IL “CAPITALE” DELLA GUERRA E LE CAUSE SOTTERRANEE da IL MANIFESTO e IL FATTO
Il «capitale» della guerra e le cause sotterranee
SCAFFALE. Edito da Mimesis «Le condizioni economiche per la pace», il denso volume di Emiliano Brancaccio che rilancia il marxismo per leggere il presente
Massimo Franchi 09/05/2024
Nel sempre più provinciale giardino intellettuale italiano, riuscire a farsi pubblicare dalla bibbia del liberalismo – il Financial Times – è una rarità. Emiliano Brancaccio, docente di Politica economica all’Università del Sannio (dalla scorsa estate tornato a collaborare con il manifesto), ci è riuscito più volte nonostante le posizioni dichiaratamente marxiste che propugna.
GLI APPELLI a sua prima firma – sottoscritti da colleghi da tutta Europa – hanno poi sempre aperto discussioni accademiche a livello globale. Quello intitolato Le condizioni economiche per la pace, pubblicato su Ft il 17 febbraio 2023 e su Le Monde il 12 marzo, riecheggia fin dal titolo il famoso pamphlet di Keynes Le conseguenze economiche della pace del 1919.
Già il parallelo tra la situazione odierna e la fine della prima guerra mondiale dà il senso del passaggio cruciale che stiamo vivendo, sull’orlo del baratro di un terzo conflitto globale. L’ambizione molto alta di Brancaccio e dei suoi colleghi è infatti quella di creare un ordine economico globale sulla scorta di quello disegnato e poi messo in pratica dagli stati vincitori, regolando il commercio e la finanza arrivando alla Bretton Woods del 1944.
Il libro mandato alle stampe da poche settimane per Mimesis ha lo stesso titolo (Le condizioni economiche per la pace, pp. 200, euro 18) ed è composto da un collage di interventi e interviste, seguito da una parte teorica «rivolta a ricercatrici e ricercatori» con annesse formule economiche comunque «accessibili a tutti».
NON SERVE INFATTI essere economisti per riflettere sulla situazione odierna vista da un punto di vista marxista e condividerne il contesto e le proposte di revisione del modello capitalistico attuale, senza alcun intento rivoluzionario. Come nota giustamente Brancaccio, siamo passati da un’egemonia della visione marxista che «pretendeva di interpretare ogni fatto politico, compresa la guerra, su basi puramente economiche, in un abbaglio diametralmente opposto» che le elude completamente. Gli ultimi studi marxisti invece dimostrano «la tendenza del cosiddetto capitalismo imperialista verso lo scontro militare». Le ragioni risiedono – come insegnava il realismo per le ragioni della prima guerra mondiale parlando di balance of power – nella svolta americana verso il protezionismo figlia non solo di Trump, ma che Brancaccio fa risalire alla reazione di Obama alla crisi del 2008: gli investimenti esteri rispetto al Pil sono crollati di oltre il 70%, passando dal 5,5 all’1,5%. La nuova dottrina americana si chiama friend shoring: fare affari solo con gli amici.
In questo senso la chiusura verso la Cina, decisa per evitare che a causa del debito verso l’estero, Pechino possa controllare le big tech a stelle strisce, ha portato a uno squilibrio finanziario che ha conseguenze geopolitiche per tutti i suoi alleati: anche la scelta italiana di ritirarsi dalla Via della Seta e gli attacchi degli Houthi nel Canale di Suez.
In questo quadro le cause della guerra in Ucraina acquisiscono tutta un’altra prospettiva: uno scontro economico, figlio dell’imperialismo che Russia e occidente stanno conducendo da anni.
UNA SPIEGAZIONE che porta con sé anche la tragedia di Gaza. Fra le conseguenze della svolta protezionista americana, per Brancaccio, ci sono gli Accordi di Abramo fatti «per normalizzare i rapporti di Israele con i paesi musulmani ricchi di risorse naturali per portarli dalla propria parte», dimenticando però totalmente la questione Palestinese che è puntualmente detonata.
Il libro è molto istruttivo per un nuovo e più efficace pacifismo. Se «sulle basi materiali della guerra i costruttori di pace sembrano distratti», Brancaccio cita papa Bergoglio come unico esempio di chi, «tratteggiando una lettera implicitamente marxista», «evidenzia gli aspetti più materialistici della guerra», «altro bizzarro paradosso di questo tempo».
La denuncia della «parodia dell’idealismo kantiano» che porta «i fanatici del più ottuso atlantismo» a sostenere che «il boom della spesa militare si spieghi solo con l’altissimo proposito di difendere la libertà e la democrazia nel mondo» viene compendiato con una citazione di Tolstoj: «Se tutti combattessero solo in base alle proprie convenzioni, la guerra non esisterebbe».
