CHE TEPORE A NATALE: SU “SCIENCE” LE CAUSE DEL SURRISCALDAMENTO da IL FATTO
Che tepore a Natale: su “Science” le cause del surriscaldamento
Luca Mercalli 17 DICEMBRE 2023
In Italia – Fino a metà dicembre si sono susseguite perturbazioni atlantiche accompagnate da venti miti e umidi occidentali, alternando schiarite, nubi e precipitazioni, e solo brevi parentesi un po’ più fredde. Lunedì 11 in Valle d’Aosta pioveva a dirotto fino a 2300 metri – come già accaduto più volte in questo inizio di inverno. In Pianura Padana nubi basse, nebbie e foschie mantenevano temperature diurne sotto i 10 °C, ma nel resto del Paese sono stati giorni dal sapore primaverile, in contrasto con gli addobbi del Natale imminente. Particolarmente anomale le massime di mercoledì, specie dove hanno soffiato venti di foehn: 21,9 °C a Pescara, 23,6 °C al Capo Bellavista (Ogliastra), 23,9 °C a Lamezia Terme, e quindici stazioni del Servizio agrometeorologico siciliano (Sias) hanno stabilito dei record per dicembre in almeno 22 anni di misure, fino ai 28,2 °C di Pettineo (Messina), circa 12 °C sopra media. La rotazione da Nord dei venti ha portato un abbassamento di temperatura tra venerdì e ieri con temporali in Sicilia e neve in calo a 1000 m sull’Appennino meridionale. Ora sull’Europa si sta consolidando una vasta alta pressione che per alcuni giorni manterrà tempo per lo più soleggiato (nebbie padane a parte) e tepori notevoli sulle Alpi con zero termico a 3500 metri.
Nel mondo – Le ondate di caldo più anomale hanno interessato il Sud-Est asiatico, con un nuovo record per dicembre di 32,8 °C a Hong Kong, le Americhe – specie il Canada, talora con assenza di gelo notturno perfino nella fredda valle dello Yukon – e l’Europa occidentale. Sorprendenti i 29,9 °C di mercoledì 13 a Malaga, primato nazionale spagnolo per dicembre! Una devastante serie di 17 tornado, uno dei quali di livello EF3 (venti rotanti a 218-266 km/h) lo scorso weekend ha causato sei vittime nel Tennessee. La Cop28 di Dubai è terminata con un risultato positivo per aver messo nero su bianco nel documento finale, per la prima volta, la necessità di allontanarsi (transitioning away) dai combustibili fossili per giungere a emissioni nette zero al 2050; ma, per il resto, molti sono stati i compromessi al ribasso o gli slittamenti alla Cop29 di Baku (Azerbaigian) per decisioni in altri settori dei negoziati, tra cui la finanza climatica, la revisione del mercato del carbonio e lo stop ai sussidi alle fonti fossili. Il preoccupante quadro climatico delineato dalla comunità scientifica richiede azioni più rapide, condivise e determinate. Un nuovo studio pubblicato su Science da un consorzio di ricercatori di 16 Paesi (Toward a Cenozoic history of atmospheric CO2) integra tutte le ricostruzioni dell’andamento della CO2 nell’aria fino a 66 milioni di anni fa, proponendone la serie più completa e lunga oggi disponibile: le concentrazioni del principale gas serra responsabile delle variazioni di temperatura globale e dell’attuale riscaldamento, di esclusiva origine antropica (media planetaria di 418 ppm nel 2022), non erano così elevate da 14 milioni di anni, rimarcando l’inedita portata su scale di tempi geologici della crisi climatica e ambientale che abbiamo scatenato. Con le attuali e ancora insufficienti politiche climatiche siamo esposti al rischio di raggiungimento di soglie critiche (tipping points) nello stato di svariati elementi cruciali per il funzionamento del sistema-Terra come la circolazione atmosferica e oceanica, i ghiacci, le foreste e la biosfera, con cambiamenti bruschi, irreversibili e a evoluzione imprevedibile e catastrofica, in un effetto domino. Alcuni di questi punti di non ritorno potrebbero essere già molto vicini, come il collasso delle calotte glaciali della Groenlandia e dell’Antartide occidentale, che innescherebbe aumenti dei livelli marini di molti metri. Le conoscenze su questi inquietanti fenomeni sono riunite nel Global Tipping Points Report coordinato da Tim Lenton dell’Università di Exeter, in efficace veste grafica su https://global-tipping-points.org/. Sono mostri climatici da non svegliare.
I paradisi fiscali costano al mondo 480 mld, quanto i danni e le perdite causati dal clima
FQ 16 DICEMBRE 2023
L’importo delle tasse perse ogni anno a causa delle multinazionali e dei ricchi del pianeta che utilizzano i paradisi fiscali è pari alla quantità di denaro necessaria ogni anno per coprire il costo stimato delle perdite e dei danni causati dal clima, vale a dire 480 miliardi di dollari. Sono le conclusioni a cui approda Tax Justice Network pubblicate dopo la chiusura della Cop28. La ong che si batte per l’equità fiscale parla di un vero e proprio “doppio danno”. “Al centro di questa duplice crisi del collasso climatico e della disuguaglianza galoppante – spiega Franziska Mager, responsabile della difesa del clima e della disuguaglianza di Tax Justice Network – c’è un catastrofico uso improprio della politica fiscale per dare priorità ai super ricchi rispetto a tutti e a tutto il resto. I governi possono e devono riprogrammare i sistemi fiscali per proteggere i bisogni di tutti i membri della società, compreso il bisogno esistenziale di rispettare i confini planetari”.
Secondo una ricerca pubblicata a luglio dal Tax Justice Network, i Paesi perdono complessivamente 480 miliardi di dollari, di cui 301 miliardi sono attribuiti alle multinazionali che dirottano i profitti verso i paradisi fiscali e 171 miliardi sono riconducibili alle persone abbienti che nascondono la ricchezza off-shore. Ma se non cambierà nulla, i Paesi arriveranno a perdere quasi 5 mila miliardi di dollari a favore dei paradisi fiscali nei prossimi dieci anni, avverte la ricerca. Numeri che si sovrappongono a quelli sul clima. Secondo una ricerca di Climate Analytics e dei rapporti commissionati da Oxfam, si prevede che i danni macroeconomici del cambiamento climatico per i Paesi in via di sviluppo oscilleranno tra i 400 e i 431 miliardi di dollari all’anno entro il 2030. In particolare, Oxfam ha evidenziato che l’1% più ricco della popolazione mondiale ha emesso nel 2019 una quantità di carbonio pari a quella dei 5 miliardi di persone che costituiscono i due terzi più poveri del mondo.
All’inizio della Cop28 i governi hanno concordato un fondo per perdite e danni con un finanziamento iniziale di circa 700 milioni di dollari, che copre dallo 0,2% allo 0,01% del costo annuale stimato di perdite e danni. Alla fine, il documento approvato deficia di impegni finanziari: il mondo ricco continua ad aspettarsi che i Paesi poveri e martoriati dagli impatti dei cambiamenti climatici, di cui sono responsabili solo in minima parte, si accollino i costi della transizione da soli.
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