Dal Kazakistan. Un paese di diseguaglianze crescenti
di Giuseppe GIULIANO –
“Nel tempo libero guardano la tv e bevono birra”.
Ust Kamenogorsku è una città di oltre 300 mila abitanti a Nord Est del Kazakistan. La risposta è quella che dei ragazzi mi hanno dato quando ho chiesto loro come in genere le persone che vivono in questa città trascorressero il loro tempo libero, quali interessi avessero. Sono qui per un importante progetto internazionale coordinato dal Dipartimento di Agraria dell’Università del Molise e finanziato dalla UE. Il tema è quello del degrado dei suoli.
Qualche giorno prima avevo avuto modo di visitare Astana la capitale. In questa città dal prossimo mese si terrà l’Expo 2017 sul tema “Energia futura” che, in un paese ricchissimo come questo di petrolio e gas come pochi altri paesi al mondo, suona un po’ ironico. Visto il richiamo alle energie rinnovabili che il programma dell’Expo lascia intendere. A guardare le immagini di Astana senza averla visitata si ha l’idea di una città moderna e avveniristica con tanti nuovi edifici in vetro e cemento, frutto delle tecniche ingegneristiche e della fantasia di architetti provenienti da diversi paesi del mondo, tra cui l’Italia.
In 20 minuti un taxi mi porta sotto la torre Bayterek che della città e del paese rappresenta il simbolo: una gigantesca struttura in acciaio e cemento, sormontata da una sfera dorata, che simboleggia la leggenda dell’albero della vita in cima al quale è stato deposto un uovo d’oro.
Gli edifici e le strade danno una strana sensazione di vuoto. Tutto nuovo e ordinato ma senza un’“anima”. Una città dove non si avverte il senso di comunità, priva di memoria e di storia. Un luogo surreale. Edifici semivuoti, strade deserte, aride opere monumentali, fontane, torri che nessuno ammira o visita perché non danno alcuna emozione nel vederle. Sontuosi palazzoni uguali a se stessi con uffici e qualche centro commerciale in stile occidentale. Astana, nel cuore della steppa, lontana da quella storica, è stata costruita per diventare capitale dopo la fine dell’URSS al posto della vecchia capitale Almaty.
A Ust Kamenogorsku, una sorta di parco della memoria in periferia cerca di tenere viva la storia dei luoghi e delle popolazioni. Il sacrificio dei Kazachi per la sconfitta del nazismo è testimoniato dalla ricchezza di reperti bellici risalenti a 70 anni fa, mantenuti con cura ed esposti al pubblico in una vasta area verde. Con il non lontano imponente sacrario ai caduti, sono i soli segni di una vicenda storica condivisa. Nei giovani delle ultime generazioni tutto pare però dissolversi: memoria e senso di appartenenza a una comunità. Paradossalmente l’indipendenza conquistata nel 1992, sembra avere contribuito alla loro perdita piuttosto che averne favorito il rafforzamento.
Il Kazakistan con i suoi 2,75 milioni di chilometri quadrati, metà dell’UE a 28, ha una popolazione di scarsi 18 milioni di abitanti. Un paese ricco di risorse energetiche e minerarie. Una solida e variegata produzione agricola in cui il frumento ha sempre detenuto un primato produttivo.
Una economista, Zhuldyz, mi dice: “della ricchezza di risorse energetiche ne stanno beneficiando le oligarchie locali e grandi gruppi stranieri, americani soprattutto”. Le disuguaglianze sono crescenti e percepibili ovunque. La città, le sue strade, la vita che vi si svolge tutti i giorni, sembrano riguardare solo il business per i pochi. I luoghi di aggregazione sociale e culturale sono rari. Sorprende l’elevato consumo di birra, vini, superalcoolici da parte uomini, donne, ragazzi e ragazze. In un paese prevaletemene musulmano sorprende ancora di più.
“Il consumo di alcool sta crescendo paurosamente soprattutto tra le nuove generazioni”, aggiunge Zhuldyz. In un pub in puro stile occidentale, due ragazze ordinano qualcosa da mangiare. Si fanno portare da bere una bottiglia di whisky e una bottiglia di Coca cola. Un’occhiata agli altri tavoli fa capire che non è un caso isolato.
La critica che si rivolge al modello dominante sulle crescenti disuguaglianze e l’iniqua distribuzione della ricchezza lascia poco svelata l’altra facciata di questi fenomeni. Quella del crescente degrado delle coscienze, del senso d’identità e di comunità i cui effetti in paesi come questi sono forse ancora più visibili che altrove. Un altro docente mi dice che certamente la vita delle persone e in generale la società e l’economia al tempo dell’URSS avevano limiti e problemi gravi che andavano risolti ma la realtà di oggi, la vita della stragrande maggioranza delle persone, è peggiorata di gran lunga. Il tessuto sociale e culturale si è fortemente deteriorato.
Per due giorni all’università si è parlato del degrado dei suoli causato in gran parte dalle sconsiderate e incontrollate azioni di saccheggio e sfruttamento da parte degli uomini con le loro attività economiche e tra queste in primo luogo l’agricoltura.
La Land degradation, al termine di questi pochi giorni in Kazakistan, sembra rappresentare la metafora di un degrado e di un disagio che investe la società nel suo complesso di tanti paesi e non solo il Kazakistan.
Maggio 2017
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