ACQUA DI COLONIA da IL MANIFESTO
Tante promesse ma pochi fatti. Via al Piano Mattei
ACQUA DI COLONIA. Oggi la Camera licenzia il progetto con cui il governo vorrebbe portare sviluppo in Africa. Ma è mistero su soldi e programmi
Leo Lancari 10/01/2024
Che cosa gestirà in concreto la cabina di regia voluta da Giorgia Meloni per attuare il Piano Mattei? La domanda è legittima visto che finora da Palazzo Chigi non è trapelata nessuna informazione sui progetti che dovrebbero trasformare il piano «per lo sviluppo in Stati del Continente africano» da un elenco di buone intenzioni finalmente in realtà. Ieri la Camera ha bocciato tutti i 70 emendamenti al decreto che introduce il Piano Mattei e per oggi è previsto il via libera definitivo al testo. «Non è una scatola vuota, sarà riempito di contenuti», ha assicurato in aula il viceministro agli Esteri Edmondo Cirielli rispondendo alla critiche delle opposizioni, ma rimandando ogni informazione ulteriore alla conferenza Italia-Africa che si terrà a Roma il 28 e 29 gennaio.
DI CERTO più che fermare i flussi di migranti verso l’Europa come la premier promette (compito difficile da realizzare almeno per le prossime generazioni di giovani africani), il piano servirà al governo per dar vita a una serie di partenariati economici con alcuni Stati africani con l’obiettivo, tra l’altro, di trasformare l’Italia in un hub europeo del gas. Ma procediamo con ordine.
LA GESTIONE del Piano spetterà a una cabina di regia presieduta dal presidente del consiglio e della quale fanno parte il ministro degli Esteri (vicepresidente), altri ministri, il presidente della Conferenza delle regioni, il direttore dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, il presidente dell’Ice e i rappresentanti di Cassa depositi e prestiti, Sace e Simest. Tra i compiti della cabina c’è anche quello di «promuovere iniziative finalizzate all’accesso a risorse messe a disposizione dall’Unione europea e da organizzazioni internazionali».
IL DECRETO prevede inoltre la creazione di una struttura di missione che sia di supporto a presidente e vicepresidente della cabina di regia coordinata da un appartenente alla carriera diplomatica e articolata in quattro uffici. Per quanto riguarda gli ambiti di intervento sui quali si muoverà il Piano, l’elenco è lungo: energia, istruzione, formazione, ricerca, salute, agricoltura, sicurezza alimentare, lotta al cambiamento climatico, gestione risorse e, infine, contrasto all’immigrazione irregolare. «Finora non ha funzionato un certo approccio paternalistico e predatorio», ha spiegato Meloni nella conferenza stampa di fine anno. «Quello che va fatto in Africa non è carità ma partnership strategiche da pari a pari».
FIN QUI le buone intenzioni, che sembrano però più attente agli affari che ai problemi dell’immigrazione. Resta da capire come il governo intende realizzarle. E’ chiaro che l’Italia non può fare tutto da sola e punta a coinvolgere nel progetto anche l’Unione europea, ma non solo. Il problema è che finora, però, nessuno sembra aver accolto l’invito. La conferenza Italia-Africa di fine mese servirà probabilmente a sciogliere qualche dubbio ma al momento pare che l’unico progetto pronto sarebbe quello riguardante la Tunisia al quale avrebbe lavorato l’ex ambasciatore italiano a Tunisi Fabrizio Saggio, da pochi giorni consulente diplomatico della premier. Per quanto riguarda i fondi, ci sarebbe solo l’annuncio fatto lo scorso ottobre da Meloni di destinare al Piano Mattei tre miliardi di euro del Fondo per il clima. Pochi, anche senza polemizzare sulle scelta di togliere soldi all’ambiente per destinarli all’Africa.
«La montagna non ha partorito neppure un topolino», ironizza il vice presidente del Pd alla Camera, Toni Ricciardi. «La triste verità è che il Piano Mattei è solo fuffa e propaganda utile a far credere che tutto un tratto abbiamo risolto i nostri problemi con il continente africano».
Di «progetto vuoto» parla anche Benedetto Della Vedova. «Il Piano Mattei stravolge la legge sulla cooperazione internazionale, sposta risorse e ruoli dal ministro degli Affari esteri accentrandola a Palazzo Chigi – prosegue il deputato di + Europa – e tutto questo con un decreto legge che alla Camera passerà de plano».
Piano Mattei, la memoria fossilizzata della nostra Africa
PIANO MATTEI. Italia a tutto gas e zero rinnovabili. L’unica urgenza di procedere con un decreto è il bisogno delle risorse energetiche africane
Marco Boccitto 10/01/2024
Gas Pride. L’orgoglio italiano che Giorgia Meloni sprizza da tutti i pori ha trovato da qualche tempo un fulgido riferimento anche nella figura di Enrico Mattei, a cui è intitolato – copyright Eni – l’assai fumoso piano di cui ieri si è intravisto a malapena il solo contenitore. Un orgoglio vagamente spaccone, che sconfina appunto nella superbia e nella debordante autostima. «Sentimento unilaterale ed eccessivo – per restare alla prima definizione del dizionario – della propria personalità o casta».
