NYT:”USA SPIANO GLI ALLEATI”. E COSÌ SIA! daIL MANIFESTO E IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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NYT:”USA SPIANO GLI ALLEATI”. E COSÌ SIA! daIL MANIFESTO E IL FATTO

New York Times: fuga di notizie autentica. «Usa spiano gli alleati»

E COSÌ CIA. Non è ancora chiaro se i documenti trapelati siano stati modificati L’Ucraina continua a puntare il dito sui servizi segreti russi

Ester Nemo  09/04/2023

I documenti del Pentagono sulla guerra in Ucraina trapelati sui social hanno continuato a tenere banco anche durante la giornata di ieri. Una nuova analisi del New York Times sembra infatti confermarne la veridicità: cita la «preoccupazione» di funzionari occidentali per la fuga di notizie e il rischio che ora Mosca possa meglio individuare da dove l’intelligence americana ottiene informazioni sui suoi piani d’attacco. Dai file emerge infatti il livello di “infiltrazione” Usa nelle varie agenzie russe. Sembra inoltre che Washington spii i suoi stessi alleati: nei documenti si parla del dibattito interno alla Corea del Sud sull’opportunità di fornire aiuti all’Ucraina.
MA PIÙ DI TUTTO, sembrerebbe confermato che la fuga di notizie sia frutto di un autentico leak interno al governo statunitense: oltre all’inchiesta annunciata pubblicamente dal dipartimento di Giustizia, il quotidiano cita fonti interne all’amministrazione che parlano di «imponente violazione» dei segreti custoditi dall’intelligence, e che sostengono che i documenti sembrano provenire proprio dal Pentagono. Anche se non è ancora escluso che siano stati modificati in modo ingannevole: «Almeno uno – scrive il New York Times basandosi sempre sulle dichiarazioni di fonti anonime interne all’amministrazione – è stato cambiato rispetto all’originale».

Nel frattempo, Kiev continua a puntare il dito sulla Russia: il consigliere presidenziale Mykhailo Podolyak scrive infatti che «l’obiettivo della “fuga” è chiaro: deviare l’attenzione, seminare dubbi, reciproci sospetti, discordia». E attribuisce l’operazione ai servizi segreti di Mosca, sostenendo che il modus operandi – inserire elementi falsi in informazioni accessibili e seminarle sui social – è indiscutibilmente il loro.

SUL FRONTE RUSSO, ieri è stata invece la giornata del funerale del blogger Vladlen Tatarsky, ucciso in un attentato la settimana scorsa in un caffè di San Pietroburgo. La cerimonia, nel cimitero Troyekurovskoya di Mosca, ha attirato – riporta Al Jazeera – centinaia di persone, e imponenti misure di sicurezza. Alcuni dei presenti indossavano le lettere associate all’aggressione russa dell’Ucraina: la Z e la V. Alla cerimonia ha partecipato anche il capo e fondatore della brigata Wagner, Yevgeny Prigozhin, che avrebbe posato una sorta di ascia sulla bara di Tatarsky e che ha rilasciato un comunicato in cui lo loda per aver contribuito alla «distruzione del nemico».

In territorio ucraino, la distruzione celebrata da Prigozhin si è manifestata in particolar modo nel Donetsk: il capo dell’amministrazione militare ucraina della regione, Pavlo Kyrylenko, ha denunciato che gli attacchi russi nella giornata di ieri hanno fatto 4 vittime civili.

Una buona notizia, invece, è la ripresa delle infrastrutture energetiche del Paese: la Bbc riporta che il ministro dell’Energia Herman Haluschenko ha firmato un ordine esecutivo che autorizza la ripresa dell’esportazione di elettricità dall’Ucraina, a dimostrazione di come il Paese sia riuscito a riparare le infrastrutture colpite dagli attacchi mirati delle forze del Cremlino – ben 1.200 dall’inizio della guerra riporta il gestore ucraino della rete elettrica Ukrenergo, che invita anche a non farsi illusioni: gli attacchi russi alle infrastrutture non si fermeranno.

Un’altra buona notizia la riporta l’organizzazione Save Ukraine: 31 bambini ucraini sarebbero stati riuniti con le loro famiglie dopo essere stati rapiti nei territori occupati dalla Russia.