Macron&Cameron: ecco la nuova strategia Nato
BIAGIO DI GRAZIA 8 MAGGIO 2024
La Nato negli oltre ottant’anni di esistenza ha visto sostanziali cambiamenti, di struttura e di concezione strategica. Mentre il conflitto russo-ucraino l’ha riportata alla sua missione principale, che è deterrenza e difesa, con priorità sulla sicurezza territoriale, dopo due anni di guerra la Nato è sulla soglia di un ulteriore cambiamento, determinato dalle posizioni oltranziste del presidente francese Emmanuel Macron e e dal ministro britannico David Cameron,.
Il primo sostanziale cambiamento di strategia della Nato avvenne nel 1989, con la caduta del Muro di Berlino, e la conseguente successiva scomparsa dell’Unione Sovietica. Fino ad allora la Nato era stata caratterizzata dalla dottrina della legittima difesa, da esercitare nell’area del Nord Atlantico, vigente l’articolo 5 e rispettosa del vincolo Onu. Da quel momento le capitali del mondo occidentale s’interrogarono per trovare nuove motivazioni e nuovi antagonisti, allo scopo di tacitare le opinioni pubbliche nazionali, che chiedevano riduzioni e risparmi di bilancio, con incasso dei “dividendi per la pace” e l’opinione più diffusa divenne quella secondo cui anche la Nato dovesse scomparire essendo stata creata quale scudo difensivo antisovietico. Iniziò quindi la ricerca di un nemico che potesse in qualche modo giustificare il mantenimento in vita dell’Alleanza.
Come prevedibile, furono gli Stati Uniti a dare l’impulso primario del rinnovamento, delineando un concetto strategico basato sul controllo territoriale, in cui nessuna potenza rivale potesse emergere in Europa, in Asia o altrove. La Russia, pur fiaccata, era un naturale avversario, ancorché difficile da affrontare per via dell’armamento nucleare. La Cina ancora non era considerata un oppositore valevole di attenzione. Lo sguardo occidentale fu quindi rivolto alla Jugoslavia dove nel frattempo si sviluppava una crisi profonda. Così delineato lo scenario globale, la Nato iniziò una progressiva trasformazione e si dedicò agli interventi necessari per far fronte alla conflagrazione balcanica, con interventi in operazioni di supporto umanitario, mantenimento della pace (peacekeeping) come disposto dalle Nazioni Unite. In questa postura la Nato affrontò la crisi della ex Jugoslavia.
Con la guerra contro la Serbia, detta anche “guerra del Kosovo del 1999, la Nato attuò l’ultimo atto della sua trasformazione e si impegnò nella gestione delle crisi mondiali, senza più alcun vincolo; l’articolo 5 non contava, l’Onu non aveva competenza. Il 1999 fu uno spartiacque. Dopo quella guerra, la dottrina della legittima difesa, che era stata un dogma imprescindibile nel periodo di Guerra fredda, fu rimpiazzata dal concetto di guerra “giusta”, che consentiva azione offensiva contro chiunque e ovunque. Fu un modello che rimase in auge per due decenni e percorse l’intero emisfero con ripetizioni in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, territori dell’Isis.
In questa prospettiva la Nato affronta la guerra odierna dove si contendono Russia e Ucraina, e assume il ruolo di “sponsor” del Paese aggredito cercando in ogni modo di favorirlo, rispolverando, quando possibile, i criteri utilizzati contro i despoti delle guerre combattute e vinte: Milosevic, Gheddafi, Bin Laden, Saddam. Ma non basta il successo dell’allargamento Nato, che ora comprende anche Svezia e Finlandia, il regime di pesanti sanzioni economiche, gli aiuti militari sempre più consistenti, a connotare una gestione vincente. Il conflitto russo-ucraino ha riportato la Nato alla sua missione principale, che è deterrenza e difesa, con una gestione basata, come ai tempi della Guerra fredda, su “Linee Rosse” da non varcare pena lo scontro globale con la Russia.
Macron e Cameron propongono di varcare quelle linee rosse; il primo mediante un coinvolgimento di forze francesi su suolo ucraino; il secondo mediante un utilizzo delle armi a lunga gittata britanniche su territorio russo. Ambedue le proposte sarebbero tali da connotare Francia e Gran Bretagna come nazioni belligeranti, con i rispettivi territori suscettibili di divenire bersagli di azioni di bombardamento russi, e implicazioni per tutti i paesi Nato dell’area nordeuropea. Ma vi sarebbero evoluzioni allarmanti – si pensi alla ritorsione russa sulle “esercitazioni nucleari” – e si impongono una serie di domande.
Polonia, Baltici e Finlandia resterebbero passivi? Le forze aeree Nato (tra cui quelle italiane) presenti nell’area sarebbero coinvolte oppure attiveranno frettolose ritirate selettive? Il conflitto, con tre potenze nucleari in campo, rimarrebbe circoscritto al convenzionale? Quali potrebbero essere i comportamenti americani a fronte delle proposte francesi e britanniche che li potrebbero coinvolgere? Li sostengono o li temono?
