TUTTE IN STRADA. CORTEI INCLUSIVI IN 39 CITTÀ: UNA GIORNATA STORICA da IL MANIFESTO
Tutte in strada. Cortei inclusivi in 39 città: una giornata storica
L’OTTO MARZO. La mobilitazione indetta da NonUnaDiMeno incontra le istanze delle attiviste con disabilità: da Sud a Nord, per la prima volta le manifestazioni si dotano di strumenti per diventare accessibili. Le voci di Marta Migliosi e Ambra Zega
Lucrezia Ercolani 08/03/2024
La lista delle piazze sembra non finire mai: sono 39 le città a mobilitarsi oggi, da Cuneo a Gela, passando per Cagliari, Brindisi e Messina – finalmente il Sud non è sottorappresentato – per arrivare ai centri più grandi, Roma Milano Napoli Firenze Torino Bologna. La chiave di questa giornata di lotta sembra essere l’unione delle forze nella pluralità del loro esprimersi, senza lasciare nessuna indietro, come sottolinea già il nome della grande piattaforma NonUnaDiMeno, il collettivo espanso che dal 2017 ha scelto di interpretare la ricorrenza dell’otto marzo come uno sciopero transfemminista.
LE RAGIONI per scendere in piazza quest’anno sono forse ancora più numerose del solito. Un governo di destra dove la prima premier donna è uno specchietto per le allodole rispetto a politiche ben poco inclusive. La guerra in Medio oriente e in Ucraina il cui conto si presenta anche e soprattutto sui corpi delle donne. E poi, l’ondata di indignazione e la rabbia che ancora respiriamo per l’uccisione di Giulia Cecchettin, con mezzo milione di persone accorse a manifestare contro la violenza patriarcale lo scorso 25 novembre.
Se ne potrebbero aggiungere molte altre di ragioni. Una di queste è che, per la prima volta, tutti i cortei si sono dotati di strumenti per rendersi accessibili alle persone con disabilità. Una piccola rivoluzione partita da una lettera aperta scritta da due attiviste, Asya Bellia e Marta Migliosi. Quest’ultima, raggiunta al telefono, afferma: «Tutto è iniziato con la manifestazione del 25 novembre: anch’io volevo venire al corteo a Roma, ma alle domande sulle caratteristiche del percorso, sulla presenza di un’assistenza, sulle barriere architettoniche, non avevo avuto alcuna risposta.
E se i cortei non sono accessibili, ciò denota una mancanza di ascolto». Il cuore della lettera era proprio il racconto della difficile esperienza che alcune attiviste con disabilità avevano vissuto in piazza quel giorno, nella migliore tradizione femminista del personale che si fa politico, facendosi portavoce di un’istanza condivisa da molte. «Quello che volevamo era che le pratiche venissero messe in discussione. Se si prende coscienza dell’abilismo imperante, si vedrà che le persone socializzate come donne che hanno una disabilità sono maggiormente esposte all’oppressione patriarcale, così come si metterà in questione il livello di produttività a cui siamo costrette al lavoro. È una presa di parola, e anche per questo vogliamo manifestare» racconta ancora Migliosi.
La buona notizia è che la dura critica che la lettera indirizzava al movimento è stata recepita e ha innescato un processo di confronto. «Abbiamo deciso di coinvolgere le associazioni e i collettivi che promuovono la tutela dei diritti delle persone con disabilità e il loro diritto all’indipendenza e all’autonomia, come Disability Pride con cui abbiamo collaborato». A raccontarlo è Ambra Zega, del gruppo Accessibilità a cura di NonUnaDiMeno Roma. «Vogliamo sia chiaro, nel nostro collettivo sono bandite le espressioni di pietismo e commiserazione. Siamo persone che vogliono lottare e manifestare, prima ancora che disabili. Siamo esseri umani e tutti gli esseri umani, bene o male, sono portatori sani di diversità e di complessità. Tutti devono essere inclusi».
UNA PROSPETTIVA che mette in discussione un certo modo di stare in piazza, un atteggiamento muscolare o testosteronico di occupare lo spazio, in favore di una propensione alla cura – il che non significa «ammorbidire» la contestazione. «Tutti gli esseri umani hanno diritto di manifestare il proprio dissenso e li dobbiamo mettere nelle migliori condizioni per farlo, perché così avviene il cambiamento culturale» spiega ancora Zega.
Per mettere in pratica questi principi, a Roma come in altre piazze, è stata lanciata una chiamata per persone che si volessero rendere disponibili per fornire assistenza durante il corteo. «Chiunque, nel proprio piccolo, può dare un contributo significativo a una persona che ha delle necessità. E poi ci sono anche persone specializzate, operatori socio sanitari, insegnanti di sostegno, educatori e logopedisti, interpreti di lingua dei segni. Abbiamo avuto una grande adesione». I volontari e le volontarie saranno riconoscibili per una fascetta bianca al braccio e al Circo Massimo saranno riuniti dietro lo striscione «Disability Pride Network».
Nel percorso sono stai previsti dei punti di decompressione dove chi soffre di disturbi di ipersensibilità si potrà riposare dagli stimoli del corteo, sarà resa disponibile una mappa dove saranno segnati i bagni accessibili e le panchine. Il camion avrà a disposizione una pedana e l’aiuto umano sarà determinante per superare le barriere architettoniche di una città difficile come Roma. Tutti gli interventi saranno poi tradotti in tempo reale in Lis.
