GUERRA E PACE da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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GUERRA E PACE da IL MANIFESTO

“L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) è un’organizzazione internazionale universale nata nel 1945 per la prevenzione dei conflitti armati, promuovendo la pace e la sicurezza internazionale attraverso un sistema di sicurezza collettivo”.

L’Ue verso bilanci di guerra

NUOVA FINANZA PUBBLICA. La rubrica settimanale di politica economica. A cura di autori vari

Matteo Bortolon  30/03/2024

«Siamo convinti che la sconfitta della Russia sia indispensabile per la sicurezza e la stabilità in Europa». «Dobbiamo quindi essere pronti a difenderci e passare a una ‘economia di guerra’».

Tali frasi non sono il residuo di un passato bellicista oramai tramontato, e i loro autori non sono figure politiche risalenti alla guerra fredda o prima. Sono state pronunciate, rispettivamente, dal presidente dello Stato europeo militarmente più forte, la Francia, e dal presidente del Consiglio europeo, il più alto organo di indirizzo politico dell’Unione.

Insomma la promessa di una Europa di pace come legittimazione della Ue pare definitivamente morta, allineandosi con le direttive oltreoceano. Ma al di là delle roboanti dichiarazioni della leadership cosa si prefigura di concreto?

Dal 2014 la Ue è stata al fianco degli Usa nel foraggiare Kiev, e tale assistenza finanziaria è aumentata a dismisura dall’inizio della guerra a febbraio 2022. Ma i numeri non paiono così certi. Secondo alcune stime l’Occidente ha inviato in due anni armi a Kiev per circa 108 miliardi di euro, 42 di questi sono la parte di Washington e 52 la parte dell’Unione europea, quasi tutti aiuti bilaterali. Sul sito del Consiglio europeo campeggia con caratteri cubitali la cifra di 143 mld €. La diversa valutazione di una fonte turca ha calcolato invece che la Ue e i suoi stati membri hanno dato aiuti all’Ucraina dall’inizio della guerra per 156 miliardi €, sommando i numeri degli Stati con quelli delle istituzioni comunitarie.

Gli Usa tuttavia, sia per l’accresciuta influenza di Trump che per differenti vedute in seno alla dirigenza Usa, è in ritirata. Da dicembre non arriva più granché a Kiev, i repubblicani si sono opposti con le unghie e coi denti al pacchetto di aiuti contenente fondi per l’Ucraina (il partito di Trump vuole sostenere solo Israele). È così che gli europei dovrebbero subentrare assumendosi più oneri.

In questo quadro si comprendono tanto le velleità belliciste dell’ultimo Consiglio europeo che l’approvazione di un pacchetto di aiuti da 50 miliardi € approvato dai vertici Ue a febbraio. Per farlo passare i vertici Ue hanno dovuto faticare per piegare al consenso il primo ministro ungherese Orbán (pare ricorrendo alla minaccia di ritorsioni…). Ma sarà sufficiente? Difficile, se si considera che il Fmi stima che il deficit di finanziamento dell’Ucraina sia superiore a 40 miliardi di dollari solo per il 2024.
Inoltre le tempistiche per l’arrivo di tali fondi non sono cosi repentine.

La procedura burocratica infatti è la seguente: la Commissione dovrà concordare con il governo di Kiev un accordo quadro per le procedure di controllo, valutazione, audit e monitoraggio dell’impiego dei fondi. Successivamente le autorità ucraine dovranno presentare un Piano Ucraina dove si descriverà nel dettaglio il loro impiego e la conformità coi principi generali stabiliti dalla Commissione. Dopo l’approvazione – che si presume non possa essere immediata, se l’esperienza del Pnrr insegna – arriveranno finalmente i soldi col solito metodo della rateizzazione condizionale. E la cifra nel suo complesso si spalma su quattro anni, dal 2024 al 2027. Assai significativamente Politico titola: «I 50 miliardi di euro stanziati dall’Ue per l’Ucraina non sono praticamente nulla».

Una alternativa sarebbero gli eurobond, che notizie di stampa riportano sarebbero stati proposti da Estonia e Francia. Ma non c’è il consenso necessario.

La finanza di guerra nel Consiglio europeo del 20-21 marzo ha fatto passi in avanti: su tavolo è la proposta di un Programma europeo di investimenti per la difesa (Edip), un ambizioso regolamento dell’esecutivo Ue per potenziare il complesso militare-industriale del blocco. Ma pare davvero troppo poco per portare Kiev alla vittoria sul campo, mentre la legittimità della Ue, già minata dalla austerità, può subire un’altra botta, forse irreparabile. Con che coraggio si chiederà il voto alle europee di giugno per contenere le destre se i progressisti sfoggiano il più strenuo militarismo?

