GAZA CORTEO PER LA PACE: LA VIA STRETTA PER LE ONG ITALIANE da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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GAZA CORTEO PER LA PACE: LA VIA STRETTA PER LE ONG ITALIANE da IL FATTO

Gaza, corteo per la pace: la via stretta per le Ong italiane

PIATTAFORMA – Prima riunione per avviare la mobilitazione

 WANDA MARRA  19 OTTOBRE 2023

Stamattina le associazioni pacifiste si incontreranno online per cercare di capire se è possibile lanciare una manifestazione nazionale per fermare la violenza in Israele e Palestina. L’obiettivo sarebbe riuscire a convocare una mobilitazione entro la fine del mese. Ma non è facile, per questioni logistiche, ma non solo. È vero che il 7 ottobre, giorno dell’attacco terroristico di Hamas, molte sigle erano impegnate nella manifestazione per la Costituzione, “La via maestra” a Roma. Ma quello che sta succedendo in Medio Oriente resta l’ultimo episodio di una storia intricata che va avanti da 70 anni. Tanto è vero che – a vari livelli – il “popolo pacifista” è consapevole della necessità di abbassare prima di tutto i toni, per evitare che la mobilitazione diventi un boomerang, travolta dalla volontà di entrambe le parti di avere ragione. Non a caso la politica tutta si tiene ben lontana dal lancio di una mobilitazione pacifista.

Una posizione la Rete italiana pace e disarmo (della quale fanno parte le Acli e Libera, l’Anpi e la Cgil, l’Arci e Emergency) l’ha presa, subito dopo il 7 ottobre, in cui, oltre alla condanna, senza giustificazione possibile di Hamas, si condannava “ogni forma di violenza, di aggressione e di rappresaglia contro la popolazione civile, sia Palestinese, sia Israeliana è assoluta”. E mentre si diceva che “Hamas deve immediatamente rilasciare gli ostaggi e cessare le ostilità per il bene del popolo palestinese”, si sottolineava che “Israele non deve reagire con la sua potenza militare contro la popolazione della Striscia di Gaza o usare metodi di rappresaglia come togliere cibo, luce, acqua ad una popolazione anch’essa ostaggio della violenza scatenata da Hamas”.

La piattaforma di ogni futura mobilitazione parte da qui. Tanto è vero che si lancia “un appello alle associazioni e movimenti palestinesi e israeliani a manifestare insieme, in Terra Santa, sfidando chi invece vuole distruggere con la violenza, con l’aggressione, con l’occupazione e l’assedio, il diritto dell’altro, la possibilità della convivenza e di un futuro di pace e di benessere per tutto il Medio Oriente”. Insomma, il presupposto di una manifestazione pacifista è quella del coinvolgimento – anche in Italia – delle comunità ebraica e palestinese. Sergio Bassoli, coordinatore esecutivo della Rete Pace e Disarmo, problematizza, raccontando come a Milano e Roma, per esempio, ci siano state manifestazioni dei giovani palestinesi, ma senza la condanna esplicita di Hamas. E spiega: “Domani (stamattina, ndr) cercheremo di costruire il consenso su una piattaforma che condanna ogni forma di violenza, chiede il rilascio degli ostaggi, una Conferenza internazionale della pace per il riconoscimento dello Stato palestinese, oltre, naturalmente, ai corridoi umanitari”. Il punto di partenza, insomma, è chiarire che il nemico non è l’israeliano o il palestinese, ma chi non vuole la pace. Raffaella Bolini, vice presidente dell’Arci, insiste su un punto: “Dobbiamo restare attaccati al diritto internazionale, compreso quello umanitario e di guerra, che dà ai paesi occupanti doveri superiori a quelli dei paesi occupati, come quello di garantire il benessere, l’ acqua, la luce, il cibo”. Intanto, le Ong stanno facendo pressioni sul governo per i corridoi umanitari. Bolini è ottimista, racconta come manifestazioni sulla base dell’appello pacifista ci siano già state a Bologna, Milano, Roma, Bari, Perugia, Modena, Como, Avellino, Catanzaro, Ferrara, Pescara, Cagliari. Ma la discussione tra le varie sigle delle associazioni è aperta: resta il terrore di degenerazioni. Dunque, il lavoro è più complesso rispetto a quello fatto subito dopo l’aggressione della Russia all’Ucraina: allora la prima manifestazione nazionale fu il 5 marzo, a Roma. E a oggi, sembrano impensabili i cortei di 20 anni fa: il 15 febbraio del 2003 scesero in piazza in tutto il mondo 110 milioni di persone.

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