SISSIGNORE SIGNORE! da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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SISSIGNORE SIGNORE! da IL MANIFESTO

Meloni alla Casa bianca, addio Via della Seta

STATI UNITI/ITALIA. La presidente incontra Biden: sul tavolo il ritiro dell’Italia dal memorandum con la Cina. Ma anche il riarmo e il prestito alla Tunisia

Andrea Colombo  27/07/2023

Dovrebbero essere esattamente le 15 ora locale, le 21 in Italia, quando Giorgia Meloni metterà per la prima volta piede nello studio ovale per il faccia a faccia con il presidente Biden, che proseguirà poi allargato alle rispettive delegazioni. In mattinata la premier italiana incontrerà i leader dei gruppi del Senato e della Camera e prima di recarsi alla Casa bianca risponderà alle domande dei giornalisti in coppia con lo speaker della Camera, Kevin McCarthy.

LA COREOGRAFIA, inclusa la visita di domani al cimitero militare di Arlington e l’omaggio alla tomba del milite ignoto, è d’obbligo. Le incognite riguardano solo l’incontro chiave con Joe Biden. Washington per i premier italiani è sempre la tappa più importante, spesso anche difficile. Giorgia Meloni però non ha di che preoccuparsi: sarà ricevuta con tutti gli onori e con la massima cordialità. Un anno fa per la Casa bianca era un’illustre sconosciuta e quel poco che se ne sapeva destava perplessità e sospetti. Oggi è la beniamina del presidente a stelle e strisce, la leader del governo più allineato con gli Usa tra i Paesi occidentali della Ue. Merito della sterzata filoatlantista della leader sovranista, andata oltre le più ottimistiche attese di Washington.

NELLO STUDIO ovale si parlerà certo molto di Russia e Ucraina e l’esito non riserverà nessunissima sorpresa ma si parlerà soprattutto di Cina e anche un po’ d’Africa. Anzi, negli auspici della ex underdog di Africa si dovrebbe parlare molto. Ma sul piatto forte non ci sono dubbi: sarà la Cina e il presidente americano non chiederà solo una conferma, più precisa e dettagliata, della decisione italiana di denunciare il memorandum firmato nel 2019 da governo Conte 1 con Pechino, altrimenti detto la via della Seta. Biden insisterà perché l’Italia non rinunci solo agli investimenti cinesi in Italia ma anche per bloccare la strada in senso inverso, quello degli investimenti italiani.

LA PARTNER italiana, oltre a chiedere tempi non ultimativi per arretrare dagli accordi, segnalerà anche con urgenza la necessità di trovare protezione dalle rappresaglie economiche cinesi che di fatto sono già state minacciate nell’articolo-monito del Global Times di due giorni fa. Quello nel quale, oltre a dire chiaramente che «sulla via della Seta Meloni deve decidere senza subire l’influenza di Biden», si specificava che «se l’Italia decide di ritirarsi ci sono tutte le ragioni per essere preoccupati del potenziale impatto negativo». Insomma, denuncia del memorandum e uscita dalla via della Seta sì ma con la garanzia che l’Italia non sarà lasciata sola e quasi certamente senza annunci ufficiali subito per non guastare del tutto e troppo presto i rapporti con Pechino.

Per quanto riguarda l’Africa la strada è meno in discesa. Certo, la Casa bianca apprezza la strategia italiana, il “piano Mattei”, il tentativo di Meloni di farsi regista di un progetto di investimenti il cui obiettivo è in larga misura quello di contrastare la presenza cinese in quel continente. Ma di qui a esercitare le pressioni del caso sul Fmi perché si decida a concedere il prestito alla Tunisia senza aver prima ottenuto le riforme-capestro richieste a Saied ce ne passa. Nei lavori diplomatici che hanno preparato l’incontro, gli Usa non sono arretrati di un centimetro: «La concessione del prestito dipende da Saied», cioè dall’accettazione delle riforme draconiane chieste dal Fondo. La premier italiana però non si sarebbe ancora arresa. Nel colloquio di oggi, probabilmente, cercherà un modo per aprire almeno uno spiraglio che possa portare in tempi brevi alla salvezza della Tunisia. Solo con un risultato, anche modesto, su quel fronte Meloni tornerebbe da Washington potendo vantare un successo che innalzerebbe di molti gradini il suo ruolo nell’Unione europea. Senza contare la necessità di evitare un flusso migratorio biblico in caso di default della Tunisia.

