SIAMO IL PAZIENTE IN RIANIMAZIONE CHE ASPETTA IL DISASTRO INCOMBENTE da IL MANIFESTO e IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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SIAMO IL PAZIENTE IN RIANIMAZIONE CHE ASPETTA IL DISASTRO INCOMBENTE da IL MANIFESTO e IL FATTO

Dissesto, il 93% dei comuni è a rischio

FRANITALIA. L’allarme reiterato dall’Ispra: nonostante la fragilità il Belpaese continua a manomettere e consumare il suolo con altro cemento

Luca Martinelli  27/11/2022

La mappa dell’isola di Ischia sul portale IdroGEO del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa) è molto marrone e molto rossa: significa che il 60 per cento del territorio è classificata a rischio molto elevato o elevato di frana. Oltre 2mila abitanti, un quarto della popolazione di Casamicciola, il più colpito dall’alluvione di venerdì notte, vive in aree in cui il rischio frana è significativo: fa impressione, infatti, sovrapporre questa mappa a quella che lo stesso Snpa dedica al consumo di suolo, che dà conto della straordinaria densità edilizia dell’isola nel golfo di Napoli, dove resta verde (non urbanizzata) solo l’area centrale, quella montuosa.

LA SITUAZIONE A ISCHIA è straordinaria (nella città metropolitana di Napoli vive in aree a pericolosità elevata o molto elevata poco più del 3 per cento della popolazione), ma non rappresenta un’eccezione: complessivamente il 93,9% dei comuni italiani (7.423) è a rischio per frane, alluvioni e/o erosione costiera. Ben 1,3 milioni di abitanti sono a rischio frane (13% giovani con età inferiore ai 15 anni, 64% adulti tra 15 e 64 anni e 23% anziani con età maggiore di 64 anni) mentre 6,8 milioni di abitanti sono a rischio alluvioni. Le regioni con i valori più elevati di popolazione a rischio frane e alluvioni sono Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Veneto, Lombardia, e Liguria. Le famiglie a rischio sono quasi 548.000 per frane e oltre 2,9 milioni per alluvioni. Su un totale di oltre 14,5 milioni di edifici, quelli ubicati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata sono oltre 565.000 (3,9%), quelli ubicati in aree inondabili nello scenario medio sono oltre 1,5 milioni (10,7%). Questi dati sono contenuti nel Rapporto 2021 sul dissesto idrogeologico, che valorizza i dati raccolti dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) nell’Inventario dei fenomeni franosi in Italia (Iffi), una banca dati nazionale e ufficiale sulle frane la cui necessità – si legge sul sito «è emersa con maggiore forza a seguito dell’evento disastroso del 5 maggio 1998, che ha colpito gravemente i comuni di Sarno, Siano, Quindici, Bracigliano e S. Felice a Cancello, nelle province di Salerno, Avellino e Caserta».

VENTICINQUE ANNI DOPO sappiamo tutto sul dissesto, pubblichiamo mappe dettagliatissime a disposizione di chiunque sul web, ma non interveniamo per ridurre i fattori di rischio, resi ancor più pericolosi dall’aumento dell’incidenza degli eventi estremi, per effetto dei cambiamenti climatici. Primo, fra tutti, il consumo di suolo: anche a Casamicciola e negli altri comuni ischitani si è continuato a costruire, come evidenzia la serie storica pubblicata da Ispra e che fa riferimento agli anni dal 2006 al 2021, nei quali la superficie antropizzata è aumentata sull’isola.

IN ITALIA DOPO UNA FRENATA legata al Covid il 2021 ha visto l’impermeabilizzazione di 19 ettari al giorno, il valore più alto negli ultimi dieci anni e una velocità che supera i 2 metri quadrati al secondo: in tutto, a fine anno si sono sfiorati i 70 km2 di nuove coperture artificiali in un solo anno, secondo il rapporto presentato a luglio 2022 da Ispra. Il cemento ricopre ormai 21.500 km2 di suolo nazionale, dei quali 5.400, un territorio grande quanto la Liguria, riguardano i soli edifici, che rappresentano il 25% dell’intero suolo consumato. Tra il 2006 e il 2021, in tutto, il Belpaese ha perso 1.153 km2 di suolo naturale o seminaturale, con una media di 77 km2 all’anno, a causa principalmente dell’espansione urbana e delle sue trasformazioni collaterali. Quelle che, rendendo il suolo impermeabile, oltre all’aumento degli allagamenti e delle ondate di calore, provoca la perdita di aree verdi, di biodiversità e dei servizi ecosistemici, con un danno economico stimato in quasi 8 miliardi di euro l’anno.

