ONG: IL GOVERNO ATTACCA IL DIRITTO DEL MARE da IL MANIFESTO e IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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ONG: IL GOVERNO ATTACCA IL DIRITTO DEL MARE da IL MANIFESTO e IL FATTO

Ong, il decreto del governo attacco al diritto del mare

IMMIGRAZIONE. Le Ong, nonostante questo divieto aberrante che dimentica la tragedia dei morti di Lampedusa, continueranno lo stesso a salvare vite umane, com’è nella loro missione

Raffaele K. Salinari*  05/01/2023

Il Decreto Legge n.1/2023 recante: «Disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori», apre l’anno portando in sé il ricordo d’una tragedia troppo velocemente dimenticata: quella dei morti di Lampedusa. Che il divieto per le navi delle Ong impegnate in azioni di soccorso in mare di fermarsi a salvare vite lungo la rotta sembra rievocare nelle conseguenze potenziali. Da qui la consapevolezza che la posta in gioco è molto più alta del destino delle Ong, poiché lo spirito del Decreto va ricercato nella perenne opera, da parte delle destre europee e non solo, volta allo smantellamento delle Convenzioni internazionalmente accettate che permettono ancora di riconoscersi tutti all’interno della comunità umana.

E QUI, EVIDENTEMENTE, il corpo migrante, con tutti i suoi significati e significanti simbolici, diventa la massima espressione di una biopolitica che, come suo scopo ultimo, pretende di imporre proprio questa frattura all’interno del genere umano, esattamente come propone quella tra umanità e natura. Questa operazione si deve però ancora confrontare con i meccanismi di quel che resta delle democrazie formali, e dunque da ciò la necessità di cambiare le regole democratiche con gli appelli al presidenzialismo e quant’altro in nome dell’efficienza decisionale.

E allora si parte da qualcosa di apparentemente periferico, distante dalla vita quotidiana del caro bollette e della mancanza di lavoro. Le Convenzioni che questo Decreto rimette in discussione sono note, prima fra tutte, lo ripetiamo, quella UNCLOS (Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare) che impone al comandate di una nave, quale che sia, il soccorso in mare.
È ALLORA CHIARO, o lo dovrebbe essere, a chi ha ancora occhi per vedere l’orizzonte più vasto, che la catena delle Convenzioni internazionali, incluse quelle che concernono l’ambiente, i diritti del lavoro, gli standard minimi di salute e di istruzione, la parità di genere, e via enumerando, è forte quanto il più debole del suoi anelli, in questo caso non solo la violazione delle Convenzioni del soccorso in mare ma, di conseguenza, anche quella di protezione dell’infanzia.

Immaginiamo allora per un momento una possibile applicazione di questo Decreto: vediamo un barcone di naufraghi in difficoltà e non ci fermio a soccorrerli, sapendo che andranno incontro a morte certa.

Questi morti, che ci saranno, che ci sono già adesso, chi ha voluto la norma se li porterà sempre addosso, come una scimmia che a giorni non li farà respirare, che li priverà, a momenti, della capacità di provare piacere delle sue vittorie.
NEL CORSO DELLA propria vita, a quei morti dovranno rendere molti tributi e non solo a chi è stato rievocato perché non ha potuto assistere al trionfo elettorale. Ecco che allora, in questi casi, è bene ripeterlo, il gesto del salvataggio diviene politica, scelta compromissoria, alterità: il salvataggio non è mai a senso unico, ma è reciproco.

Questo senso profondo di appartenere alla stessa vita, di essere in vita insieme è la radice di una solidarietà che non è pietosa ma empatica, segno di una politica di accoglienza verso altri se stessi e non di semplici corpi da parcheggiare in attesa che vadano altrove. In questi momenti, per chi si immedesima nel gesto del soccorso, la distanza tra esseri umani si annulla. Non esistono più il migrante ed il soccorritore, l’ordine simbolico e biopolitico viene annullato: si ricompone l’umanità divisa.
VENGONO ALLORA in mente le parole eversive di Bertold Brecht: «Il disordine ha già salvato la vita a migliaia di individui. In guerra basta spesso la più piccola deviazione da un ordine per portare in salvo la pelle». In queste guerre all’umanità, senza confini né limiti temporali e geografici, per trovare nuove soluzioni occorre farsi carico del superamento della distinzione tra chi salva e chi è salvato, dato che nascere da una o dall’altra è solo questione di fortuna e non di merito, e questo non ha nulla a che fare con i Diritti Umani.

* Portavoce CINI (Coordinamento Italiano ONG Internazionali) 

Ong, la nota del Garante per le persone private della libertà riconcilia con la Repubblica

Davide Mattiello  03/01/2023

Se il governo mostra i denti contro chi salva vite in mare, c’è un altro pezzo di Stato che tiene il punto ed alza la voce. E’ la democrazia bellezza! Il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale ci ha messo meno di 48 ore per reagire al decreto del 28 dicembre col quale il governo Meloni ha inteso stringere le viti con urgenza alla “fastidiosa” attività di chi si ostina a stare in mare per cercare e soccorrere naufraghi.