«L’INCLUSIVITÀ è diventata finalmente un tema politico ma il punto è che vogliamo poter andare in piazza! – afferma Migliosi – Anche la storia, credo, può aiutarci. Fino alla fine degli anni ’80 le persone trans e queer non erano visualizzate all’interno del movimento femminista. Ora sta accadendo lo stesso tipo di fenomeno: abbiamo chiesto anche noi di entrare, di esserci». La giornata di oggi, insomma, sarà storica. Abbattere non solo più con i discorsi ma anche con la pratica i muri che ancora discriminano, mettere in discussione i canoni che rendono un corpo accettabile o abbastanza performante per una protesta. I frutti che stiamo raccogliendo dal movimento transfemminista sono sempre più preziosi.
Ribaltare il patriarcato conviene. Anche agli uomini
GENDER GAP. Si stima in quasi 99 miliardi di euro all’anno il costo dei comportamenti virili antisociali sull’economia italiana, pari al 5% del Pil. Inoltre, molti non chiedono aiuto così le depressioni sono sotto diagnosticate e sotto trattate
Azzurra Rinaldi 08/03/2024
Nella Giornata Internazionale della Donna, parliamo di uomini. Potrà sembrare un controsenso, ma non lo è. Questa giornata (che, ricordiamolo, non è una festa) è l’occasione per rimarcare ancora una volta i pregiudizi che colpiscono le donne ancora in tutto il mondo: secondo l’ultimo Global Gender Gap Report del World Economic Forum, non c’è neppure un paese nel quale siano state superate tutte le discriminazioni di genere.
MA L’OTTO MARZO è anche un momento di rivendicazione: ogni anno, Non Una Di Meno indice lo sciopero della cura e del lavoro retribuito per dimostrare che il paese, senza tutti i lavori delle donne, si fermerebbe. Non è un tema solo italiano ovviamente. Secondo Oxfam, il valore del lavoro di cura fornito gratuitamente dalle donne a livello mondiale (occuparsi dei figli e delle figlie, della casa, dei genitori propri e altrui, solo per fare qualche esempio), se venisse monetizzato, ammonterebbe circa a 12mila miliardi di dollari all’anno. E invece rimane invisibile. Perché il lavoro delle donne viene dato per scontato, a causa di una divisione di genere del lavoro retribuito e di quello non retribuito che si basa solidamente sugli stereotipi. Ma forse, l’otto marzo può anche essere un momento per costruire un ponte. Nel corso degli ultimi anni, il supporto degli uomini alla causa della parità di opportunità si sta facendo sempre più ampio e visibile. E da qui forse possiamo e dobbiamo partire per costruire una nuova alleanza. Anche evidenziando un dato incontrovertibile: il patriarcato fa malissimo alle donne, letteralmente le uccide, ma anche agli uomini non è che faccia un granché bene.
SONO SEMPRE PIÙ numerose le ricerche, nazionali e internazionali, che dimostrano per esempio che il mito della virilità, che vuole l’uomo sempre forte e monolitico, esercita impatti sulla salute degli uomini che da individuali si fanno collettivi. Sul Journal of Public Health, per esempio, è stato pubblicato l’esito di una ricerca scientifica che sottolinea la maggiore consapevolezza delle donne rispetto alla prevenzione e a tutti quei comportamenti che tendono a proteggere, per quanto possibile, dal rischio di ammalarsi. Mentre gli uomini, che sono chiamati ad aderire a uno stereotipo che li vuole mai fragili, ricorrono con minore frequenza alle cure dei medici e alla prevenzione in generale. Dati confermati anche dal Report realizzato dall’istituto guidato da Nando Pagnoncelli per la Fondazione Pro e intitolato «La salute maschile: stile di vita e abitudini di prevenzione degli uomini italiani»: per ogni singolo uomo che effettua controlli periodici, le donne che fanno lo stesso sono circa 30.
IL TEMA si fa ancora più delicato, poi, quando si parla di salute mentale. Un’educazione patriarcale tende ad allontanare l’uomo dall’esplorazione delle proprie emozioni, come dimostrano Daniele Coen e Valeria Raparelli, autori di Quella voce che nessuno ascolta. Molti uomini non chiedono aiuto, le loro depressioni sono spesso sotto diagnosticate e sotto trattate. È un cambio di prospettiva, certo, quello che qui stiamo proponendo. Vista così, la situazione che deriva da una società patriarcale è sconsolante anche per gli uomini. Non fa bene a nessuno nemmeno sotto il profilo meramente economico. Il fatto di controllare di meno il proprio stato di salute è solo una delle facce della medaglia complessa dei comportamenti legati a una concezione esasperata di virilità.
LO DIMOSTRA Ginevra Bersani Franceschetti, nel suo bel libro Il costo della virilità: solo in Italia, gli uomini sono il 92% degli imputati per omicidio, il 99% degli autori di stupri, l’83% dei responsabili di incidenti stradali mortali, l’87% dei colpevoli di abusi su minori, il 96% della popolazione mafiosa, il 92% degli evasori fiscali, il 93% degli spacciatori. Bersani Franceschetti stima a quasi 99 miliardi di euro all’anno il costo dei comportamenti virili antisociali sull’economia italiana per il 2019. Parliamo del 5% del Prodotto Interno Lordo italiano. O 1.700 euro a persona, ogni anno.
RIPARTIAMO DA QUI. Ripartiamo da un ribaltamento degli stereotipi patriarcali. Non solo di quelli che vogliono le donne fragili e vulnerabili. Ma anche di quelli che vogliono gli uomini forti e invincibili. Secondo una recente ricerca della California State Univerisity di Long Beach, i padri più presenti nella cura dei figli e delle figlie godono di salute migliore: hanno meno possibilità di soffrire di depressione e rivelano livelli di felicità più elevati rispetto a quelli che non lo fanno. E allora, ripartiamo dalla cura, dalla condivisione. Costruiamo un sistema nuovo insieme, che faccia il bene di tutte e di tutti.
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