EPPURE, A DIECI ANNI dall’avvio di una discussione per una legge sul consumo di suolo, su iniziativa dell’allora ministro per l’Agricoltura Mario Catania, l’Italia non ha ancora messo un freno all’espansione edilizia. E non l’ha fatto nonostante l’incidenza sempre più significativa degli eventi estremi, come ricorda anche l’ultimo rapporto di Legambiente di cui abbiamo dato conto sul manifesto dieci giorni fa: dal 2010 al 31 ottobre 2022 si sono verificati in Italia 1.503 eventi estremi, con 780 comuni colpiti e 279 vittime. Tra le regioni più colpite: Sicilia (175 eventi estremi), Lombardia (166), Lazio (136), Puglia (112), Emilia-Romagna (111), Toscana (107) e Veneto (101). Negli ultimi 9 anni – stando ai dati disponibili da maggio 2013 a maggio 2022, rielaborati dall’associazione ambientalista – sono stati assegnati 13,3 miliardi di euro iper le emergenze meteoclimatiche. Il nodo è questo: l’Italia continua a rincorrere le emergenze senza una strategia chiara di prevenzione; il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (PNACC) è in bozza. Dal 2018.

Invece che cambiare stile di vita siamo disposti a cambiare pianeta. Usciamo dalla trappola!

Luigi Gallo  26/11/2022

Il 2022 non è un anno qualsiasi. È l’anniversario della pubblicazione dello storico report The limits to growth commissionato dal Club di Roma e realizzato dai ricercatori del MIT, ma è chiaro che in Italia e nel mondo non stiamo celebrando questo importantissimo studio, né gli altri 53 studi e ricerche che ne sono seguiti.

Le conclusioni dei report sono da brividi, come lo sono le ricerche internazionali sul clima, sulle estinzioni delle specie, sulla biodiversità e il raccordo di tutte queste ricerche pubblicate nei report dall’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES) e dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) in seno all’Organizzazione delle Nazioni Unite.

Le conclusioni sono chiare e non lasciano scampo: la crescita di popolazione, industrializzazione, inquinamento, produzione di alimenti con il suo diffuso modello del consumo di carne e, quindi, il consumo di tutte le risorse naturali ci condurranno entro la fine di questo secolo al declino della nostra civiltà distruggendo anche le conquiste sociali e civili conquistate dalla storia dell’umanità.Nel 1972 la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente con la Dichiarazione di Stoccolma diventa la tappa fondamentale per il Programma per l’ambiente delle Nazioni Unite (UNEP) dello stesso anno a Nairobi in Kenia. È da quell’anno, esattamente 50 anni fa, che sappiamo che fallire sulla salvaguardia delle risorse naturali significa un fallimento non dell’uomo ma della specie umana. 50 anni dopo non abbiamo imparato nessuna lezione, 50 anni dopo non stiamo reagendo come dobbiamo, 50 anni dopo non siamo qui a celebrare una buona notizia ma due cattivissime notizie: a gennaio abbiamo superato uno dei 9 limiti planetari (https://www.mymovies.it/film/2021/superare-i-limiti/) riguardante l’inquinamento chimico e ad aprile il limite dello sfruttamento delle risorse idriche.

Ciò nonostante manca ancora una vera e propria internazionale ambientalista o ecologista dei popoli. Su tutto questo l’umanità fischietta tra un aperitivo, un turno di lavoro e vite dedicate ad arricchire il proprio conto in banca o devastate dal neoliberismo, senza la possibilità di dare un senso alla propria esistenza.

Per la prima volta nella storia non dobbiamo fare di più per migliorare le nostre condizioni ma di meno. Bisogna astenersi, oziare, rallentare, silenziarsi e non bisogna farlo per spirito di carità ma per spirito di necessità.

Ma come se nulla fosse accaduto in questi 50 anni siamo ancora nella trappola del Pil illudendoci di inseguire lo sviluppo anche quando abbiamo raggiunto una obesità patologica in molti settori. “La crescita economica è ora antieconomica – costa di più del suo valore marginale e ci rende sempre più poveri invece che più ricchi. Nascondiamo questo fatto con bilanci nazionali fallaci, perché la crescita è il nostro idolo e smettere di adorarlo sarebbe una bestemmia” ha scritto l’economista ecologico Herman Daly che ha lavorato nel Fondo Monetario Internazionale ed è scomparso nell’ottobre di quest’anno.Molti sono abbagliati dal mito dell’efficienza e pensano che basti un po’ di tecnologia ed un po’ di innovazione per salvarci. Ciò non fa che ritardare il momento delle decisioni necessarie e, ogni giorno, le soluzioni utili sono sempre più drastiche e radicali. La verità è che la torta è finita e stiamo mangiando già quella dei nostri figli. Le dispense le stiamo svuotando come se fossero gli ultimi giorni della nostra vita.

Invece che cambiare stile di vita siamo disposti a cambiare pianeta, invece che rallentare il nostro ritmo di vita siamo disposti a regalare il nostro tempo vita al mercato digitale, invece di ridurre il nostro orario di lavoro siamo disposti a ridurre in lavoro la nostra vita, invece di ridurre i consumi ci siamo ridotti in consumo. Siamo il paziente in sala rianimazione che aspetta il disastro incombente.

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