“VALDITARA, SCEGLITI UN INSULTO” da IL MANIFESTO e ANSA
La destra vittimista e il gioco del cerino
25 novembre In mezzo al corteo romano di ieri pomeriggio spiccava anche un cartello sul quale era stato scritto, con garbata ironia, ‘Valditara scegliti un insulto’
Micaela Bongi 26/11/2024
In decine e decine di migliaia, tante giovanissime, insieme anche a molti loro coetanei e pure a parecchi maschi più avanti con l’età. Sfilano nei cortei contro la violenza sulle donne e di genere e per «disarmare il patriarcato», come reclama lo striscione di apertura nelle piazze convocate da Non Una di meno che a Roma e a Palermo anticipano la ricorrenza del 25 novembre. Un bellissimo colpo d’occhio, un flusso continuo di consapevolezza e determinazione, di libertà allegra e di rabbia urlata.
E intanto ancora donne uccise, circa cento quest’anno, soprattutto «in ambito famigliare e affettivo», secondo la terminologia burocratica che supporta la compilazione di tristi bollettini di morte, dove la mano armata il più delle volte è quella di mariti o ex fidanzati.
Eppure la notizia, per la destra ma non solo, perché nel mondo alla rovescia del vannaccismo contemporaneo a forza di gridare al lupo alla fine tutti o quasi accorrono impauriti, è un’altra: «Bruciata una foto di Valditara».
Et voilà. Ve la siete presa tanto con il ministro dell’Istruzione perché ha negato la persistenza del patriarcato (secondo lui sarebbe stato abolito per legge) e puntato l’indice contro gli «immigrati irregolari», riuscendo a essere (lo ha fatto alla presentazione della Fondazione Giulia Cecchettin) particolarmente fuori luogo anche per i suoi standard? Ecco il risultato. Un «atto di violenza» contro il ministro, il governo, la premier (durante la manifestazione sono stati addirittura scanditi cori anti-Meloni), «azioni indegne», tuonano dalle file della maggioranza.
Manca solo che il ministro della giustizia Carlo Nordio rilanci il suo allarme terrorismo, ma è in ogni caso un coro d’indignazione accompagnato dalla consueta richiesta all’opposizione di «prendere le distanze», «condannare», «stigmatizzare».
Eppure in mezzo al corteo romano di ieri pomeriggio spiccava anche un cartello sul quale era stato scritto, con garbata ironia, «Valditara scegliti un insulto». Insieme a tanti altri inviti rivolti alla premier Meloni e ai ministri a partire proprio da quello dell’Istruzione, gettonatissimo dopo la sua ultima sortita. Inviti seri o canzonatori, ma comunque sempre puntuali e meritevoli (a proposito di ministero del Merito) di una risposta.
Invece la destra al governo, seguendo il solco della presidente del consiglio, pardon, del presidente, preferisce approfittare del cerino per alzare cortine fumogene. Nel tentativo di oscurare (ma difficile che stavolta ci riesca) una giornata che al di là del solito rituale dei palazzi istituzionali illuminati di rosso e domani si ricomincia promettendo bonus mamme e minacciando nuovi decreti sicurezza, queste piazze riescono a riempire di senso con lo sguardo ogni volta sempre un po’ più in avanti.
Difficile del resto aspettarsi qualcosa di diverso da questa compagine che condanna a ripetizione la «violenza» di chi dissente ma dove, solo per fare qualche esempio, un ministro dell’Istruzione decanta il valore educativo dell’«umiliazione» e passa il suo tempo a inventare nuove forme di punizione, un vicepresidente del consiglio chiama i manifestanti «zecche rosse», un sottosegretario alla giustizia sogna detenuti che non respirano più mentre la premier dirige fieramente l’orchestra.
Un governo che oltretutto ha una particolare attenzione sadica nei confronti di chi è più giovane e addirittura spera che valga la pena lottare per l’ambiente, l’istruzione pubblica accessibile a tutti, combattere il razzismo e rivendicare la libertà e l’autodeterminazione femminile invece di rassegnarsi alle smanie nucleariste di un Pichetto Fratin, al familismo reazionario di una Roccella, al mood penitenziale di un Valditara e in definitiva a questa destra a tinte fosche.