La guerra irrompe nelle liste. Tutti a caccia del voto pacifista

EUROPEE. Con le (contestate) candidature di Tarquinio e Strada il Pd cerca di intercettare il popolo «no war». Avs rivendica il voto contrario all’invio di armi. Ma ci sono anche Santoro e La Valle

Giuliano Santoro  30/03/2024

«Voi soldati rinunciate a tutto e rinunciate a tutto per costruire e garantire quella pace della quale in tanti soprattutto in questo momento si riempiono la bocca comodamente seduti sul divano di casa loro». Così ieri Giorgia Meloni, in visita alle truppe italiane che presidiano il confine libanese, ha provato a declinare in chiave interventista la ricerca della pace, riecheggiando il motto in giorni in cui sia in Medio Oriente che sul fronte dell’Europa dell’est la situazione sembra sul punto di precipitare.

LA PRESIDENTE del consiglio cerca di coniugare le divise con gli orizzonti di pace perché ha bisogno di sintonizzarsi con il sentimento della gran parte del paese. Che testino le posizioni sull’intervento diretto al fronte o sull’invio di armi, infatti, i sondaggisti rivelano fin dall’invasione russa dell’Ucraina che la maggior parte degli italiani è schierato dalla parte della pace e auspicano una via d’uscita diplomatica al conflitto. Questa larga area di opinione, eterogenea e trasversale, è al centro degli appetiti della gran parte delle forze politiche a poco più di due mesi dalle elezioni europee. A quei voti punta Matteo Salvini, in Ue alleato con lo spezzone dell’estrema destra che, a differenza di Meloni, non ha scelto di schierarsi sotto l’ombrello atlantista. Va letta in questa chiave la spericolata operazione del leader leghista: trasformare le imbarazzanti frequentazioni putiniane degli anni scorsi e i recenti scivoloni che mostrano ancora più di qualche ambiguità nei confronti del regime di Mosca in punti a favore, segni di predisposizione al dialogo con ciò che si muove al di là delle trincee russo-ucraine.

ALL’OPPOSIZIONE, invece, si osservano, con diverse intensità e toni non sempre sovrapponibili, le argomentazioni che appartengono alle forme del pacifismo storico. La novità degli ultimi giorni è l’attivismo di Elly Schlein. Non è un mistero che dentro il Partito democratico, ad esempio, siano scoppiate le polemiche di fronte alla proposta di candidare due personalità affine ai movimenti contro la guerra come Cecilia Strada, figlia di Gino ed ex presidente di Emergency, e Marco Tarquinio, ex direttore di Avvenire. La candidatura di quest’ultimo viene sostenuta da Demos, l’organizzazione molto vicina alla Comunità di Sant’Egidio che alle scorse elezioni politiche ha fatto eleggere, sempre nelle liste dem, Paolo Ciani, uno dei deputati più attivi sul terreno pacifista. Ha più volte denunciato, ad esempio, che l’Unione europea non ha un rappresentante per la pace e si è schierato contro la cessione di armi a Israele all’indomani dell’attacco a Gaza. È vicino a Demos, peraltro, anche Pietro Bartolo, il medico dei migranti a Lampedusa che in questi anni ha fatto parte della delegazione del Pd a Bruxelles e che spesso, proprio sulla guerra, si è distinto dagli orientamenti del suo gruppo.

ASSIEME A LUI, tra i dissidenti, c’era anche Massimiliano Smeriglio, che ha scelto di correre a giugno con Alleanza Verdi Sinistra, l’altra lista che si candida a rappresentare il popolo della pace al parlamento europeo. Quelli di Avs rivendicano di essere gli unici a non aver mai votato a favore dell’invio di armi all’Ucraina, visto che (si era alla scorsa legislatura, sotto il governo Draghi) il Movimento 5 Stelle votò il decreto Ucraina, poi prorogato alla fine dello scorso anno da Meloni. Ciò nonostante, Giuseppe Conte ha sempre sostenuto la necessità di «imporre al conflitto russo-ucraino una svolta diplomatica».

INFINE, C’È LA LISTA «Pace, Terra e Dignità» promossa da Michele Santoro e Raniero La Valle, cui aderisce tra gli altri Rifondazione comunista, che sta raccogliendo le firme in questi giorni. In questo caso, la mobilitazione contro la guerra diventa la discriminante fondamentale, quasi una pre-condizione per l’agibilità politica. Santoro da tempo dice espressamente che il suo obiettivo è prendere i voti di chi altrimenti si asterrebbe. E rinfaccia ai potenziali interlocutori più prossimi (il Pd, Avs e M5S) di anteporre le ragioni della tattica politica e delle alleanze all’impegno contro la guerra.

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