UN COLPO ALL’AUTONOMIA, MA ORA NON MOLLERANNO da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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UN COLPO ALL’AUTONOMIA, MA ORA NON MOLLERANNO da IL FATTO

Un colpo all’autonomia, ma ora non molleranno

Gianfranco Viesti  16 Novembre 2024

Le vicende della “secessione dei ricchi” sono un apologo della lotta per il potere, da condurre al riparo dagli occhi dei cittadini. Le decisioni della Corte costituzionale hanno dichiarato incostituzionali quasi tutti i punti più importanti della legge 86/24 sull’autonomia differenziata; hanno riportato al centro di tutto il processo decisionale il Parlamento. Soprattutto la Corte ha sottolineato come quel processo “non debba corrispondere all’esigenza di un riparto di potere tra i diversi segmenti del sistema politico”. Un colpo durissimo a chi da anni cerca di acquisire quanto più potere (e soldi) possibile, togliendolo al Parlamento e consegnandolo ai piccoli premier regionali. Con la minima discussione pubblica.

Nel novembre 2017 il Consiglio regionale del Veneto aveva chiesto di diventare uno stato sovrano, acquisendo pieni poteri in tutte le politiche pubbliche e trattenendo i 9/10 delle tasse. Una secessione. E invece di contestare pubblicamente questa assurda pretesa il governo Gentiloni, grazie all’azione dei democratici Bonaccini e Bressa, firmava nel febbraio 2018 una pre-intesa con tre regioni. Senza alcuna discussione nel paese; tre giorni prima delle elezioni politiche. Nel 2019 la ministra Stefani predisponeva un completo testo di intesa su tutte le materie con le tre regioni che è arrivato fino al Consiglio dei ministri. Senza che né allora né oggi ne fossero resi pubblici i termini.

In questa legislatura le forze di maggioranza approvano una legge. Ma essa tace sul punto più importante: quali funzioni possano essere trasferite e come questa cessione “debba essere giustificata in relazione alla singola regione” (come chiede, invece, la Corte). Tutto il potere è nelle mani della premier; ora la Corte l’ha restituito al Parlamento. Intanto Calderoli tratta, in assoluto segreto, con ministeri e regioni per soddisfare il prima possibile i desiderata di Zaia e Fontana su materie importanti come la protezione civile. Si fa un gran parlare dei Lep, una cortina di fumo per nascondere le vere questioni, a partire da quante risorse rimangono alle regioni “differenziate”: la Corte ha censurato che questo possa essere deciso, come invece previsto, con decreto del governo. Calderoli chiede a Cassese, divenuto nel frattempo il più scatenato sostenitore dell’autonomia differenziata, di presiedere una commissione apposita; Cassese a sua volta nomina una sottocommissione che tira fuori il coniglio dal cilindro: al Sud servono meno soldi per gli stessi servizi perché la vita costa meno. I conti li farebbe, in gran segreto, la Commissione fabbisogni standard, presieduta ora da una consulente di Zaia.

Ma mentre si chiacchiera dei Lep, il governo Meloni-Giorgetti-Fitto taglia l’anno scorso, con uno dei commi della legge di Bilancio, l’80% del fondo che finanzia le infrastrutture necessarie proprio per erogarli; e con una tabella del recente Piano di medio termine ci informa che uno dei pochissimi Lep già esistenti non c’è più: mentre tutti i comuni italiani dovrebbero avere un posto in asilo nido ogni tre bambini piccoli, le regioni possono fermarsi a uno su sei. L’auspicio è che dopo la sentenza della Corte diventi più difficile procedere così. Inutile farsi illusioni. Per Calderoli e Zaia è la battaglia della vita: padroni in casa nostra, con i nostri soldi; insisteranno. In ogni caso la strada si fa più impervia, benché il ministro azzardi che “non cambia nulla. Noi ci stiamo confrontando con alcune regioni sulle materie non Lep. Quando arriveremo alle intese vedrete che conterranno le prescrizioni della Corte. Altrimenti si andrà avanti a legislazione vigente”.

La Corte ha chiaramente invitato il Parlamento a “colmare i vuoti” ora creati nella 86, e ha ribadito la sua competenza anche sulle leggi di differenziazione. La trattativa sulle Intese dovrebbe fermarsi all’istante; il Parlamento riscrivere la legge, assunto il suo diritto-dovere di decidere se e quali funzioni dare alle regioni, con quali motivazioni, con quali meccanismi finanziari. In attesa di capire che sarà del referendum. In realtà bisognerebbe andare ben oltre la sacrosanta opposizione all’autonomia differenziata. Il Parlamento dovrebbe occuparsi di come funziona male l’Italia di oggi. Della mancanza delle leggi-quadro sulle materie di competenza concorrente, a cominciare dalla sanità; dei continui conflitti Stato-Regioni; della mancata attuazione di quasi tutte le norme sul finanziamento di regioni e comuni (da sistemare, come promesso con il Pnrr, entro il 2026). Accogliendo l’invito della Corte “a operare in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione”. Potrebbe essere un tema interessante di discussione programmatica per le forze di opposizione.

