DECRETO SICUREZZA, LA DERIVA REPRESSIVA ANNIENTA LA CARTA da IL FATTO e IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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DECRETO SICUREZZA, LA DERIVA REPRESSIVA ANNIENTA LA CARTA da IL FATTO e IL MANIFESTO

Decreto Sicurezza, la deriva repressiva annienta la Carta

Silvia Truzzi  26 Settembre 2024

Mercoledì scorso è passato alla Camera l’ennesimo decreto Sicurezza che, tanto per cambiare, introduce una ventina di nuovi reati in ossequio all’ossessione securitaria della destra al governo, con la moltiplicazione di fattispecie, aggravanti e pene spesso abnormi. Lo spettro delle materie è eterogeneo, ma ha un comune denominatore: la repressione del dissenso. Le misure per limitare il diritto di manifestare, con tanti saluti alla Costituzione, spiegano benissimo quali sono i veri scopi del legislatore: qualsiasi blocco stradale compiuto con il proprio corpo viene punito, con specifica aggravante quando la protesta è rivolta a impedire la realizzazione di una grande opera pubblica. Un reato cucito su misura addosso a chi si batte contro Tav e Ponte sullo Stretto: lo scopo è chiaramente non disturbare il manovratore, nemmeno con la protesta. Non è una novità: la misura arriva dopo le omonime norme del 2018, i decreti Sicurezza del governo giallo-verde, che hanno criminalizzato la protesta sindacale ai tempi del lavoro precario, povero e nero. Le nuove misure che riguardano il carcere sono ugualmente illuminanti: il differimento della detenzione per le donne incinte o con figli piccolissimi, oggi obbligatorio, diventa facoltativo. È la famosa norma anti-rom: dite voi (razzismo a parte) se il sacrosanto principio di tutela del bambino può venir sacrificato in nome di una presunta emergenza.

Ma c’è anche il nuovo reato di “rivolta all’interno di un istituto penitenziario”. E dice: “Chiunque, all’interno di un istituto penitenziario, partecipa a una rivolta mediante atti di violenza o minaccia o di resistenza all’esecuzione degli ordini impartiti, commessi da tre o più persone riunite, è punito con la reclusione da uno a cinque anni”. Tra gli “atti di resistenza” rientrano anche i comportamenti di resistenza passiva: questo provvedimento è stato ribattezzato, non per nulla, norma anti Gandhi. Equiparare violenza e resistenza (il mancato adempimento di un ordine) è un obbrobrio dal punto di vista giuridico, vuol dire che un detenuto può essere incriminato penalmente per uno sciopero della fame o per una qualunque carenza disciplinare: è la pena che genera un’ulteriore pena, l’opposto di come la Carta immagina la funzione del carcere (articolo 27). Senza dire che questa norma arriva in un momento drammatico delle carceri, testimoniato dal numero altissimo di suicidi, tra detenuti e personale. C’è poi il capitolo delle occupazioni. Ieri sul manifesto il professor Azzariti ha scritto con ragione che qui si esprime il massimo della forzatura ideologica: “Si prescinde del tutto dal considerare le condizioni reali di disagio che possono portare a occupare immobili. Si riduce un dramma – quello della carenza abitativa e dell’ineffettività del diritto alla casa – a una nube di fumo che tutto equipara. Lo dimostra non solo l’assenza di misure di contrasto alla carenza abitativa, ma anche l’estensione delle pene previste (sino a sette anni!) a chiunque cooperi nell’occupazione”. Ciliegina sulla torta, il divieto di vendere una Sim a chiunque non abbia il permesso di soggiorno: norma anti-migranti e anti-richiedenti asilo, con profili che sarebbero comici se non esprimessero una considerazione a dir poco crudele delle persone migranti.

Ciò che sta dietro a questo impianto ossessivamente oppressivo, focalizzato unicamente sulla pena e sulla punizione, è esattamente l’opposto della cultura giuridica su cui si fonda la Repubblica, che non legittima in alcun modo la violenza, ma il conflitto e la libertà di esprimere critica e dissenso sì. Ma vogliamo conservare la speranza: ieri a Roma il presidio contro il ddl Sicurezza, a cui hanno aderito partiti, sindacati e una galassia di associazioni che va da Arci a Legambiente, è stato spostato per la troppa affluenza.

L’ultima occasione per protestare

Ddl sicurezza L’insieme delle norme volute dal governo è il manifesto di un diritto penale autoritario e illiberale che trasforma in criminali e nemici alcune precise figure sociali

Patrizio Gonnella  26/09/2024

Il disegno di legge «sicurezza» approvato dalla Camera dei deputati è il più grande e pericoloso attacco alla libertà di protesta nella storia repubblicana. Spetta adesso al Senato decidere se c’è ancora spazio politico e sociale per le minoranze dissenzienti, per chi usa il proprio corpo per manifestare la propria opposizione al potere, per chi disobbedisce in forma nonviolenta.

L’insieme delle norme volute dal governo è il manifesto di un diritto penale autoritario e illiberale che trasforma in criminali e nemici alcune precise figure sociali.

Eccole: l’occupante di case, l’attivista ambientale, la giovane donna rom, il detenuto comune, l’immigrato che vive per strada, il mendicante. Nuovi reati, nuove pene, nuove proibizioni e nuove punizioni. Un insieme tragico di divieti e sanzioni che renderanno penalmente perseguibili tutti coloro che protestano in forma non convenzionale, ma senza far del male a nessun essere umano, e tutti coloro che vivono ai margini della società.

