CHOMSKY: “LA DIPLOMAZIA CINESE FA PAURA AGLI USA, NON VOGLIONO LA PACE” da IL MANIFESTO e IL FATTO
Noam Chomsky: «La diplomazia cinese fa paura agli Usa, non vogliono la pace»
INTERVISTA. Putin “criminale” come dice Al Jazeera, ma la Corte dell’Aia è ipocrita e succube. Una legge del Congresso Usa autorizza il presidente a usare la forza per «salvare» ogni americano dalla Cpi
Valentina Nicolì 22/03/2023
Sui recenti sviluppi della crisi ucraina abbiamo raccolto per il manifesto alcune riflessioni di Noam Chomsky, professore emerito del Mit, linguista, filosofo e politologo di fama internazionale di cui è uscito in libreria in questi giorni l’ultimo volume, Poteri illegittimi. Clima, guerra nucleare: affrontare le sfide del nostro tempo, (ed. Ponte alle Grazie tradotto e curato nell’edizione italiana da chi scrive).
Venerdì 17 marzo la Corte penale internazionale ha accusato formalmente Vladimir Putin di crimini di guerra in Ucraina e ha emesso un mandato di arresto contro di lui e la Commissaria per i diritti dell’infanzia Maria Lvova-Belova, che cosa ne pensa?
La Corte penale internazionale ha emesso un mandato di arresto contro Putin perché sarebbe responsabile della deportazione e trasferimento illegale di bambini ucraini. O, per dirla in maniera un po’ diversa citando Al Jazeera, «gli ipocriti di professione della Corte penale internazionale» hanno emesso un meritatissimo mandato di arresto a carico di «quel personaggio grottesco che è il presidente russo, che compie allegramente crimini contro l’umanità ed è poco più che un delinquente» («An ICC warrant against Putin is good – and hypocritical», Al Jazeera, 20 marzo 2023). I mezzi d’informazione occidentali preferiscono attenersi a una versione più morbida. In ogni caso, è sempre meritevole ricercare la verità, per quanto possa entrare in conflitto con l’asservimento alle verità dottrinarie dei potenti.
Partendo dal presupposto che quello della Cpi sia un atto legittimo, sorge spontanea la domanda se esso non debba stimolare l’applicazione di un criterio analogo anche a quanto è avvenuto in Iraq, proprio in questi giorni in cui si commemora il ventesimo anniversario dell’invasione a guida angloamericana.
Se la Corte penale internazionale avesse il coraggio di elevarsi a tale livello di onestà e integrità, la punizione sarebbe dura e brutale. Quando il procuratore della Corte Fatou Bensouda ha osato suggerire che la Cpi dovrebbe indagare sui pesanti crimini statunitensi e israeliani, il presidente Trump ha dichiarato l’emergenza nazionale e ha imposto sanzioni contro i funzionari della Corte sospettati di essere colpevoli di questa oltraggiosa violazione dell’«ordine internazionale basato sulle regole» governato dagli Stati uniti. Il visto di Bensouda è stato revocato. Successivamente, sono state imposte sanzioni a Bensouda e a un altro alto funzionario della Corte penale internazionale (si tratta di Phakiso Mochochoko, «US Sanctions on the International Criminal Court», Human Rights Watch, 14 dicembre 2020, ndr). Esiste già una legge del Congresso statunitense che autorizza il presidente Usa a usare la forza per «salvare» qualsiasi americano che rischi di essere portato dinanzi al tribunale dell’Aia (nota informalmente come Hague Invasion Act, è una legge federale entrata in vigore il 2 agosto 2002, mirante a «proteggere il personale militare degli Stati Uniti e altri funzionari eletti e nominati del governo degli Stati uniti contro procedimenti penali da parte di un tribunale penale internazionale di cui gli Stati uniti non fanno parte». Il Padrino non tollera alcun segno di insubordinazione.
Il 20 marzo il presidente cinese Xi Jinping è arrivato a Mosca per una visita ufficiale di tre giorni su espresso invito di Putin. Pensa che questa visita possa rappresentare un concreto passo avanti verso una qualche forma di negoziato per fermare la guerra in Ucraina?
Il governo Usa ha condannato immediatamente la visita e la proposta cinese. La posizione ufficiale degli Stati uniti rimane invariata: la guerra deve continuare per indebolire gravemente la Russia. Come molti commentatori occidentali hanno osservato, non senza un certo entusiasmo, è un grosso affare per gli Stati uniti. Facendo ricorso a una piccola porzione del proprio colossale bilancio militare, gli Stati uniti sono in grado di deteriorare pesantemente le forze del suo principale avversario in campo militare, generando peraltro un’impennata negli utili e nelle vendite dell’industria militare. In verità, producendo un guadagno molto più ampio. Più in generale, la diplomazia cinese è motivo di grande preoccupazione per Washington. La sua recente iniziativa per promuovere un accordo tra Iran e Arabia Saudita mette i bastoni tra le ruote a un ordine regionale che gli Stati uniti dominano sin dalla Seconda guerra mondiale, e mina gli sforzi degli Stati uniti di punire l’Iran per la sua diserzione da questo sistema, in quella che i pianificatori statunitensi del secondo dopoguerra consideravano l’area strategicamente più importante del mondo. Non è una faccenda di poco conto.
