QUEL PROCESSO DI RISTRUTTURAZIONE IN CORSO NEL NOSTRO CAMPO da IL MANIFESTO e IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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QUEL PROCESSO DI RISTRUTTURAZIONE IN CORSO NEL NOSTRO CAMPO da IL MANIFESTO e IL FATTO

Quel processo di ristrutturazione in corso nel nostro campo

COMMENTI. Sarebbe saggio accettare l’idea che in questa fase storica è molto difficile pensare che possa nascere una grande forza di sinistra, radicale e ambientalista

Aldo Carra  18/06/2023

Pochi giorni fa, in una masseria pugliese, si è svolta una cerimonia-evento. Lo stesso conduttore che venti anni prima aveva presentato il contratto con gli italiani col quale si era aperta la stagione berlusconiana, ha officiato il rito del passaggio del testimone con una intervista programmatica alla Presidente del Consiglio, investendola così della guida della nuova stagione politica.

Gli eventi sono precipitati oltre ogni previsione. Adesso, dopo i giorni sospesi di una tragedia umana e di emozioni forti e di massa, si impone il ritorno alla politica. Ci sarà forse qualche fibrillazione intorno ai resti del corpo elettorale di Forza Italia e qualche frizione ai confini tra Lega e FdI, ma si tratterà di cronaca.

Il centro destra riparte da una solidità conquistata. Si é ristrutturato, ha nuovi equilibri interni, una guida ambiziosa e forgiata nelle nuove tecniche di campagna elettorale permanente, che conta su solidi consiglieri del passato e che, sfruttando la posizione di governo, sta tessendo una tela di relazioni internazionali.

Quindi una destra con l’ambizione di un disegno strategico, l’ossessione tutta nostalgica di una egemonia culturale e che, pur di inserirsi nei processi di ridefinizione in corso in Europa, è disposta a svolgere tutte le parti in commedia.

Tra questo scenario e quanto appare sul fronte dell’opposizione progressista sembra esserci uno scarto enorme: un processo complesso e quasi compiuto da un lato, solo ”lavori in corso” dall’altro.

Ma è veramente così? E chi ha detto che processi di questa portata debbano procedere in parallelo e con le stesse modalità?

Pur orrendo un rischio notevole, azzardo una provocazione: non sarà che una ristrutturazione è in atto anche sul fronte progressista e che non la vediamo perché non corrisponde ai nostri sogni e alle nostre speranze?

Proviamo a farci una domanda: e se l’assetto attuale, con un Pd rinnovato nella leadership di Schlein, con il ritorno in famiglia di Bersani ed art.1, con un M5s che cerca di mettere nuove radici nei territori e di darsi una nuova identità postgrillina, e con, a sinistra, una alleanza Verdi- Sinistra Italiana piccola ma tenacemente resiliente, se questo insieme di componenti in cammino fosse l’impalcatura possibile del campo progressista oggi?

Ancor meglio. Se, invece di considerarci in competizione permanente, accettassimo l’idea che in questa fase storica è molto difficile che possa esserci una grande forza di sinistra, progressista e radicale, ambientalista e dei diritti ed accettassimo di con-vivere dentro un senso di appartenenza ad un campo progressista che voglia contrastare intanto il nuovo identitarismo del campo conservatore, assumere i temi del futuro della terra e del clima, della giustizia sociale e distributiva, della qualità della vita, dei futuro dei giovani e delle donne, della solidarietà, della pace tra i popoli e dell’accoglienza?

Insomma, ma siamo proprio sicuri che su questi grandi temi non ci sia nel nostro campo una visione più forte e più alta dello squallore della lotta permanente per contenderci i pochi spazi che ci sono rimasti ed i pochi consensi residui?

E, se così fosse, non potremmo pensare che già questo sarebbe tanto per affrontare a testa alta una destra che ha vinto su un piano quantitativo ridotto dall’astensione e della tattica elettorale, ma che al di la delle urla e delle capacità recitative parla di egemonia culturale, ma vive solo di violenza verbale e spartizioni di fette di potere?

In certi momenti vedendo partecipazioni di massa come al Pride, o donne come Anna Falcone, Elly Schlein, Elisabetta Piccolotti, Chiara Appendino, Donatella Di Cesare, Nadia Urbinati e giovani del sindacato e dei movimenti vien da pensare: ma siamo proprio messi così male? E se da domani tornassimo alla politica con la convinzione che una fase si è chiusa ed una nuova si può aprire?

