DECRESCITA CON L’ECOLOGISMO PER TROVARE UN LAVORO A TUTTI da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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DECRESCITA CON L’ECOLOGISMO PER TROVARE UN LAVORO A TUTTI da IL FATTO

Decrescita con l’ecologismo per trovare un lavoro a tutti

LA RICETTA DELL’ECONOMISTA FRANCESE – Altermondisti. Per parte della sinistra la riduzione del tempo di impiego – ma per tutti – è oggi raggiungibile attraverso le opportunità “verdi”

 SERGE LATOUCHE  13 OTTOBRE 2023

“Cambiare la vita”, lo slogan dei socialisti francesi nel 1981, non era più all’ordine del giorno nelle Presidenziali del 2017. Ma ci si può domandare se all’epoca, facendo appello a “una crescita più forte” per “far uscire la Francia dall’afasia economica”, si sarebbe veramente potuto incantare di nuovo il mondo. È più che dubbio. In ogni caso, ormai sembra molto lontano il tempo in cui André Gorz poteva scrivere: “La settimana di 30 ore […] è l’obiettivo della maggior parte dei sindacati e dei partiti di sinistra europei. […] Su questo punto (la necessità e l’auspicio di ridurre il tempo del lavoro) l’accordo è praticamente generale”. Forse questo accordo c’era ancora nel 1991, ma oggi la situazione è del tutto diversa. (…) La brutalità del grande salto indietro sociale provocato dalla globalizzazione, ha portato i “politici” che ancora si definiscono socialisti, per amor di realismo, a mettere da parte i loro progetti di “cambiamento” per concentrarsi sulle questioni a loro dire urgenti, come la riduzione della disoccupazione, obiettivo su cui François Hollande aveva fondato la candidatura alla rielezione a presidente della Repubblica. E si può dire che la sinistra “altermondista” o radicale, che sogna un altro mondo possibile, rifiuti veramente la società lavorista e di crescita? Malgrado un certo aggiornamento ecologico recente, non sembra che sia ancora di questo avviso. Anche per questa sinistra, la nostalgia dell’economia del pieno impiego dei Trenta Gloriosi sembra avere la meglio sull’utopia della democrazia ecologica. Dunque, i decrescenti rimarranno i soli a promuovere un’utopia ecosocialista in grado di far ancora sognare? È più che probabile, così come è probabile che il loro programma non avrà più visibilità di quanta ne abbia oggi, malgrado l’attuale presa di coscienza circa l’urgenza ecologica.

(…) Dei tre motivi a favore di una riduzione del tempo di lavoro citati, guadagnare di più, lavorare tutti e vivere meglio, sostenuti dagli obiettori di crescita, solo il secondo, quello dell’occupazione, ha provocato dibattiti seri nella prospettiva di una politica di lotta alla disoccupazione. La critica più dura di “sinistra” degli avversari della decrescita in generale si concentra sul fatto che il progetto sostenuto dal movimento della decrescita, cioè la costruzione di una società di abbondanza frugale, comporterebbe l’abbandono dell’obiettivo del pieno impiego. Detto più esplicitamente, si può pensare un programma comune tra produttivisti e anti-produttivisti? Malgrado la notevole crescita della coscienza ecologica sulla scena politica, la domanda rimane ancora attuale nel 2022. Dietro la divergenza di strategia politica c’è fondamentalmente la questione della fuoriuscita dalla società lavorista da una parte, e dall’altra la filosofia sociale, chiamiamola socialista, della decrescita. Che posto e che statuto deve avere il lavoro nel progetto di una società della decrescita (la sua demercificazione, la pluriattività e la specializzazione adattativa, la creazione di nuovi lavori, il telelavoro)?

Che politica sociale (rafforzamento del diritto al lavoro, ruolo e posto della nebulosa dell’economia sociale e solidale, produzione mercantile o non mercantile dei beni relazionali)? Risolvere a breve termine il problema della disoccupazione senza rinunciare ad abbandonare la religione della crescita e senza perdere di vista l’orizzonte di senso a lungo termine dell’abolizione della schiavitù salariale: questa è la doppia sfida che sta di fronte al movimento della decrescita e al quale dobbiamo cercare di dare una risposta.

Per gli obiettori di crescita, essendo escluso per principio un rilancio dei consumi, e dunque della crescita, al di là del ristabilimento del livello necessario dell’attività economica in situazione di grave recessione, una forte riduzione del tempo di lavoro è una misura auspicabile per assicurare a tutti un lavoro soddisfacente, nella prospettiva (per la Francia) di una riduzione di 2/3 del consumo di risorse naturali, in attesa che si creino le condizioni della fuoriuscita dalla società lavorista della crescita.

(…) “Non si può risolvere la crisi ambientale senza risolvere i problemi sociali”, insisteva Murray Bookchin già nel 1990. È certo, ma oggi forse è ancora più vero l’inverso. Non si risolverà il problema sociale senza far fronte alla crisi ecologica. La vera ecologia è punitiva solo per il capitale e i suoi rappresentanti (…). Senza alcun dubbio, per i partigiani della crescita, o più semplicemente per i comuni mortali delle società moderne, il pieno impiego è indissolubilmente legato alla crescita economica. Dalla fine dei Trenta Gloriosi (1945-1975) la disoccupazione è tornata a essere l’incubo delle società industriali. La crescita molle (l’1 o il 2% l’anno del Pil), che era il vanto dei vecchi Paesi industriali, oggi non basta più a ridurre la disoccupazione, mentre le nuove tecnologie distruggono sempre più posti di lavoro di quanti ne creano. (…) La società della crescita senza crescita è sicuramente la peggiore delle prospettive, ma questo non ha nulla a che vedere con il progetto della decrescita. Ci sono tutte le ragioni per pensare che una società di decrescita non avrebbe alcuna difficoltà a creare attività autonome (o anche salariate in un primo tempo) per tutti. Per gli obiettori di crescita, la necessaria riconversione dell’economia e la sua rilocalizzazione, ed eventualmente, l’auspicabile riduzione del tempo di lavoro, sono gli strumenti indispensabili per risolvere il problema della disoccupazione senza ricorrere al rilancio attraverso il consumo e dunque alla crescita. Il primo obiettivo di un programma di transizione verso una società di decrescita deve essere dunque quello di realizzare il pieno impiego per rimediare alla miseria di una parte della popolazione. Nello spirito del progetto della decrescita, è necessario mettere l’accento su tre misure principali: la rilocalizzazione sistematica delle attività utili, una riconversione progressiva di attività parassitarie come la pubblicità o nocive come nucleare e industria bellica, e una riduzione programmata e significativa del tempo di lavoro. Tutto ciò senza sottostare alla logica della crescita illimitata, abbandonando invece la religione della crescita.

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