Meloni sui femminicidi: «Chiamatemi razzista»
Violenza maschile La premier insegue Valditara e Salvini
Luciana Cimino 26/11/2024
«Chiamatemi razzista». Giorgia Meloni, prima presidente del consiglio donna d’Italia, nella giornata internazionale contro la violenza sulle donne, non abbandona l’ardita tesi del suo ministro all’Istruzione Valditara ma la raddoppia. «Adesso verrò definita razzista, ma c’è una incidenza maggiore nei casi di violenza sessuale da parte di persone immigrate, soprattutto illegalmente, perché quando non hai niente si produce una degenerazione», ha dichiarato la premier in una intervista uscita su Donna Moderna. «C’è un lavoro qui che è soprattutto securitario, la dimensione culturale c’entra di meno – tenta di articolare la presidente del Consiglio -. Bisogna garantire la presenza delle forze dell’ordine e che quando qualcuno commette un reato paghi». Quella che a prima vista potrebbe sembrare l’ennesima gaffe anche rispetto alle parole del presidente della Repubblica («È superfluo sottolineare che non ci sono scuse accettabili a giustificazione della violenza di genere», aveva dichiarato ieri Mattarella) è invece segno di una precisa strategia. Finita la luna di miele con gli elettori e in difficoltà per la manovra e con gli alleati, Meloni ha necessità di sviare l’attenzione dal governo e non lasciare margini a Salvini. Il vicepremier e leader della Lega ieri mattina aveva pubblicato un elenco parziale e fazioso di alcune vittime di uomini di nazionalità non italiana allo scopo di evidenziare «le pericolose conseguenze di un’immigrazione incontrollata, proveniente da Paesi che non condividono i valori occidentali».
Nonostante qualsiasi ricerca smentisca gli assunti dei sovranisti, la maggioranza ha deciso compattamente di derubricare i femminicidi a problemi di ordine pubblico derivanti dalla presenza di migranti. Mentre sul resto delle politiche di genere si autopromuove: «La lotta alla violenza contro le donne è una priorità del governo, abbiamo aumentato i fondi per i centri anti-violenza e le case rifugio. Li abbiamo quasi raddoppiati, portandoli a livelli mai visti prima. Abbiamo reso strutturale il reddito di libertà, abbiamo investito in campagne di sensibilizzazione e promosso la conoscenza del 1522», come ha dichiarato Meloni durante il consiglio dei ministri. Eppure mentre la premier parlava, sotto palazzo Chigi si svolgeva un presidio, organizzato da Non Una di Meno e Lucha y Siesta, dei centri anti violenza che invece denunciavano «la violenza di Stato che minimizza gli effetti del patriarcato».
«Noi i dati li abbiamo e non dicono quello che dice Valditara ma non ce li chiedono – dice Anna di Differenza donna, che ha in gestione il 1522 – lo scorso anno si erano rivolte a noi 23 mila donne, nei primi 10 mesi di quest’anno sono già 22 mila. La premier legittima la violenza maschile per giustificare le sue politiche securitarie e mistifica i rapporti che invece ci dicono che le donne denunciano molto di più se sono state violate da uno straniero ma hanno molta più paura quando c’è di mezzo il bravo ragazzo bianco di potere».
E i processi in corso proprio in questi giorni per i casi Tramontano e Cecchettin in Italia e Pèlicot in Francia lo dimostano. «Il governo vuole spostare l’attenzione sull’immigrazione per un fenomeno che trova nel patriarcato la sua radice – scandisce Valeria al megafono in una piazza Montecitorio quasi completamente al buio per i lavori del Giubileo – Non esiste una legge valida, altrimenti l’avremmo proposta, ma la risposta non può essere solo repressiva e dovuta all’onda emotiva di stupri di gruppo, come a Caivano: usciamo dalla logica emergenziale, il patriarcato è strutturale».
La distanza tra il palazzo e la strada è evidente: mentre la ministra per la Famiglia Roccella e quella alle Riforme, Casellati, annunciavano un testo unico sulla violenza di genere da presentare entro l’8 marzo, le luchadores sotto Montecitorio scandivano cori contro La Russa, Meloni e Valditara e nel resto del Paese si tenevano cortei contro «i femminicidi di stato». A Genova, Milano, Torino, Bologna, Palermo scuole e università hanno dichiarato lo stato di agitazione nazionale. «Non c’è spazio per la negazione di ciò che è sotto gli occhi di tutti», ha commentato la segretaria del Pd Elly Schlein.
No Comments