Quel mandato d’arresto per Putin blocca la pace
DOMENICO GALLO 21 MARZO 2023
Fiat Justitia et pereat mundus (“Si faccia Giustizia e perisca il mondo”) oppure Fiat Justitia ne pereat mundus (“Si faccia Giustizia affinché non perisca il mondo”): è questo il dilemma di fronte alla notizia che la Corte penale internazionale, su richiesta del procuratore Karim Khan, ha spiccato un mandato di cattura contro il presidente russo Vladimir Putin per il presunto crimine della deportazione di numerosi bambini dai territori occupati dell’Ucraina. Non v’è dubbio che la feroce guerra in corso farà lavorare per anni la Corte penale internazionale per prendere conoscenza della valanga di oltraggi all’umanità commessi dai belligeranti. Non dimentichiamo che “la guerra è un assassinio di massa”, così come l’ha definita crudamente Hans Kelsen nella prefazione al suo libro Peace Through Law (1944). La guerra è la madre di tutti i delitti, crea l’ambiente umano nel quale si possono sviluppare le peggiori perversioni generate da paura, odio e “disumanizzazione” del nemico.
È vero che gli atti più atroci sono vietati dal diritto bellico, che li bolla come “crimini di guerra” e “crimini contro l’umanità”, però quella del diritto è una barriera molto fragile. Ci è stato insegnato che se il diritto internazionale è il punto di evanescenza del diritto pubblico, il diritto bellico è il punto di evanescenza del diritto internazionale (Antonio Cassese). L’istituzione della Corte penale internazionale nel 1998 mirava a rafforzare il fragile diritto umanitario, assicurando la garanzia di una giurisdizione universale a sua tutela. Proprio per questo, hanno rifiutato la giurisdizione della Corte quegli Stati che sono più adusi a commettere crimini internazionali e/o non accettano limitazioni alla propria sovranità (Usa, Israele, Iran, Turchia, Russia e Cina).
Pochi giorni fa è stato reso noto il rapporto di una Commissione internazionale indipendente sull’Ucraina, redatto da un gruppo di esperti nominati dall’Onu, che fa emergere una serie impressionante di crimini di guerra: uccisioni volontarie, attacchi a civili, reclusione illegale, torture, stupri, trasferimenti forzati e deportazione di bambini. Si tratta di fatti atroci, non dissimili (esclusa la deportazione di bambini) da quelli compiuti dalle forze armate americane durante la seconda guerra del Golfo, come documentati, almeno in parte, da Julian Assange, che per questo “crimine di verità” rischia di essere sepolto vivo in un carcere americano. Tuttavia all’epoca nessuno pensò di incriminare George Bush, responsabile politico di quella tragedia, né di inviare armi al Paese aggredito per consentirgli di difendersi dall’aggressore. L’esperienza della guerra in Jugoslavia ci ha fatto toccare con mano come la giustizia internazionale possa essere strumentalizzata ai fini della guerra, per delegittimare e indebolire l’avversario. Così la Nato, dopo aver impedito alla Corte penale internazionale di indagare sui crimini commessi dalle sue forze militari durante la campagna di bombardamenti contro la Jugoslavia nel 1999, si è arrogata la funzione di polizia giudiziaria della Corte, pretendendo la consegna di Milosevic. In definitiva, grazie anche all’attitudine filoatlantica del suo procuratore (la svizzera Carla del Ponte) la Corte per l’ex Jugoslavia finì per diventare un organo gregario della Nato.
Orbene, l’incriminazione di Putin è un passo falso compiuto dal procuratore della Cpi perché mette la legittima esigenza di repressione dei crimini di guerra in contraddizione con l’esigenza di porre fine alla guerra (e quindi ai crimini che della guerra sono un sottoprodotto). Quali che siano le responsabilità di Putin, questo non giustifica l’emissione di un mandato d’arresto contro un capo di Stato in carica. Nell’esercizio della sua discrezionalità il procuratore della Cpi deve essere coerente con i fini delle Nazioni Unite, che consistono essenzialmente nel mantenimento e nel ristabilimento della pace. Non si può pretendere di fare giustizia a costo della pace. Incriminando Putin, mentre la guerra è in corso, si tagliano i ponti rispetto alla possibilità di un negoziato e si impedisce alla Russia di tornare sui suoi passi. Non vi è chi non veda come il mandato di arresto spiccato contro Putin sia un formidabile atout nelle mani della Santa Alleanza occidentale per delegittimare l’avversario e rafforzare la versione del conflitto come una sorta di guerra santa contro il male, secondo la vulgata di Zelensky. Una guerra che dovrà proseguire fino alla “vittoria”, cioè alla sconfitta della Federazione russa e all’arresto dei suoi capi. In questo modo è stato compiuto un altro passo nel girone infernale della guerra e le lancette dell’orologio atomico si sono avvicinate ancora di più alla mezzanotte. Noi continuiamo a pensare che la giustizia non deve avvicinare la fine del mondo; al contrario, si faccia giustizia per evitare che il mondo perisca.
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