TIRO ALLA FAME: “LA STRAGE DEGLI INNOCENTI” da IL MANIFESTO
114 uccisi, la strage degli affamati: spari su chi cercava pane
GAZA. Israele. morti per la calca. Poi l’esercito ammette di aver aperto il fuoco sulla folla che circondava i camion umanitari
Michele Giorgio 01/03/2024
Le ambulanze non bastavano ieri. Molti corpi di morti e feriti li hanno caricati su carretti tirati da asini, altri sulle poche auto disponibili, altri ancora sui rimorchi degli autocarri che avevano portato gli aiuti umanitari. «La sparatoria è stata indiscriminata, (i soldati israeliani) hanno sparato alla testa, alle gambe, all’addome», racconta Ahmed, 31anni, uno dei feriti e testimone di quei minuti insanguinati in cui si è consumata la strage, una delle peggiori dall’inizio dell’offensiva israeliana di terra a Gaza alla fine di ottobre. Nessuno sa quanti palestinesi siano rimasti uccisi ieri mentre albeggiava alla rotatoria Nabulsi in via Rashid a Gaza city. Almeno 114 secondo un bilancio diffuso nel pomeriggio. Molti feriti sono in condizioni critiche e considerando che nel nord della Striscia gli ospedali non sono più operativi, perché privi di tutto, non pochi di questi sono destinati a morire.
La versione israeliana, come previsto, addossa tutta la responsabilità dell’accaduto ai palestinesi. «Questa mattina (ieri) i camion degli aiuti umanitari sono entrati nel nord di Gaza, i residenti li hanno circondati e hanno saccheggiato i rifornimenti in consegna. In seguito agli spintoni, al calpestio e perché investiti dai camion, numerosi abitanti di Gaza sono rimasti uccisi e feriti», ha scritto il portavoce militare. Che poi ha ammesso che i soldati del vicino posto di blocco «hanno aperto il fuoco quando si sono sentiti in pericolo per l’avvicinarsi della folla». E ha anche diffuso un video, ripreso forse da un drone, che mostra centinaia di puntini (i civili palestinesi) che si ammassano intorno ad autocarri. Immagini che non dicono granché. I palestinesi invece raccontano che, come accade spesso in questi casi, una gran numero di persone sin dalla prime ore del giorno si erano riunite in via Rashid in attesa di un convoglio di aiuti umanitari. Nel nord della Striscia e a Gaza city manca tutto, a cominciare dal cibo, e la gente affamata aspetta gli aiuti e altri generi di prima necessità come se fosse l’ultima possibilità di vita. Non si trattava di un convoglio dell’Onu o di Ong internazionali. Erano trenta autocarri con rimorchio organizzati da privati con il via libera dal Cogat, il coordinamento degli affari civili dell’esercito israeliano. Erano entrati a Gaza attraverso il valico di Kerem Shalom di notte e hanno proseguito verso nord. Una volta superati i posti di blocco militari, hanno raggiunto intorno alle 4 il quartiere di Rimal dove sono stati circondati dalla folla di affamati, persone che non mangiano tutti i giorni e che devono lottare anche per l’acqua potabile. Procurarsi la farina per preparare il pane è fondamentale per molti di quelli che di solito assaltano i camion: a Gaza il flusso di autocarri provenienti dall’Egitto si è ridotto a febbraio rispetto al mese precedente. Ammar Helo, un palestinese di 30 anni sopravvissuto alla strage di ieri, ha detto al portale Middle East Eye che andrà ogni volta che arriveranno i camion degli aiuti nonostante il rischio di morire: «Non abbiamo pane, non abbiamo farina, mangiamo il mangime per gli animali e sta finendo anche quello, tutta Gaza è distrutta, un terremoto mandato da Dio sarebbe stato meglio».
È probabile che nella calca alcuni siano rimasti uccisi o feriti, ma nei video che circolavano ieri si possono sentire bene le lunghe, interminabili raffiche di mitra sparate dai militari israeliani e non solo alle gambe come invece affermano le fonti militari. «Abbiamo ricevuto 70 corpi di martiri e decine di feriti e non mostravano i segni tipici di persone calpestate o morte per soffocamento come escoriazioni, contusioni, schiacciamento del torace e di altre parti del corpo», ha raccontato il dottor Jadallah al Shafi dell’ospedale Shifa, il più grande di Gaza assaltato a novembre che di recente è riuscito a riabilitare tre sale operatorie. «Abbiamo ricevuto persone che erano state colpite da proiettili, talvolta in più parti del corpo, alla testa, al torace e alle gambe, da fuoco indiscriminato», ha aggiunto. Fares Afana, capo del servizio di emergenza dell’ospedale Kamal Adwan di Gaza, ha riferito che i soccorritori hanno trovato «centinaia di corpi distesi a terra».
