PALERMO RICORDA FALCONE. BLOCCATI STUDENTI E SINDACATI da IL MANIFESTO e IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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PALERMO RICORDA FALCONE. BLOCCATI STUDENTI E SINDACATI da IL MANIFESTO e IL FATTO

Palermo ricorda Falcone. Bloccati studenti e sindacati

CAPACI. La polizia sbarra la piazza. La Cgil: «Volevano soffocare il grido ‘Fuori la mafia dallo stato’». Alla fine il corteo riesce a passare fino all’albero che ricorda le vittime della strage del 1992

Marina Della Croce  24/05/2023

Se l’antimafia diventa sociale, se cioè allarga le sue rivendicazioni ai diritti e alla critica del modello di sviluppo del quale la criminalità organizzata è parte integrante, diventa una minaccia da reprimere. Questa l’immagine che emerge ieri da Palermo, dove il corteo della sinistra, dei sindacati e dei movimenti studenteschi è stato caricato dagli uomini in divisa. La manifestazione aveva provato a raggiungere l’albero di via Notarbartolo piantato in memoria di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli agenti della scorta uccisi nella strage di Capaci di trentuno anni fa.

IL CORTEO era aperto dalla gigantografia di una Sacra famiglia. Accanto alla Madonna con il bambino, le immagini di Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri, Renato Schifani e Roberto Lagalla, il sindaco di Palermo che i manifestanti accusano di non essersi dissociato da personaggi condannati per mafia e tornati a occuparsi di politica come Totò Cuffaro e come lo stesso Dell’Utri. Si erano mossi dall’università, differenziandosi da quello ufficiale che le autorità consideravano «autorizzato» ad arrivare fino al luogo simbolo della strage. Laddove alle 17.58, l’ora in cui fu azionato il telecomando che attivò il detonatore posizionato sotto il viadotto dello svincolo di Capaci, si osserva tradizionalmente un minuto di silenzio. «Fuori la mafia dallo stato» gridavano i manifestanti, in una piazza in cui centinaia di persone rappresentavano la convergenza di lotte diverse: per la difesa dell’ambiente, per il diritto alla casa, per il reddito e contro la precarietà. «Ci hanno bloccato, hanno fermato il corteo nonviolento della società civile. Corteo con studenti, partigiani, Cgil, rappresentanti delle istituzioni. Dicono che temono che disturbiamo la manifestazione ‘ufficiale’. È un momento di una tristezza micidiale» la denuncia in diretta della deputata all’Assemblea regionale siciliana Valentina Chinnici al momento della tensione con gli uomini in divisa.

È SUCCESSO in via Notarbartolo dove, alla luce di una disposizione del questore Leopoldo Laricchia che aveva limitato il percorso del corteo, gli agenti si sono abbassati i caschi e hanno messo gli scudi davanti alla testa del corteo. Si era prima dell’incrocio con via Piersanti Mattarella quando due mezzi blindati di polizia e carabinieri hanno fatto muro. Da qui la tensione. Soltanto poco prima del canonico minuto di silenzio preceduto da uno squillo di tromba, la polizia ha sciolto il cordone e lasciato passare i manifestanti.

«CERCANO DI bloccare, a Palermo, nel giorno della commemorazione dell’assassinio di Falcone, Morvillo e degli uomini della scorta – è la denuncia di Pietro Milazzo, sindacalista e figura storica della sinistra sociale palermitana – Vogliono fermare la manifestazione dell’antimafia critica verso le commemorazioni puramente retoriche e vuote, ma il corteo non cede e riesce a portare la protesta nel cuore della manifestazione ufficiale». Parole dure anche dal segretario generale della Cgil Sicilia Alfio Mannino. «Falcone e i martiri delle stragi di mafia non sono di proprietà di nessuno – dichiara Mannino – Sono un patrimonio collettivo. Sono patrimonio dei siciliani che vogliono il riscatto di questa terra. Chiudere l’accesso nelle zone adiacenti all’albero Falcone a migliaia di cittadini è stata un’offesa al ricordo di Falcone e a tutte le vittime di mafia. Il tutto per soffocare il grido ‘Fuori la mafia dallo stato’».

LA GIORNATA si era aperta con la deposizione, da parte del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, di una corona d’alloro davanti alla stele di Capaci. Poi a palazzo Jung, il capo del Viminale aveva presenziato alla posa della prima pietra del Museo della legalità, nel quartiere della Kalsa, dove Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono cresciuti. Alfredo Morvillo, fratello di Francesca e cognato di Falcone aveva disertato polemicamente le cerimonie istituzionali. «In questa città aver fatto accordi con la mafia viene ritenuto da tutti un fatto disdicevole?», aveva detto in riferimento al sostegno alla giunta del sindaco Lagalla da parte di Dell’Utri e Cuffaro. Si era ancora al mattino, ancora non si sapeva che quest’anno le tensioni si sarebbero materializzate anche in piazza.