La piazza di Conte: «Basta precarietà». C’è anche Schlein

A TUTTO CAMPO. Al corteo del M5S le voci del paese che soffre le disuguaglianze. La leader dem: «Bene manifestare dissenso verso questo governo». Si presenta (a sopresa) anche il fondatore Beppe Grillo. Ma gli applausi dei 5 Stelle sono per l’ex premier

Giuliano Santoro, ROMA  18/06/2023

«Un presidente, c’è solo un presidente» canta la folla sfidando questi giorni di lutto nazionale che riguardano un altro presidente. Quello in questione, Giuseppe Conte, quando il corteo si muove da piazza della Repubblica ancora non si vede. Si presenta invece il leader di Sinistra italiana Nicola Fratoianni. Viene preso d’assalto dai cronisti e salutato dal mugugno di alcuni dei manifestanti: alle politiche siete andati col Pd, avete votato la tal legge e via borbottando (a mezza voce). Per certi versi, per Conte è un buon segno: da questi malumori malcelati (che accompagnano anche Elly Schlein) può intravedere il Movimento 5 Stelle del boom elettorale e prendere atto che la mutazione che ha accompagnato non ha dissipato per strada alcuni dei tratti delle origini. Il tutto sta nel tenerli nella giusta prospettiva, e questo primo corteo dell’era Conte, pieno di ospiti, adesioni esterne e sinistra sparsa che è «venuta a vedere», è una prova in questo senso. L’ex verde Paolo Cento, esponente della sinistra per Conte che ha provato nel Lazio a costruire la gamba progressista accanto ai 5 Stelle, la mette così: «Qui almeno c’è un pezzo di popolo».

QUANDO SPUNTA Schlein va incontro a Conte e trova questa formula: «Avete fatto bene a mobilitarvi, Giuseppe. Ci tenevamo a venire per testimoniare la volontà di lavorare insieme contro la precarietà». Conte accoglie la segretaria dem: «È un segnale importante per chi pensa di essere maggioranza nel paese. Di percorso ne abbiamo da fare, ma questo è un buon messaggio». Lo zoccolo duro della piazza è costituito dalle decine di pullman che hanno raggiunto Roma, soprattutto dal sud. A questi si aggiungono altri simpatizzanti e i rappresentanti delle categorie sociali che il M5S ha chiamato a parlare. Il serpentone scende lungo via Cavour. Difficile ascoltare un coro unico, uno slogan caratterizzante. Si sentono piuttosto le tante voci che compongono il M5: unito attorno a Conte come unico faro e senza i volti noti delle scorse legislature fatti fuori dalla tagliola dei due mandati (con qualche eccezione per Francesco Silvestri e Riccardo Ricciardi). Rocco Casalino è fuori dal suo ruolo di gran regista della macchia mediatica, spesso in giro per selfie, forse già in campagna per le prossime europee.

SI RISPOLVERA il vecchio «Onestà», che via via lungo la strada qualcuno aggiorna in «dignità». Ci provano i giovani, a cercare le parole giuste dietro lo striscione giallo che indica le priorità: clima, salario e precarietà. Ma rispolverano il «fuori la mafia dallo stato» della primavera palermitana. Il corteo si sfilaccia un po’, si ricompatta per qualche foto suggestiva verso la fine e poco dopo finisce nell’imbuto di transenne costruito a largo Corrado Ricci, a ridosso dei Fori. Una location scelta per accogliere folle non troppo ampie in modo farle apparire sostanziose. C’è da dire che i numeri, di questi tempi, sono questi.

LA NARRAZIONE grillina (o meglio contiana) vuole che «la politica fa un passo indietro per ascoltare le vostre storie». Il leader parla velocemente di un paese in cui i salari sono fermi da trent’anni prima di cedere la parole alle categorie colpite dalle politiche anti-sociali del governo Meloni. «Il salario minimo è la strada giusta – dice Conte – L’hanno seguita anche Francia Spagna Germania. Se il governo non vuole ascoltare noi almeno ascolti il presidente della Banca d’Italia Ignazio Visco». E ancora: «Non prendiamo in giro nessuno, sappiamo che la riforma del reddito di cittadinanza è complessa, ma il governo la vuole fare o vuole fare cassa sui poveri?». Poi si fa di lato e ascolta la decina di testimonianze (tre minuti a testa) delle «vite precarie».

L’IDEA È CHE ogni sfaccettatura che riguarda la precarietà venga messa in scena: gli esodati del Superbonus, i ricercatori, i percettori di reddito, gli sfruttati e 4 euro l’ora. Con una vistosa mancanza, soprattutto a pochi giorni dalla spaventosa ecatombe nel mar Egeo: nessuno cita o fa parlare i migranti, che pure sarebbero un pezzo decisivo della componente precaria della forza lavoro di questo paese. Alla fine, dopo l’intervento contro la guerra di Moni Ovadia, spunta davvero a sorpresa persino Beppe Grillo. Si produce in un monologo senza filo conduttore, difficile da riassumere, dal quale proviamo a estrarre alcune suggestioni politiche. Evoca la necessità di un reddito di base incondizionato, dice che vorrebbe un voto commisurato all’età delle persone e alla loro aspettativa di vita (non saranno stati contenti gli over 60, come sempre nelle piazze del M5S parte preponderante), invita a costituire brigate di incappucciati che nottetempo riparino cose in giro per le città. Conte ritorna in scena per congedare tutti, un po’ frettolosamente. Il bilancio politico, in giornate non facili, per lui è positivo: ha radunato il suo popolo e ha costretto i potenziali alleati a venire ad ascoltarlo.

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