Stando invece alla terminologia ricca di «valori etici» e «doveri morali» con cui viene infiocchettata la scatola ancora vuota del Piano Mattei, e volendo credere alla solenne promessa di rinunciare allo spirito «predatorio» che fin qui ha istruito l’asimmetrico rapporto tra potenze occidentali e paesi africani, la destra di governo italiana sembra voler divaricare ancora un po’ il suo sogno contro-egemonico. E così, dopo aver macinato indistintamente le saghe di Tolkien (tipico predatore seriale che ha attinto a piene mani dal Kalevala, l’opera magna dell’epica finnica) e l’epopea di Mattei, Marinetti, D’Annunzio, e persino Gramsci, ora minaccia di allungarsi fino a Thomas Sankara e alla sua rivoluzione rosso-verde. Se mai lo scopo fosse quello di stabilire rapporti paritari, di scommettere sulla sicurezza alimentare e sulle risorse umane, invece che fossili, dell’Africa.
Ma non è il caso di esagerare. Basterebbe cominciare in realtà con l’abbassare i saluti romani e dare una letta ai lavori dello storico Angelo Del Boca, per rinfrescare la memoria sulle modalità criminali con cui Roma provò a rifarsi un impero soggiogando la “sua” Africa. Basterebbe una mostra, un convegno, una rassegna cinematografica aperta dal capolavoro di Haile Gerima, Adwa. Insomma altro da questo «decreto recante disposizioni urgenti» da cui dovrebbe poi dispiegarsi il Piano vero e proprio. Quanta “fretta”, se ne parla da mesi ma niente ancora. In swahili potrebbe dirsi pole-pole (piano-piano).
È chiaro che l’unica urgenza da soddisfare in questo caso è la sete di risorse, in primis di combustibili fossili, per garantire una serena sicurezza energetica al Paese e magari guadagnarci su qualcosina, creando il famoso hub per rivendere a terzi il gas pompato fin qui dall’Africa. In questa surriscaldata fase storica, è un po’ come fare scorte di zucchero filato in un mondo malato di diabete.
Nessuna progettualità all’orizzonte, né per una vera transizione ecologica né tantomeno per un nuovo approccio ai problemi del Continente africano. Nessuna visione di futuro, perché anche questo Piano Mattei risponde alla logica dell’”annuncismo”, specialità della casa. Mira a scaldare un po’ i cuori, un po’ i termosifoni, Ma solo per il prossimo inverno, poi si vedrà.
Anche a voler comprendere l’amor patrio fratellitaliano, si può rilevare come il nostro paese arrivi tardi, trafelata e scomposta, con una buona dose di insipienza strutturale sullo scenario mutevole e instabile del nuovo grande gioco africano. I rubinetti russi si sono chiusi per tutte le potenze occidentali. Anche sul fronte degli investimenti infrastrutturali ci sono paesi – dalla Cina alla Turchia – piazzati decisamente meglio. Mentre sul fronte strategico della sicurezza sono i russi a guadagnare terreno, dai paesi saheliani che passano progressivamente nell’orbita di Mosca al Centrafrica, già regno incontrastato di Prigozhin e ora ricondotto nel grembo della Grande Madre Russia.
Nell’imbarazzante pretesa di esibire una patente di verginità, il governo italiano fa squadra con Eni, che sul tema dello sfruttamento e della messa a reddito delle risorse africane, al pari o forse più delle altre grandi società petrolifere mondiali, vanta una qual certa dimestichezza. L’importante è scordarsi del passato, sia esso remoto e mai elaborato come quello coloniale, o più prossimo e inerente agli effetti devastanti che l’estrattivismo ha avuto sulla biodiversità e sulle popolazioni del Delta del Niger, un disastro sociale e ambientale di cui resta ancora qualche sentore nelle aule di tribunale. Inutile anche rammentare il recente esempio di Cabo Delgado (altra fonte cardine del Piano), che illustra drammaticamente come gli appetiti smodati sui giacimenti mozambicani abbiano creato solo conflitti e le migliori condizioni per campagne d’arruolamento jihadiste presso le popolazioni locali, che di tanta ricchezza non hanno visto neanche le briciole. O, ancora, non serve da lezione una presenza di lunga data come quella italiana in Libia, dove in questi giorni si susseguono le proteste di fronte al complesso gasiero di Melitah, gestito da Eni in joint venture con la compagnia di stato libica, con accuse di corruzione dilagante e la minaccia di interrompere il flusso di gas verso l’Italia.
È e sarà il minimo della pena, finché la «prosperità» che anche il Piano Descalzi-Meloni, come andrebbe chiamato, promette, continuerà a essere quella delle multinazionali, dei produttori di armi e delle oligarchie locali.
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