“Oggi la Falconeide sedativa del potere rimuove le verità scomode indicibili”

LA “CATTIVA COSCIENZA” – Scarpinato accusa i “sepolcri imbiancati” che hanno fatto carriera grazie alla mafia –

ANTONELLA MASCALI  24 MAGGIO 2023

Ha lavorato fianco a fianco con Giovanni Falcone. Ha proseguito a essere un pm antimafia a Palermo, poi a Caltanissetta e poi di nuovo a Palermo come procuratore generale. Ora Roberto Scarpinato, da magistrato in pensione, è impegnato come senatore M5S. Ieri, in Aula, ha ricordato le vittime di Capaci. Otto minuti segnati dalla sua profonda conoscenza ed esperienza. Ha voluto onorare Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo puntando il dito contro “i sepolcri imbiancati”.

Questo trentunesimo anniversario è “all’insegna della rimozione, della restaurazione e della normalizzazione”, le “verità scomode e indicibili” vengono “annegate dentro un mare di retorica”. Scarpinato ha parlato di una “Falconeide sedativa e rassicurante”, di una “narrazione tragica ma, nello stesso tempo, semplice e pacificata”; sostiene che Falcone sia stato ucciso perché “con il suo lavoro di magistrato integerrimo, culminato nelle condanne inflitte con il maxiprocesso, era il simbolo di uno Stato che aveva sferrato un colpo mortale alla mafia”. Un “falso”. La realtà “vissuta e sofferta da Giovanni Falcone racconta che gli assassini e i loro complici non hanno solo i volti truci e crudeli di coloro che si sono sporcati le mani di sangue, ma anche i volti di tanti, di troppi sepolcri imbiancati che avversarono in tutti modi Falcone isolandolo, delegittimandolo, riducendolo all’impotenza per impedirgli di accertare le loro responsabilità”. Falcone, ha scandito Scarpinato, non è stato ucciso solo per il maxiprocesso ma “anche e soprattutto per quello che avrebbe potuto fare se fosse rimasto in vita. Per evitare che proseguendo nella sua opera potesse portare alla luce verità indicibili che, come lui stesso disse (in Commissione Antimafia, ndr) avrebbe costretto il nostro Paese a riscrivere parte della sua storia”.

L’ ex Pg, nel suo intervento descrive il popolo dei “sepolcri imbiancati” dalle carriere sfavillanti, bravissimi nelle celebrazioni retoriche: “Presidenti del Consiglio, ministri, parlamentari nazionali e regionali, presidenti di Regioni, vertici dei Servizi segreti e della Polizia, alti magistrati, avvocati di grido dalle parcelle d’oro, personaggi apicali dell’economia e della finanza e molti altri”.

Inoltre, ricorda che ci sono “responsabilità penali certificate da sentenze definitive, costate lacrime e sangue, e tuttavia rimosse dalla retorica pubblica e da una politica priva di credibilità perché mentre il 23 maggio spende vuote parole, continua a portare in palma di mano personaggi condannati con sentenze definitive per complicità con la mafia o per gravi reati di corruzione ( Dell’Utri e Cuffaro, ndr)”. I “sepolcri imbiancati” non possono “autoassolversi moralmente e politicamente dalla tragica storia che ebbe il suo epilogo” nelle stragi del 1992 e 1993, che segnano la fine della prima Repubblica. “È un gorgo di morte che chiama in causa quello che lucidamente Falcone definì il gioco grande del potere che non ha esitato a utilizzare le stragi e l’omicidio come strumenti occulti di lotta politica, avvalendosi come bracci armati della destra eversiva, delle mafie e di altri specialisti della violenza”. Non a caso la nostra Repubblica “era stata tenuta a battesimo dalla strage politico mafiosa di Portella di Ginestra del 1º maggio 1947 che segna l’inizio della strategia della tensione”.

Tra la prima e l’ultima strage, “una sequenza ininterrotta di altre stragi e di omicidi eccellenti” che hanno un unico comune denominatore, prosegue Scarpinato, ovvero “il sistematico intervento di apparati dello Stato per depistare le indagini e impedire così che venissero accertate le responsabilità di mandanti e complici eccellenti”. Amarissima ma drammaticamente vera la conclusione dell’intervento del senatore M5S:“ Sino a quando i protagonisti del passato e del presente di questo cinico e sanguinario gioco non saranno chiamati a rendere conto delle loro responsabilità, le stragi del 1992 e del 1993 resteranno lo specchio della cattiva coscienza di questo Paese e il segno della sua immaturità democratica”.

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