CRISI CLIMATICA E GIUSTIZIA SOCIALE: LA CURA MAI ADOTTATA SUGGERITA GIÀ DA ALLORA da IL MANIFESTO
Crisi climatica e giustizia sociale, la cura mai adottata suggerita già da allora
ENERGIA. Pubblichiamo un articolo di Giorgio nebbia a 40 anni dal 1973. Industriali e ministri fecero finta di convertirsi subito ad amici dell’ambiente
Giorgio Nebbia 2013
Nel 1973 il mondo era diviso in tre parti, come aveva scritto nel 1952 il geografo francese Alfred Sauvy (1898-1990). Il primo mondo era quello capitalistico, comprendente gli Stati uniti e i paesi amici e satelliti occidentali. Il secondo mondo era rappresentato dall’Unione sovietica e dai paesi satelliti. C’era poi un «terzo mondo» molto variegato, in genere di paesi arretrati economicamente, molti dei quali si erano appena scrollati di dosso il dominio coloniale di Francia, Spagna, Inghilterra; la Cina stava vivendo la rivoluzione culturale, una contraddittoria ondata di cambiamento, una via comunista indipendente dall’Unione sovietica.
Molti paesi del terzo mondo si consideravano «non allineati» e cercavano una propria strada di sviluppo, basato sul diritto di utilizzare le proprie ricchezze naturali nell’interesse dei popoli.
Il 1973 fu l’anno della svolta. Una ventata di indipendenza scuoteva i paesi del terzo mondo, consci delle ricchezze minerarie e petrolifere fino allora sfruttate dal primo e dal secondo mondo.
Poco prima un oscuro colonnello Gheddafi aveva assunto il potere in Libia con l’obiettivo di nazionalizzare le risorse petrolifere e, tanto per cominciare, aveva aumentato il prezzo del petrolio di cui erano affamati i paesi industriali. Molti produttori di petrolio, sudamericani, asiatici, africani, si erano uniti in un cartello, l’Opec, per accordarsi su produzione e prezzi, in un momento in cui gli Stati uniti cominciavano a dover dipendere dalle importazioni petrolifere.
In questo turbolento panorama di rapporti internazionali il mondo era attraversato da altre ondate di contestazioni.
E, come se non bastasse, era arrivata l’ecologia: una nuova domanda di un uso parsimonioso delle risorse naturali scarse, di lotta all’inquinamento dell’aria, del suolo, dei campi, delle acque, generato dalla civiltà consumistica. L’ecologia spaventò ministri e industriali che, a parole, fecero finta di convertirsi rapidamente ad amici dell’ambiente e della natura.
Corsero tutti alla Conferenza delle Nazioni unite sull’ambiente umano, a Stoccolma nel 1972, senza accorgersi che stavano approvando impegni (successivamente disattesi) per il contrasto all’inquinamento, la cessazione delle esplosioni delle bombe nucleari, un uso più giusto delle risorse naturali di ciascun paese. Erano le richieste avanzate dai paesi del terzo mondo, pochi mesi prima, nello stesso 1972, nella Conferenza delle Nazioni unite, a Santiago del Cile.
Il 1973 inoltre era agitato dal vivace dibattito provocato dalla pubblicazione di un libro «sovversivo», intitolato Limits to Growth. Quanto fossero credibili le denunce espresse nella Conferenza di Stoccolma e nel libro apparve chiaro in quel 1973.
Nel settembre di quell’anno, in Cile il governo del socialista Allende fu abbattuto con un colpo di stato fascista sobillato dalle multinazionali statunitensi che poterono così riappropriarsi delle miniere di rame; nell’ottobre il tentativo di invasione di Israele da parte dell’Egitto, proprio nel giorno della festa ebraica di Yom Kippur, fu respinto col sostegno occidentale e subito dopo i paesi arabi produttori di petrolio decisero di punire i paesi occidentali bloccando le esportazioni e aumentando il prezzo da 3 a 10 dollari al barile.
A partire dalla fine del 1973 la paura della scarsità di petrolio pervase il mondo industriale; oggi si ricordano le domeniche senza auto, i pattini a rotelle e le code per la benzina. Il governo italiano elaborò affrettati piani energetici. Tutti sbagliati: non tenevano conto della nuova realtà, la scarsità di risorse naturali a basso prezzo. Cominciò a circolare la sgradevole parola: austerità. Esorcizzata, nei decenni successivi, dalla scoperta di nuovi giacimenti, dalla fine del comunismo, da ondate consumistiche.
Fino alla nuova crisi iniziata nei primi anni duemila; con crescenti instabilità politiche e militari, ondate migratorie dai paesi poveri verso i paesi ricchi. Sono oggi ben visibili ingiustizie e discriminazioni.
Eppure la cura era stata indicata già nel 1973 nella forma di una maggiore giustizia e minore avidità. Perché non l’abbiamo adottata? Siamo ancora in tempo?
Energia, la strategia del pensiero fossile
ENERGIA. Il governo rinvia ancora il decreto Energia, ma nell’ultima bozza c’è la deroga alle fossili: oltre al ruolo del gas allarma lo stoccaggio della CO2 nel sottosuolo
Livio De Santoli02/11/2023
In un clima di grande confusione appaiono e scompaiono decreti fondamentali per il settore dell’energia che a parole dovrebbero agevolare il processo di decarbonizzazione del Paese, ma che nei fatti lo ostacolano. Del decreto di attuazione operativa delle Comunità Energetiche Rinnovabili, atteso da più di un anno, non si hanno notizie, con annunci ripetuti di una sua imminente emanazione. Il decreto blocca 2,2 miliardi di euro del PNRR e la costruzione di 15-20.000 comunità energetiche. Del decreto sulle aree idonee per la installazioni di impianti per l’energia da rinnovabili, essenzialmente fotovoltaico ed eolico, si attende la pronuncia della conferenza Stato-Regioni, dopo la valanga di critiche proveniente dal mondo che deve applicare tale norma, quello delle rinnovabili, mai consultati nella sua preparazione. Ma a far parlare in queste settimane di questo atteggiamento del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica è il decreto Energia (il secondo decreto Energia dopo quello uscito a fine settembre, di cui circola una bozza) che di rinvio in rinvio è ancora sospeso.
