ELETTRICITÀ E AMBIENTE: L’ATOMO NEL PIANO SUL CLIMA da IL FATTO
Elettricità. Enel prevede che i prezzi saliranno perché ne produrremo poca, il governo fischietta
ANTONIO RIZZO 1 LUGLIO 2024
Ci sono due numeri che gettano un’ombra sulla politica energetica del governo: 115 e 98. Il primo è il prezzo dell’energia elettrica per megawatt all’ora in Italia nel 2026 su cui si basano tutte le proiezioni di bilancio comunicate al mercato; il secondo è il prezzo reale futuro dell’energia, cioè quello che paga chi oggi compri energia per farsela consegnare nel 2026.
Perché questa differenza fra un prezzo effettivo e le previsioni di Enel? L’azienda di Stato si basa su un semplice ragionamento, esplicitato fra le righe della presentazione agli investitori del 22 novembre 2023: “Il piccolo margine di riserva del sistema elettrico italiano continuerà a pesare sui prezzi dell’energia”. Tradotto: la potenza installata per produrre energia rispetto alla domanda prevista è molto bassa, quindi meno concorrenza sul fronte della produzione uguale a prezzi più alti per i consumatori. A fronte di uno scenario come questo, ci si aspetterebbe che un’azienda partecipata dal Tesoro investa in impianti di generazione di energia per stabilizzare i prezzi su livelli più bassi visto che oggi sono i più cari d’Europa. Invece no, Enel annuncia che entro il 2027 dismetterà 4 GW di centrali a carbone e farà entrare in produzione 2,4 GW di energie rinnovabili: una perdita secca per il sistema di almeno 27 Twh di energia prodotta. Non è difficile intuire che, al di là della differenza in potenza installata, le centrali a carbone possono produrre 24 ore al giorno, quelle di energie rinnovabili hanno una media di produzione intorno alle 6 ore.
Se allarghiamo l’orizzonte lo scenario non migliora: fra i progetti futuri di costruzione di nuovi impianti di rinnovabili ci sono solo 18 GW in Italia. Il Piano nazionale per l’energia e il clima del giugno 2023 prevede un aumento di potenza installata di energie rinnovabili di 73 GW entro il 2030: c’è da chiedersi quanta credibilità abbia un ministero che indica come obiettivo 73GW, mentre la maggiore azienda elettrica italiana, partecipata dallo Stato, ne promette 2,4 nei prossimi 2 anni e massimo 19 che non sono usciti ancora dalla carta.
L’azienda elettrica ha peraltro annunciato un cambiamento nel piano degli investimenti significativo: saranno infatti privilegiati quelli con ritorno più sicuro (pagina 13 del piano industriale), cioè quelli che potranno essere ribaltati in bolletta, gli investimenti in generazione (che farebbero abbassare i prezzi dell’energia) si faranno solo se creano valore per gli azionisti. Giustissimo che un’azienda quotata persegua il profitto, ma forse il suo maggiore azionista – lo Stato – dovrebbe dire qualcosa se quell’utile addizionale va a scapito dell’economia e della sicurezza energetica del Paese.
L’unica consolazione è che le previsioni sulla domanda di energia in Italia presentate da Enel nel piano industriale non paiono proprio accuratissime: si prevede che nel 2026 sia di 327 Twh contro i 319 del 2021, ma nel 2023 il consumo si è fermato a 307 Twh e non si hanno chiari segnali di un aumento. Vedremo in futuro se “la mancanza di riserva di capacità” manterrà sostenuti i prezzi o se la mancanza di domanda li farà scendere: nel primo caso saremo vittime di un governo incoerente rispetto alle sue politiche energetiche, nel secondo saremo salvi grazie a stime sballate.
