che fu affrontato quasi quattro secoli fa da Thomas Hobbes, quando l’umanità non era dotata delle capacità di autodistruzione odierne. Neppure si tratterebbe di un ordinamento nuovo. Sarebbe l’attuazione di principi e diritti già scritti nelle carte internazionali vigenti: un’attuazione non solo giuridicamente dovuta, ma anche necessaria ed urgente, dato che da essa dipende, per la prima volta nella storia, la sopravvivenza dell’umanità.
Nazioni unite, un equilibrio diventato immobilismo
24 ottobre 1945 Lo statuto dell’Onu adottato a giugno ’45 nella Conferenza di San Francisco. Poi la ratifica da parte di 51 Stati. Oggi i sottoscrittori sono 193 ma il potere di veto di cinque nazioni è rimasto lo stesso
Marina Castellaneta 24/101/2025
Un grande futuro dietro le spalle. Con un enorme e crescente divario tra le parole e i fatti, anche l’Onu celebra gli 80 anni nel 2025. Era il 26 giugno 1945 quando gli Stati vincitori della seconda guerra mondiale e i loro alleati, nel corso della Conferenza di San Francisco, adottarono lo Statuto e il 25 ottobre dello stesso anno fondarono l’organizzazione che oggi conta 193 Stati membri, ma alla quale non può ancora accedere come Stato membro la Palestina. Ed è anche questo un simbolo dei tanti fallimenti dell’Onu: la maggior parte degli Stati riconosce ormai la Palestina come entità statale, ma il veto minacciato dagli Stati uniti nel Consiglio di sicurezza ne blocca l’ingresso.
La questione degli Stati membri è sempre stata un gioco di equilibri sin dall’inizio dell’attività dell’Onu, partita il 25 ottobre 1945 con i 51 Stati che avevano ratificato lo Statuto. C’erano le potenze vincitrici della seconda guerra mondiale ossia Stati uniti, ex Unione Sovietica, Regno unito, Francia e Cina, che entrano subito come membri permanenti del Consiglio di sicurezza con diritto di veto, secondo quanto stabilito nella Conferenza di Yalta. Ci sono anche la Polonia, il Brasile, l’Australia, l’Egitto, l’India, l’Arabia Saudita, ma anche l’Ucraina e la Bielorussia che, pur non essendo classificabili come Stati indipendenti e sovrani fanno ingresso per ragioni politiche e di equilibro tra Paesi occidentali e comunisti. Grandi assenti gli Stati che avevano scatenato la seconda guerra mondiale. L’Italia entrerà solo nel 1955, la Germania nel 1973, il Giappone nel 1956. Ma l’Onu era stata già pensata come un’organizzazione universale sotto il profilo soggettivo e oggettivo.
Le crisi degli ultimi anni e quelle attualmente in corso con la catastrofe umanitaria nella Striscia di Gaza, la guerra in Ucraina, la crisi in Sudan, in Siria («risolta» sul campo dai jihadisti), ad Haiti, il fallimento dell’intervento in Libia e in altre parti del mondo e l’incapacità di svolgere un ruolo in queste situazioni – anche con responsabilità del Segretario generale Antonio Guterres – hanno assestato un colpo alla credibilità delle Nazioni unite. Che mostrano ogni giorno di più il peso degli anni.
I ritardi nell’affrontare la pandemia, l’assenza di un ruolo come negoziatore nelle crisi e la paralisi dei suoi organi centrali come il Consiglio di sicurezza sono i sintomi evidenti di un grande malato. L’assetto iniziale che ha attribuito un ruolo centrale e decisionale al Consiglio di sicurezza con il potere di veto attribuito alle cinque superpotenze (Stati uniti, Russia, Cina, Francia e Regno Unito) è la causa della paralisi. Un potere granitico, quello del Consiglio di sicurezza, che è sostanzialmente impossibile scardinare senza il sì delle stesse super potenze. E così, l’organizzazione internazionale universale che doveva assicurare la pace e la sicurezza internazionale è ormai più il simbolo della burocrazia che il volto della speranza.
Non è solo una crisi dovuta alle regole alla base della sua istituzione. Non c’è dubbio, infatti, che la perdita di credibilità si spiega anche con l’assenza di figure al vertice dotate di carisma, credibilità ed equilibrio che invece avrebbero potuto portare l’Onu ad essere centrale nello scenario internazionale. Alcuni successi, come l’indipendenza raggiunta in modo effettivo da Timor est nel 2002 con il ruolo fondamentale delle Nazioni unite e in particolare dell’alto funzionario Sergio Vieira de Mello (poi ucciso a Baghdad mentre era rappresentante speciale delle Nazioni unite, senza che queste ultime abbiano fatto luce sull’attentato che ha causato la morte di altre 21 persone) e dell’Amministrazione Transitoria delle Nazioni unite per Timor Est, non sono stati riprodotti e forse neanche presi come modello. Così come centrale, nello sviluppo della giustizia penale internazionale, è stato il ruolo dell’Onu nella creazione del Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia e per il Ruanda che hanno gettato le basi per l’adozione dell’Accordo istitutivo della Corte penale internazionale.
Gli obiettivi di sviluppo sostenibile e la realizzazione dell’Agenda 2030 non arriveranno alla meta secondo la tabella di marcia fissata nel 2015 e quelli dell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici dovranno fronteggiare i negazionisti al potere. Così come l’obiettivo di introdurre un livello minimo globale di tassazione nei confronti delle persone con un grande patrimonio, seppure riproposto nel Patto per il futuro. Fallito, proprio a dicembre, il vertice che avrebbe dovuto portare all’adozione del primo trattato globale contro l’inquinamento provocato dalla plastica. Con il rischio che le Nazioni Unite siano sorpassati a destra da altri consessi ristretti a pochi grandi big (come il G7). Certo, in particolare negli ultimi tre anni, alcuni organi come la Corte internazionale di giustizia hanno mostrato un notevole attivismo che, però, ha messo anche in luce l’ineffettività delle sue pronunce. Basti pensare alle ordinanze del 26 gennaio e del 24 maggio 2024 con le quali la Corte dell’Aja ha accolto la richiesta di misure cautelari avanzata dal Sudafrica imponendo a Israele misure per prevenire la commissione di atti vietati dalla Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto del genocidio del 1948, misure per garantire l’assistenza umanitaria e preservare le prove. Ma sono rimaste lettera morta.
Per quanto riguarda le missioni di peacekeeping, c’è stato il Premio Nobel per la pace in quella che è stata un’invenzione delle Nazioni Unite, non prevista dalla stessa Carta, ma non mancano i fallimenti e le zone oscure con le inchieste sulle attività dei peacekeepers nascoste sotto il tappetto. Senza dimenticare che nel 2023, come risulta dal rapporto dell’Assemblea generale del 14 febbraio 2024, l’Onu ha ricevuto 758 denunce di abusi sessuali commessi da membri del proprio staff (le denunce erano state 534 nel 2022). E non va dimenticato il sostanziale silenzio sulle responsabilità nel caso della diffusione del colera ad Haiti: il Segretario generale Bank Kimmoon aveva riconosciuto che l’Onu non aveva fatto abbastanza per la diffusione del colera ad Haiti ma senza che qualche responsabile pagasse le conseguenze.
E allora, più che adottare risoluzioni e indire conferenze e vertici servirebbe, anche in vista delle elezioni del Segretario/a generale nel 2026 iniziare a pensare a una figura in grado di affermare una nuova visione e un nuovo ruolo dell’Onu. Che resta, in ogni caso, l’unica speranza per affermare un effettivo multilateralismo, soprattutto nell’epoca del sovranismo.
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