Autonomia dimezzata, il costituzionalista Villone: “Calderoli dice bugie, ha perso: Cassese&C. adesso si vergognino”

Il professore – “Sui quesiti nessuno stop dai promotori, deciderà la Cassazione”  

Lorenzo Giarelli   16 Novembre 2024

“Calderoli sta facendo una sceneggiata, ma ha perso. E nel comitato Lep dovrebbero vergognarsi”. Massimo Villone, costituzionalista tra i primi a organizzare la battaglia contro l’autonomia, non ha dubbi: la sentenza della Corte costituzionale, per quel che si può capire dal comunicato di ieri, fa a pezzi il ddl Calderoli, il quale “mente sapendo di mentire” anche quando liquida come “superato” il referendum abrogativo dell’intera legge per cui tanto si è speso Villone.

Professor Villone, Calderoli dice che la Consulta ha salvato la legge. È così?

Il ministro mente sapendo di mentire, in fondo anche io al suo posto metterei in piedi una sceneggiata a beneficio del pubblico. Fa come se nulla fosse successo, ma uno come lui non può non sapere che sta cercando di vendere un prodotto avariato.

È vero che, finché il Parlamento non interviene, la legge resta in piedi e le trattative con le Regioni possono andare avanti?

La Corte ha dichiarato incostituzionali diverse parti del ddl e le integrazioni che farà il Parlamento dovranno rispettare le indicazioni dei giudici. Capisco non voglia dire di aver perso la partita, ma le trattative con le Regioni non possono non tenere conto della legge e in questo momento la legge non c’è, perché la Consulta ha detto che così com’è non va bene. È soltanto scena.

Che ne sarà del Comitato dei Lep? La Consulta richiama a una maggior centralità del Parlamento.

C’è un problema di procedure. Non so quanto starà in piedi questo comitato, ma io inizierei a vergognarmi, perché Cassese e gli altri esperti sono una parte del problema. Soprattutto per quanto emerso, visto che l’orientamento sarebbe stato quello di stabilire dei Lep differenziati a seconda delle Regioni. Va ripensato tutto questo sistema.

Zaia e Fontana sostengono che il Parlamento interverrà coi correttivi e il loro progetto andrà a meta come nulla fosse. Hanno ragione?

Nel comunicato della Corte è importante concentrarsi sia sulla dichiarazione di incostituzionalità delle singole disposizione, sia sulle considerazioni generali. Sulle prime è chiamato a intervenire in Parlamento, che potrà riempire i buchi che si sono creati, ma la cornice individuata dalla Consulta è fatta di alcuni principi fondamentali, dalla sussidiarietà all’uguaglianza e all’unità della Repubblica. La Corte ci dice come dev’essere l’autonomia per essere coerente con la Costituzione. Il trasferimento di funzioni non può essere un supermercato dove ogni Regione arriva e si prende quel che vuole, in blocco e senza “giustificazione”.

Anche sulle materie non Lep quindi ci sono dei limiti.

Certo, queste considerazioni valgono per tutte le materie. Non è che siano esentate dalla vigilanza e a disposizione dei satrapi regionali.

Cosa succede ai referendum?

Sui quesiti di abrogazione parziale dovremo aspettare di leggere la sentenza. Su quello che abroga la legge per intero invece non credo che, come sostengono Zaia e Calderoli, il referendum sia superato.

Come mai?

Il meccanismo dei referendum è in larga misura automatico. Mi spiego: non è che adesso qualcuno dei promotori si può svegliare a dire “abbiamo scherzato, torniamo indietro”. Il ruolo dei promotori è di tramite, ma ci sono 1 milione e 300 mila firme che hanno sostenuto i quesiti. Non ci sarà nessuno stop né da parte dei comitati promotori né di nessun altro, l’unica verifica spetta alla Cassazione.

Cosa deve stabilire?

Se alla luce della sentenza e di eventuali modifiche del Parlamento il quesito resta valido. A quel punto, la Consulta torna a esprimersi sulla ammissibilità. Ma è lo stesso Calderoli a contraddirsi: dice che può andare avanti con le intese, dunque a maggior ragione il referendum abrogativo dovrebbe poter restare in piedi. In ogni caso è stato decisivo procedere sia coi ricorsi delle Regioni che col referendum.

Perché?

In questo modo la Consulta specifica non solo che vigilerà sulle intese tra Stato e singole Regioni, ma fornisce anche dei principi che dovranno valere per il futuro, per qualsiasi legge sull’autonomia. Se ci fossimo limitati ad abrogare la legge Calderoli col referendum, ci saremmo salvati da quella ma senza avere paletti per i prossimi tentativi.

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