Pichetto turbo-nuclearista L’atomo nel piano sul clima
ENERGIA – Il ministro forzista invia a Bruxelles l’aggiornamento del Pniec: “Entro il 2050 almeno l’11% della richiesta dai reattori”
VIRGINIA DELLA SALA 1 LUGLIO 2024
Avrebbe potuto raccontare come il Governo stesse concentrando tutte le sue forze e il suo interesse sullo sviluppo del solare e dell’eolico. E invece, nonostante non sia proprio il focus preferito dalla stessa premier Giorgia Meloni, il ministro forzista dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Pichetto Fratin ha ritenuto che la notizia del momento fosse l’aver inserito nell’aggiornamento del Pniec, il Piano nazionale integrato energia e clima inviato a Bruxelles (dove si pianificano le azioni per centrare gli obiettivi climatici dell’Accordo di Parigi), il nucleare come contributo al mix energetico nazionale, da un minimo dell’11 a un massimo del 22 per cento.
L’atomo è ormai in uno dei documenti più importanti in termini di pianificazione. “Sulla base dei primi dati quantitativi di costo ricavati dalla piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile, sono state inserite due ipotesi di scenario al 2050 – ha spiegato il ministro in una intervista al Sole 24 Ore – con una quota di produzione di energia da fonte nucleare: una più conservativa che fissa l’asticella all’11% della richiesta di energia elettrica nazionale (8 gigawatt al 2050) e un’altra, senza la limitazione sul potenziale installabile, al 22% con 16 GW di capacità nucleare”. Il tutto, genererebbe risparmi: “Un costo di 34 miliardi inferiore rispetto allo scenario senza nucleare guardando all’obiettivo dello zero netto”. Spiega che non è un’alternativa alle rinnovabili ma una integrazione per “abbassare le bollette di cittadini e imprese” e per “centrare i target di decarbonizzazione”. È stato anche incaricato un professore, Giovanni Guzzetta, “di studiare il quadro giuridico” per superare il referendum e l’assenza di un contesto legislativo adeguato.
Secondo il ministro, nel medio termine, quindi a ridosso del 2030, si ricorrerà alle “tecnologie nucleari sostenibili in corso di sviluppo”. Parla dei piccoli reattori modulari a fissione, i cosiddetti Smr. Poi, nel lungo periodo, sull’energia da fusione. Semplice, no, mentre, nella stessa intervista, sciorina difficoltà e lunghi tempi delle rinnovabili?
Non fosse che dei piccoli reattori di cui parla Pichetto si discute anche a livello internazionale e con più pragmatismo. In Francia, patria dell’energia nucleare, solo in queste ore si inizia a parlare di prototipi e di start-up sperimentali sul tema mentre e gli esperimenti in Cina, Giappone e America o sono ancora in fasi primitive o sono già stati abbandonati.
“La previsione che uno scenario energetico col nucleare costi meno che solo con le rinnovabili è completamente destituita di fondamento. Tanto più che si tratterebbe dei piccoli reattori modulari a fissione, di cui ad oggi non ne esiste nemmeno un prototipo in un Paese occidentale”, spiega Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace Italia. A fine 2023, l’americana NuScale, che lavorava a un progetto da 16 anni, senza mai aver costruito un prototipo, ha ricevuto una class action dagli investitori: l’azienda ha abbandonato il progetto per i costi troppo elevati, spiega Onufrio. “E di recente lo stesso progetto ha ricevuto richieste di chiarimento da parte dell’Agenzia di sicurezza nucleare americana”. E la fusione? “Nessuno ha un’idea chiara di se e quando sarà disponibile, e men che meno a che costi”. Inoltre, l’elettricità da nuovo nucleare – quello commercialmente disponibile non quello vagheggiato dei Smr – costa almeno 3-4 volte quella da rinnovabili che rimangono più convenienti anche se associate a batterie. “Sarebbe interessante sapere quale genio ha elaborato uno scenario che violenta in questo modo i dati economici di base in campo energetico ormai ampiamente consolidati”. Infine, la questione scorie. A oggi non esiste ancora un sito dove riporre in modo definitivo quelle delle centrali dismesse dopo il referendum del 1987. Ma questa è un’altra lunghissima storia.
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