QUESTO NUOVO DECRETO AFFRONTA una serie di temi non proprio di secondo ordine, a partire da quello della fine del mercato tutelato, prevista per il prossimo gennaio, e che riguarda circa dieci milioni di utenti domestici, metà dei quali cosiddetti vulnerabili, cioè meno abbienti. Il governo ancora non ha deciso come comportarsi per agevolare la loro transizione verso il mercato libero, molto aggressivo, né ha intenzione di coinvolgere le associazioni dei consumatori per avere qualche suggerimento.
MA LE ANCOR PIÙ DOLENTI NOTE riguarderebbero (il condizionale è d’obbligo, perché, ripetiamo, nessun portatore di interessi del settore, né associazioni, né imprese, è stato coinvolto) le strategie energetiche ed in particolare lo sviluppo urgente delle fonti rinnovabili ed il ruolo del gas nel processo italiano di decarbonizzazione, che deve completarsi entro il 2050 con uno step significativo al 2030. Un decreto che dovrebbe intervenire sulla definizione delle aree idonee per le rinnovabili possibilmente eliminando tutte le perplessità (come riportato dal manifesto il 5 ottobre) ed indicare la roadmap di fotovoltaico ed eolico che ad oggi si fermano a 3 GW installati ogni anno invece dei necessari 12.
NELLA BOZZA DEL DL ENERGIA quello che più allarma riguarda l’ennesima riprova della strategia di questo governo in materia di energia: le deroghe alle fossili con un ruolo significativo assegnato al gas e alla cattura e lo stoccaggio del carbonio nel sottosuolo.
SI CONFERMA IL FATTO che la presunta «sicurezza energetica nazionale», si ottenga prolungando le deroghe per i gestori degli impianti di generazione di energia elettrica alimentati a carbone, promuovendo la coltivazione di gas naturale nell’Alto Adriatico a 9 miglia dalle linee di costa e la cattura e lo stoccaggio «sperimentale» della CO2 a Ravenna. Tutto questo, insieme a quanto riportato nel Piano Nazionale Energia e Clima dello scorso giugno, mostra la insufficienza delle misure per la decarbonizzazione: infatti, il target di nuova potenza rinnovabile (+73 GW nel periodo 2022-2030) non è in linea con il target proposto dall’Europa (+85 GW), come ha più volte ribadito Elettricità Futura.
BASARE LA SICUREZZA ENERGETICA del nostro Paese sul fossile è un errore antistorico, perché, oltre alla dipendenza dall’estero che non verrebbe eliminata, si continua a fare riferimento ad un mercato dell’energia volatile e sempre più instabile, mercato che dovrebbe essere modificato in presenza di un aumento significativo delle rinnovabili. Né possono servire le nostre poche risorse nazionali: l’obiettivo di raddoppiare la produzione di gas, da circa 3,5 a 6-7 miliardi di metri cubi l’anno, comunque quantità pur sempre risibili (in meno di dieci anni saranno esaurite), è lontanissimo dall’essere realizzato, nonostante gli sforzi di questo decreto che agevola le autorizzazioni e ammette esplorazioni anche con riserve insignificanti di 500 milioni di metri cubi di gas. Una prospettiva comunque assurda, che introduce una gestione trentennale delle eventuali piattaforme, rallentando di fatto la soluzione vera ai problemi di decarbonizzazione e di costo dell’energia, quella di accelerare con l’installazione di impianti con fonti rinnovabili. Inoltre, in questa carrellata di sostanziale difesa del fossile, la prevista implementazione accelerata di sistemi per la cattura e lo stoccaggio della CO2, il cosiddetto CCS (Carbon Capture and Storage), appare contraddittoria. Il governo da un lato insiste sul carattere sperimentale dell’attività, ammettendo quindi che si tratta di una tecnologia non consolidata, in linea con i risultati di un recente studio svolto da Ambrosetti con Eni e Snam sul progetto CCS a Ravenna, in termini di costi troppo elevati anche in proiezione al 2050 e in assenza di esempi significativi in scala industriale. Dall’altro lato, si fa riferimento invece ad una cattura e un immagazzinamento nel sottosuolo di 300 milioni di tonnellate di CO2.
VISTO IL CARATTERE SPERIMENTALE sbandierato, proponiamo di spostare le sperimentazioni sulla cattura della CO2 non per lo stoccaggio geologico ma per la produzione di bioenergie, come viene indicato dall’ultimo rapporto della Agenzia Internazionale dell’Energia IEA. In definitiva è una bozza di decreto che, se confermasse questi contenuti, oltre a mettere a rischio gli investimenti necessari per le rinnovabili, andrebbe contro gli interessi dei consumatori, a causa dell’intrinseca volatilità del gas. Una ulteriore conferma sul perché il governo non abbia mai individuato contraddizioni nell’obbiettivo di trasformare l’Italia in un hub sia del gas che delle rinnovabili.
* prorettore alla sostenibilità, Sapienza Università di Roma
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