Una società che ha progressivamente perso ogni carattere solidale, come dimostra l’uso abnorme delle polizie locali per smantellare gli accampamenti di chi vive per strada, come è accaduto a Roma nei giorni scorsi.

Il disegno di legge sulla sicurezza è l’ultimo dei passi compiuti verso il definitivo smantellamento dello Stato sociale costituzionale di diritto ereditato dalla Resistenza. Punire i poveri o le minoranze dissenzienti non è solo espressione di una politica simbolica diretta a cumulare consenso in forma demagogica, ma è qualcosa di più. È la concretizzazione materiale di un modello di diritto penale di matrice autoritaria e non liberale. Si pensi alla norma che favorisce la proliferazione delle armi nelle strade e, più in generale, nei luoghi pubblici, consentendo a circa trecentomila persone appartenenti alle forze dell’ordine di usare anche un’altra arma, piccola e occultabile, diversa da quella di servizio, fuori dai turni di lavoro.

È il primo passo di una deriva del modello di sicurezza italiano verso il far west statunitense. Più armi ci sono per le strade, più morti ammazzati ci saranno. L’Italia così non sarà più tra i paesi con il più basso tasso di omicidi a livello globale.

Per ognuna delle norme volute dal governo saltano agli occhi profili di illegittimità costituzionale. Gli articoli 3, 13 e 27 della Carta del ’48 sono vilipesi. Non si può, però, pensare di delegare sin d’ora ai giudici della Corte costituzionale il ruolo di oppositori politici. In prima battuta la battaglia contro il disegno di legge sicurezza si tiene oggi ed è culturale e politica.

C’è bisogno di far sapere al mondo democratico europeo che le norme in via di approvazione costituiscono una forte compressione dello spazio civico a disposizione delle minoranze dissenzienti.

Due grandi sindacati (Cgil e Uil), associazioni, movimenti, partiti dell’opposizione hanno compreso i rischi sottostanti le norme approvate alla Camera, alcune delle quali, come quella che vieta la vendita di carte Sim a immigrati irregolarmente presenti in Italia, sono soltanto una manifestazione di pura cattiveria. Nulla hanno a che fare con la sicurezza.

Antigone e Asgi avevano, sin dalla scorsa primavera, presentato un lungo documento che evidenziava tutti gli sguaiati eccessi repressivi presenti nel testo. Tutti coloro che hanno a cuore la libertà, intesa nel senso più ampio e profondo, adulti o giovani, dovrebbero protestare pacificamente in strada con il proprio corpo contro queste norme.

È l’ultima volta che possono farlo senza rischiare di finire in galera. Eccole: l’occupante di case, l’attivista ambientale, la giovane donna rom, il detenuto comune, l’immigrato che vive per strada, il mendicante. Nuovi reati, nuove pene, nuove proibizioni e nuove punizioni. Un insieme tragico di divieti e sanzioni che renderanno penalmente perseguibili tutti coloro che protestano in forma non convenzionale, ma senza far del male a nessun essere umano, e tutti coloro che vivono ai margini della società. Una società che ha progressivamente perso ogni carattere solidale, come dimostra l’uso abnorme delle polizie locali per smantellare gli accampamenti di chi vive per strada, come è accaduto a Roma nei giorni scorsi.

Il disegno di legge sulla sicurezza è l’ultimo dei passi compiuti verso il definitivo smantellamento dello Stato sociale costituzionale di diritto ereditato dalla Resistenza. Punire i poveri o le minoranze dissenzienti non è solo espressione di una politica simbolica diretta a cumulare consenso in forma demagogica, ma è qualcosa di più. È la concretizzazione materiale di un modello di diritto penale di matrice autoritaria e non liberale. Si pensi alla norma che favorisce la proliferazione delle armi nelle strade e, più in generale, nei luoghi pubblici, consentendo a circa trecentomila persone appartenenti alle forze dell’ordine di usare anche un’altra arma, piccola e occultabile, diversa da quella di servizio, fuori dai turni di lavoro.

È il primo passo di una deriva del modello di sicurezza italiano verso il far west statunitense. Più armi ci sono per le strade, più morti ammazzati ci saranno. L’Italia così non sarà più tra i paesi con il più basso tasso di omicidi a livello globale.

Per ognuna delle norme volute dal governo saltano agli occhi profili di illegittimità costituzionale. Gli articoli 3, 13 e 27 della Carta del ’48 sono vilipesi. Non si può, però, pensare di delegare sin d’ora ai giudici della Corte costituzionale il ruolo di oppositori politici. In prima battuta la battaglia contro il disegno di legge sicurezza si tiene oggi ed è culturale e politica. C’è bisogno di far sapere al mondo democratico europeo che le norme in via di approvazione costituiscono una forte compressione dello spazio civico a disposizione delle minoranze dissenzienti.

Due grandi sindacati (Cgil e Uil), associazioni, movimenti, partiti dell’opposizione hanno compreso i rischi sottostanti le norme approvate alla Camera, alcune delle quali, come quella che vieta la vendita di carte Sim a immigrati irregolarmente presenti in Italia, sono soltanto una manifestazione di pura cattiveria. Nulla hanno a che fare con la sicurezza.

Antigone e Asgi avevano, sin dalla scorsa primavera, presentato un lungo documento che evidenziava tutti gli sguaiati eccessi repressivi presenti nel testo. Tutti coloro che hanno a cuore la libertà, intesa nel senso più ampio e profondo, adulti o giovani, dovrebbero protestare pacificamente in strada con il proprio corpo contro queste norme. È l’ultima volta che possono farlo senza rischiare di finire in galera.

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