Lo ha fatto con una nota pubblicata sul proprio sito il 30 dicembre e firmata dal presidente Mauro Palma. Lo ha fatto con garbo istituzionale e dichiarando in più passaggi l’intento di collaborare con governo e Parlamento (che avrà il compito di convertire in legge il decreto entro sessanta giorni) al fine di chiarire tutti i possibili “nodi” critici, ma lo ha fatto con fermezza e senza sorvolare sui profili etici, prima ancora che politici, di un simile intervento.

Chissà se le operazioni che si stanno svolgendo mentre scrivo e che riguardano l’ultimo intervento della Geo Barents, risentano già positivamente della posizione tenuta tempestivamente e più che opportunamente dal Garante. Infatti, almeno da quanto è dato leggere sugli organi di stampa a cominciare da Il Fatto, la Geo Barents, coordinandosi sempre con le Autorità italiane competenti, ha realizzato un salvataggio plurimo ed è stata poi avviata verso il porto di Taranto (che a tutta evidenza è più vicino e dunque più congruo di quello di Ravenna!).Il Garante ha sentito il dovere di puntualizzare, per fare riferimento soltanto a qualche passaggio, che sarà il Parlamento a valutare la legittimità costituzionale del decreto sotto il profilo della urgenza (leggasi: come si fa a trattare con provvedimenti d’urgenza un fenomeno che ormai è strutturale da anni?); che l’Italia (nonostante le massicce iniezioni di propaganda “sovranista”) è sempre legalmente sottoposta ai Trattati internazionali ed alle Convenzioni relative al mare ed a chi lo attraversa; che le Autorità italiane potranno indicare il porto sicuro al quale l’imbarcazione che abbia effettuato il salvataggio dovrà dirigersi, ma che questa indicazione non potrà in alcun modo aggravare le condizioni di sofferenza delle persone raccolte in mare; che l’indicazione di evitare salvataggi plurimi può essere legittima soltanto se posta a declinazione del dovere di raggiungere il porto sicuro nel più breve tempo possibile e non certo per impedire ulteriori salvataggi, qualora la mancanza di intervento possa cozzare contro il superiore obbligo di intervenire in caso di pericolo; che l’indicazione di raccogliere a bordo della imbarcazione le richieste di asilo o protezione è legittima a condizione che sia una possibilità aggiuntiva, rispetto alla prassi, che ci siano le condizioni per realizzarla e soprattutto che per nessun motivo questa “possibilità” faccia venire meno gli obblighi previsti dalle leggi dello Stato di sbarco; che l’indicazione che trasforma gli illeciti penali in illeciti amministrativi può essere considerata ragionevole nella più generale prospettiva della depenalizzazione, anche se, sostiene sapientemente il Garante, il vaglio delle condotte da parte della Magistratura e cioè di una Istituzione indipendente resta un presidio di garanzia (il Ministro Nordio sarà sobbalzato sulla sedia a questo anacronistico richiamo!) e che, ovviamente (cit.), i respingimenti collettivi sono sempre proibiti.

Il Garante conclude con una considerazione che riconcilia con la Repubblica e che riporto integralmente: “Un dialogo che tiene presenti i diritti e le necessità primarie, incluso il soccorso, di chi mette in mare la vita propria e quella dei suoi cari in cerca di un ‘altrove’ migliore, il diritto della collettività a essere rassicurata circa la presenza di persone irregolari sul proprio territorio, il diritto dell’Ordinamento a non essere esposto a rischi di censura rispetto a quegli impegni che costituiscono l’ossatura del proprio sistema democratico”.Qualcuno nei Palazzi romani avrà storto il naso, ritenendo che l’intervento del Garante abbia esondato dal perimetro che la legge gli affida e che insomma, avrebbe fatto meglio a non impicciarsi. Invece credo che il Garante abbia interpretato con grande sensibilità ed intelligenza il proprio mandato che deriva dalla Convenzione Onu contro la tortura, una Convenzione ratificata dall’Italia ed alla quale l’Italia ha faticato parecchio a dare attuazione. La questione “tortura”, come ci ricordano tragicamente i fatti iraniani, ha tipicamente a che fare con il rapporto tra lo Stato, la sua autorità, la sua forza, il preteso monopolio dell’uso legittimo della violenza, e le persone che a vario titolo entrano nella sua sfera di azione.

Tortura lo Stato non soltanto quando uccide Stefano Cucchi, non soltanto quando massacra i manifestanti di Genova, non soltanto quando lascia morire malamente nei Centri di espulsione, non soltanto quando pesta ed umilia i detenuti nelle carceri, ma anche quando contribuisce ad acuire le sofferenze di individui inermi che, uso ancora le parole del Garante, “mettono in mare la vita propria e quella dei propri cari in cerca di un ‘altrove’ migliore”.

E’ la “democrazia bellezza!”: quella fondata dalla Costituzione antifascista del 1948, quella per la quale chi vince le elezioni non diventa padrone dello Stato, con buona pace degli “eredi del Duce” e dei ministri che evocano il “machete” per dare una regolata a chi dice “No!”.

Abbiamo già dato e non abbiamo dimenticato.

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