È di ieri anche l’annuncio che i confini fra Ucraina e Bielorussia verranno «rinforzati»: è in corso – scrive il comandante delle forze di Kiev Serhy Nayev – «l’espansione del sistema di barriere». «Campi minati anti-carro stanno venendo creati nelle aree accessibili ai tank e lungo i percorsi che spingerebbero il nemico in profondità nel nostro territorio come strade, ponti, reti elettriche».

“È un dovere civico: sono soldi sprecati in armi dannose anche per Kiev”

L’INTERVISTA  a  FRANCO CARDINI

ILARIA PROIETTI  9 APRILE 2023

“Chi me lo fa fare, dice? Non avevo alternative: ci tengo a essere a posto con la coscienza”. Lo storico Franco Cardini non si tira certo indietro e pace se le sue posizioni sul conflitto Russia-Ucraina gli siano già valse l’accusa di essere un putiniano d’Italia. Insomma disprezzo misto a una buona dose di dileggio. “Curiosa sorte che mi tocca condividere con Cacciari, Canfora e tutti quelli che osano fiatare contro questo vento di follia che pervade il Paese”. Risponde sul perché abbia deciso di stare nel comitato dei garanti del referendum contro la guerra. Sempre alla sua maniera: vulcanica. “Lo dico: non credo ai comitati ma ho dovuto aderire. E chi mi conosce sa che ne avrei fatto ben volentieri a meno. Ma lo ritengo un dovere civico sicché si è passata la misura e per dirla col fra Cristoforo di Manzoni, non vi temo più”.

Parla ai detrattori e agli antipatizzanti?

Sono un pubblico funzionario in pensione di 82 anni e i miei galloni accademici mi consentono di dire ciò che voglio anche se non sono al riparo da vendette: sono abbastanza vile ma non abbastanza da aver paura delle critiche. Da cattolico semplicemente ci tengo a tenere a posto la coscienza che interrogo tutti i giorni. Non è questione di ludi cartacei.

Che fa, cita Mussolini?

Non aveva certo la mia simpatia. È per dire che questa è una società indecorosa, vile, mancante di cultura nel senso più profondo. Vent’anni fa, per dire, mi hanno accusato di essere filo musulmano e, secondo la loro logica filoterrorista, sol perché mi sono permesso di ricordare che nel tredicesimo secolo a Cordova c’erano i bagni pubblici mentre a Parigi si facevano i bisogni per strada. Ora mi dicono che sono putiniano perché rammento che non bisogna aver la memoria corta quando si parla di questa guerra: occorre leggere i fatti, almeno le carte geografiche. Putin di fronte alle provocazioni durate anni culminate con lo spostamento dei missili a ridosso del confine dell’Ucraina doveva far pur qualcosa per non perdere la faccia con il suo fronte interno, il partito e i suoi generalacci che lo tallonavano in Patria.

Quindi Putin ha fatto bene?

Tutt’altro! Ha fatto una cattiva mossa. È caduto nella classica trappola di Tucidide, si è ingannato che in Donbass e in Ucraina lo avrebbero accolto a braccia aperte: ha sbagliato tempi e prospettive e nemmeno ha fatto quell’operazione di maquillage con l’opinione pubblica internazionale: la sua Russia del resto non è l’Unione sovietica di cui l’Italia fu una quinta colonna.

Come se ne esce?

Stiamo buttando via tanti soldi per inviare armi che fanno male anche all’Ucraina. Bisogna dire basta accompagnando questo stop a uno sforzo diplomatico che nessuno ha finora nemmeno tentato. Biden non ha detto una parola per incoraggiare il processo di pace e neppure l’Europa: la signora von der Leyen può cambiare tutti i tailleur che vuole ma quando dice che la precondizione per trattare è che la Russia ceda su tutti i fronti, afferma una cosa semplicemente insensata. Non c’è bisogno di fare un corso per principianti alla Farnesina per sapere che le trattative servono proprio per smussare le pretese che le parti dicono essere irrinunciabili e quindi tra loro incompatibili alla vigilia dei processi di pace.