Una fonte coinvolta nelle operazioni umanitarie a Gaza ha spiegato al manifesto che le agenzie internazionali hanno in più occasioni detto al Cogat israeliano che, alla luce delle condizioni della popolazione nel nord di Gaza, è preferibile scaglionare l’arrivo dei camion nei punti di distribuzione nel corso di diverse ore, in modo da evitare che si creino folle con centinaia se non migliaia di persone. «Le autorità israeliane non ci ascoltano e (ieri) hanno fatto arrivare un convoglio molto lungo, di 30 camion. La coda era a breve distanza dal posto di blocco militare, quando la folla si è avvicinata agli ultimi autocarri per prendere gli aiuti, i soldati hanno fatto fuoco», ha detto la fonte. «Non ci sono parole per descrivere gli orrori che si stanno svolgendo davanti ai nostri occhi a Gaza, ha commentato il commissario per i diritti umani delle Nazioni unite, Volker Türk.
Il massacro degli affamati di Gaza ha spinto il bilancio di palestinesi uccisi dalle forze armate israeliane ben oltre 30mila (il segretario alla Difesa Usa Lloyd Austin, davanti alla commissione per le Forze Armate della Camera, ha detto che oltre 25.000 donne e bambini palestinesi sono morti dal 7 ottobre). E quel numero continuerà a salire. Durante una visita nel nord di Gaza, il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha ribadito che «La guerra non si fermerà finché Hamas non sarà smantellato…Solo su una cosa saremo disposti a fare delle concessioni, se dovessimo farle, e questo per quanto riguarda gli ostaggi». E ha confermato che «L’esercito si sta preparando all’operazione contro Rafah». Joe Biden ha ammesso che il cessate il fuoco temporaneo che lui stesso aveva previsto per lunedì prossimo «improbabile».
L’Europa coloniale vede solo macchie nere
ISRAELE/PALESTINA. Viste dall’alto sembrano formichine le vittime della strage degli affamati. Sono persone. Gaza è una tomba, lo è anche dell’incapacità di dare un nome alle cose. Certe parole fanno paura all’Europa che non si interroga sul loro senso e la loro pratica: razzismo, colonialismo, suprematismo, a Gaza ci sono tutte. Anche genocidio
Chiara Cruciati 01/03/2024
Viste dall’alto, sembrano formichine. Puntini che si muovono avanti e indietro, chi più veloce, chi meno. Corpi indistinguibili si ammassano, macchie nere. Sembrano formichine, o stormi di uccelli. Vista da un drone dell’esercito israeliano, la folla di affamati sulla rotonda al-Nabulsi non sembra fatta di persone.
È vista da lontano, la stessa distanza che definisce l’anestesia collettiva. Se si scende sulla terra, i volti si distinguono. Nei video le facce sono bianche di morte e farina, file di cadaveri su carretti trainati dagli asini e sul retro di furgoncini.
ORMAI FANNO da ambulanza, o carro funebre. Alcuni hanno sangue raggrumato intorno alle tempie. Visti da vicino sono persone. Ascoltate da vicino, le testimonianze interrogano su quel che resta della nostra capacità di dare un nome alle cose. «Non volevo portare mio figlio Mahmoud, ma non avevamo niente da mangiare. Ho detto: andiamo, prendiamo un sacco di farina e mangiamo per alleviare la nostra fame. Il mio amato figlio è morto affamato».
Dicono che i più fortunati sono quelli morti il primo giorno di guerra: non hanno assistito alla barbarie venuta dopo. 30mila uccisi significa un gazawi su 75. Con 10mila dispersi e 70mila feriti, significa che un palestinese di Gaza su 20 è morto, ferito o disperso. Poi ci sono i vivi, ma la fame usata come arma non lascia scampo all’anima: come si risolleverà una popolazione che da cinque mesi è umiliata, disumanizzata e terrorizzata?
Gaza è una tomba, lo è anche dell’incapacità di dare un nome alle cose. Certe parole fanno paura all’Europa che non si interroga sul loro senso e la loro pratica. Razzismo, colonialismo, suprematismo: a Gaza ci sono tutte. Anche genocidio.
SI DISCUTE da settimane – giuristi, storici, giornalisti – se vada chiamato genocidio, se quanto avviene rientri nell’articolo 2 della Convenzione del 1948, «l’intenzione di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso» attraverso uccisioni, lesioni gravi, condizioni di vita intese a provocare la distruzione fisica totale o parziale, impedimento alle nascite.
La Corte internazionale di Giustizia l’ha chiamato «genocidio plausibile» e ha concesso a Israele un mese per smetterla, qualsiasi cosa sia. Il mese è passato, ed è stato uno dei peggiori. La fame avvolge Gaza come un sudario. Si deve scegliere, morire di fame o del tentativo disperato di procacciarsi del cibo. Che nome vogliamo dargli?
No Comments