Prima creiamo il nemico poi gli facciamo guerra
ELENA BASILE 7 MAGGIO 2024
Come scrive Domenico Gallo in un superbo articolo, ormai l’opinione pubblica riesce ad avallare crimini che soltanto qualche decennio addietro sarebbero stati inconcepibili in Europa. È passata sotto silenzio la notizia ormai riscontrata di 500.000 morti ucraini dall’inizio della guerra. Un Paese fallito, che applica la legge marziale e manda al fronte con reclutamenti forzati, decima la sua gioventù per assecondare interessi statunitensi, dovrebbe essere la bandiera dell’Occidente liberale?
I benpensanti non notano contraddizioni. Sunak, primo ministro di un Paese che era l’emblema del liberalismo, emana un provvedimento sulla deportazione in Ruanda degli immigrati clandestini sbarcati sulle coste inglesi. Stiamo tornando indietro a prima del 1807 quando fu abolita la tratta degli schiavi. L’Occidente si rende complice dello sterminio di donne e bambini a Gaza e in Cisgiordania, della carestia programmata da Israele e solo gli studenti insorgono, arrestati e discriminati dalla stampa che, con una terribile mancanza di vergogna, li insulta definendoli antisemiti. Il presidente di un Paese democratico europeo prepara la strada per l’invio di truppe francesi e auspicabilmente europee e Nato in Ucraina per uno scontro diretto con una potenza nucleare. I giovani francesi sono d’accordo a morire per rifiutare la neutralità dell’Ucraina? Un giornalista, corrispondente a Bruxelles per anni di un rinomato giornale, sempre incline a spiegare l’Europa all’Italia, mai l’Italia all’Europa, un giornalista che ho conosciuto bene da ambasciatrice e che un tempo esprimeva un’apprezzata logica nell’analisi delle relazioni tra Europa e Mosca, ora scende in campo per difendere l’iniziativa di Macron. Bisogna ricompattare le file in un momento così delicato della storia europea e prima delle elezioni la vera discriminante dev’essere tra chi sceglie la guerra con la Russia e gli altri, i cattivi, i pacifinti, i disfattisti. Sembra di ritornare alla vigilia della Prima guerra mondiale. Ma questi cani da guardia sono veramente inconsapevoli delle loro responsabilità, non hanno figli e nipoti da proteggere?
Come sempre nella storia il conflitto è giustificato dalle menzogne, dall’aggressione russa, dalla violazione del diritto internazionale, dalla minaccia imperialistica all’ordine liberale e all’Europa stessa. L’Occidente crea il mondo che poi combatte. Dal maggio del 2022 Ipazia e tanti altri analisti hanno preconizzato la sconfitta dell’Ucraina, il fallimento di una politica neoconservatrice statunitense che applica dal ventennio unipolare lo stesso schema distruttivo, destabilizzando intere regioni del mondo. Il colpo di Stato di piazza Maidan, di cui esistono prove oggettive, e la documentata escalation Nato ci hanno portato al conflitto. Abbiamo creato noi l’aggressore trasformando Kiev in un’anti-Russia. E ora vorrebbero trascinare i nostri giovani in guerra per combattere la realtà da essi stessi creata? Dobbiamo rispondere alla violazione del Diritto internazionale, recita il presidente Mattarella senza sostanziali differenze da Meloni e da Schlein. Abbiamo per caso fornito armi a Baghdad o a Kabul contro gli invasori Usa? E l’aggressione alla Libia avrebbe dovuto determinare il giusto rifornimento di armi e di intelligence al Paese aggredito da parte di Cina e Russia?
Orwell affermava che la libertà è dire che 2 più 2 fa 4. Da questa discendono tutte le altre. Ma la voce della razionalità sta morendo sommersa dalla visione egocentrica e predatrice dell’Occidente che considera il Diritto internazionale un insieme di false regole a difesa dei propri interessi geostrategici.
Si apre il tavolo con la Confindustria alla Farnesina. Echeggia la propaganda. Di fronte agli attoniti imprenditori italiani che temono per le loro imprese in Russia si balbetta il catechismo: difesa del diritto internazionale e della libertà. In realtà l’Italia partecipa dal 2014 a una vera e propria guerra economica contro la Russia che dal 2022 ha avuto lo scopo dichiarato (da Draghi, da Letta, dalla Meloni) di mettere Mosca in ginocchio, dare una batosta alla sua economia e provocare la caduta di Putin. Le sanzioni, innocue per Svezia e Polonia, sono state esiziali per Germania e Italia. Non si potevano prevedere ritorsioni? Il ministro Tajani veramente scende dalle nuvole? Il tavolo ora dovrebbe magicamente difendere le imprese italiane che sono ormai alla mercé di Mosca. E come? Avendo il coraggio come fa la Turchia di dissociarsi dalla politica criminale della Nato? Dopo il sequestro illegale di 300 miliardi russi gli angloamericani, incuranti delle sorti dell’euro, vorrebbero convincerci a utilizzarli per aiuti finanziari all’Ucraina. In questo clima Tajani convoca l’ambasciatore russo alla Farnesina. Per dirgli cosa? Quanto siamo inetti a difendere gli interessi italiani e di tutta l’Europa?
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