Le democrazie “liberali” e la censura di guerra

 IPAZIA  8 APRILE 2023

Siamo in un momento storico difficilmente definibile. Ci stiamo allontanando dalla democrazia liberale per come fino a oggi la abbiamo conosciuta. Il processo è graduale, ma inesorabile.

Pochi ne hanno consapevolezza.

Si afferma ad esempio il principio di dover proteggere la popolazione dalla disinformazione, aprendo in questo modo la porta a ogni tipo di censura. Passano inosservate misure che in altri periodi storici avrebbero fatto inorridire. Sono chiuse le televisioni e i social di Paesi stranieri. L’Europa chiede che ai dipendenti delle istituzioni europee sia impedito di collegarsi al social network cinese TikTok.

Gli Stati Membri più ligi si precipitano a fare altrettanto con i dipendenti statali.

I ministri europei firmano un documento che esclude gli atleti di un Paese dai prossimi giochi olimpici.

In alcuni teatri non sono ammessi concerti russi. In alcune università si preferisce bandire gli autori russi.

La libertà di stampa e di informazione, di pensiero e di espressione è il cardine delle democrazie liberali e del tessuto politico, giuridico, culturale europeo. La cultura e lo sport dovrebbero essere esenti da strumentalizzazioni politiche e sono sempre stati ponti tra i popoli, veicoli di pace.

Misure inquietanti che scombussolano la nostra esistenza di cittadini europei sono prese nell’indifferenza dell’opinione pubblica.

Un noto Istituto di ricerca italiano diviene la cassa di risonanza di determinate posizioni politiche, mentre avrebbe la funzione di assicurare ai cittadini una analisi professionale della politica internazionale.

Fare ricerca significa analizzare con onestà intellettuale i fattori oggettivi di un accadimento storico, commisurare i mezzi agli obiettivi stabiliti, valutare l’efficacia di una strategia. Un istituto di ricerca che non rispetta questi parametri dovrebbe premettere per trasparenza prima delle pubblicazioni dei suoi ricercatori quali finanziamenti riceva e a quale linea sia costretto ad attenersi.

Di recente, in un intervento su un quotidiano di un ricercatore molto seguito di questo Istituto, leggo che per convincere il Sud globale ad allinearsi alla politica occidentale bisogna sconfiggere la Russia. Non bisogna porsi pertanto il problema dei nostri doppi standard, di come applichiamo l’etica alla politica internazionale in accordo ai nostri interessi perdendo credibilità nel mondo, no, dobbiamo soltanto sconfiggere la Russia.

Non dobbiamo porci il problema di come l’esportazione della democrazia e la guerra al terrore abbiano destabilizzato intere regioni del mondo, no. Dobbiamo soltanto vincere la guerra contro Mosca: una potenza atomica.

Dovevamo riconoscere l’iniquità delle politiche coloniali e neo-coloniali del passato? Ancora una volta il ricercatore non ha dubbi: l’unica cosa che conta è l’elemento della forza. Ristabilire l’ordine imponendo a uno Stato ribelle la Pax Americana. Il Sud globale e i nuovi protagonisti del mondo multipolare abbasseranno la testa, si piegheranno ai vincitori.

Che un intervento di questo genere possa essere pubblicato da un quotidiano che un tempo accoglieva gli articoli dell’intellighentia italiana è uno dei tanti segnali della barbarie della nostra epoca.

Editorialisti, storici, giornalisti che vanno di moda, politici e diplomatici ripetono acriticamente il catechismo occidentale, fornendo alla società civile le interpretazioni più stravaganti delle relazioni internazionali come se divulgassero gli script demenziali dei film hollywoodiani che fanno cassa.

Così nessuno ha vergogna di ipotizzare che i russi abbiano sabotato il gasdotto di cui sono proprietari e che avrebbero potuto utilizzare come leva per spingere un Paese dipendente energeticamente come la Germania a una postura più soft. Alla domanda del perché Mosca avrebbe compiuto un’azione così autolesionista si risponde in coro: per addossare la colpa agli occidentali.

In effetti, come Nietzsche aveva intuito: di fronte alla tragedia attuale non c’è arma se non una risata che seppellirà il mondo.

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