C’È UN ULTIMO punto sul quale Biden probabilmente insisterà: il riarmo. L’Italia, come tutta l’Europa, ha già accolto sulla carta la richiesta Nato di innalzare le spese militari sino al 2% del Pil, ma senza fissare tempi precisi. Per gli Usa, però, è importante che il riarmo parta presto e proceda a passo di carica.

La Cina mette in guardia da scelte «geopolitiche»

PATTO ATLANTICO. Sul Global Times si elencano i risultati positivi dell’iniziativa. Per salvare l’etichetta l’uscita dalla Belt and Road non andrà annunciata in Usa

Lorenzo Lamperti, TAIPEI  27/07/2023

«Ci auguriamo che Giorgia Meloni abbia un atteggiamento sobrio e non si lasci trasportare dalla geopolitica». L’auspicio è stato espresso dal Global Times, il tabloid nazionalista cinese, alla vigilia della visita della premier italiana negli Stati uniti. Nel mirino della Cina ci sono eventuali annunci sulla Belt and Road Initiative, la cosiddetta Via della Seta da cui più volte la leader di Fratelli d’Italia ha detto di voler uscire.

UNA CERTEZZA granitica in campagna elettorale diventata in realtà più soffusa una volta entrata a Palazzo Chigi, soprattutto in seguito al positivo incontro con Xi Jinping a margine del G20 di Bali. Ma il dado è tratto, la seta sembra destinata a sgualcirsi. Nonostante gli avvertimenti cinesi. «La cooperazione pratica e i risultati visibili in ambito Belt and Road continuano ad aumentare e la narrativa secondo cui la cooperazione sarebbe futile è priva di fondamento» ha dichiarato sempre al Global Times l’ambasciatore cinese in Italia Jia Guide. Il diplomatico sostiene che dopo la firma del memorandum «il livello strategico dei rapporti bilaterali è aumentato, così come la posizione prioritaria dell’Italia nelle relazioni internazionali cinesi». Pechino elenca gli ultimi risultati della cooperazione. A partire dal viaggio di prova della prima nave da crociera su larga scala costruita congiuntamente per quasi 5 miliardi di dollari, passando all’accordo da 3,2 miliardi siglato tra un’azienda cinese e la STMicroelectronics, compagnia di semiconduttori italo francese partecipata dal ministero dell’Economia e delle finanze. Mao Ning, portavoce del ministero degli Affari Esteri, ha dichiarato che «è nell’interesse di entrambe le parti sfruttare ulteriormente il potenziale dell’accordo sulla Belt and Road».

FINORA non si è pienamente espresso. Nel 2019 le esportazioni italiane sono persino calate. Per poi alzarsi nel 2020 e nell’ultimo biennio, passando dai 14,5 miliardi di dollari circa ai 18,5 miliardi. Ma nello stesso periodo è aumentato in maniera più netta l’export cinese verso l’Italia. Si è passati dai 34 miliardi di dollari del 2019 agli oltre 50 del 2022. Segnale che la bilancia commerciale che si voleva riequilibrare è ancora più sbilanciata. E proprio negli ultimi mesi il ritmo delle esportazioni italiane verso la seconda economia mondiale pare aumentato. Da Pechino fanno notare che fino a qui ci si è messa di mezzo prima la pandemia e poi la guerra in Ucraina. Lasciando implicita la ritrosia italiana, che aveva mostrato i primi segni su telecomunicazioni e spazio già col Conte bis. Per poi ampliarsi a suon di golden power col governo Draghi. Con Meloni, lo scetticismo sembra suo malgrado sfociare sul piano strategico per la necessità di mostrare affidabilità agli Usa.

VOLENTI O NOLENTI, l’ormai scontata uscita dall’accordo sarà letta da Pechino come una scelta politica. Così come era accaduto al momento della firma. E per questo l’Italia si espone a possibili ripercussioni e ritorsioni. Diventa allora decisivo il momento in cui questa scelta verrà comunicata. Se ciò avvenisse alla Casa bianca, la Cina lo vivrebbe come un affronto personale. Se invece si attendesse un confronto diretto le turbolenze potrebbero essere contenute. In tal senso potrebbe essere letta la probabile trasferta cinese di settembre del ministro degli Esteri Antonio Tajani. L’etichetta della Via della Seta andrà anche tolta per mostrarsi affidabili a Washington, ma la Cina vuole almeno che venga garantita l’etichetta istituzionale.

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