MILANO, PIAZZA GREMITA CONTRO LA REPRESSIONE da IL MANIFESTO e IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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MILANO, PIAZZA GREMITA CONTRO LA REPRESSIONE da IL MANIFESTO e IL FATTO

La condanna che è anche un allarme

IL COLLE . «Trovandone condivisione» è una di quelle formule politiche zoppicanti nella sintassi ma efficaci nella sostanza destinate a essere ricordate a lungo. Il presidente della Repubblica l’ha inventata per sgretolare la […]

Andrea Fabozzi  25/02/2024

«Trovandone condivisione» è una di quelle formule politiche zoppicanti nella sintassi ma efficaci nella sostanza destinate a essere ricordate a lungo. Il presidente della Repubblica l’ha inventata per sgretolare la linea del ministro di polizia Piantedosi, che ancora l’altro giorno difendeva i pestaggi di Pisa e Firenze, senza umiliarlo ufficialmente. Mattarella fa sapere di avergli «fatto presente», e anche qui il termine molto pesante è scelto con cura, le regole della nostra Costituzione, ma prima ancora della nostra stessa convivenza civile. Il ministro alla fine, vuole l’ufficialità, ha condiviso. Ma è chiaro che la correzione di rotta del Quirinale non poteva essere più brusca e netta e questa sfiducia di fatto consiglierebbe a chiunque di farsi da parte. È chiarissimo però che Piantedosi non si dimetterà.

Il ministro che doveva essere la versione più accorta di Salvini – e sta invece riuscendo nella missione impossibile di fare peggio – è la conferma della regola aurea per cui alla guida del Viminale non bisogna metterci un prefetto. Imperturbabile quando ha chiamato i migranti «carico residuale» o quando ha dato la colpa dei profughi morti in mare ai loro genitori incoscienti, sopravviverà anche stavolta. Al «fallimento», come lo ha chiamato senza mezzi termini il capo dello Stato, che è un fallimento doppio. Prima quello dei «manganelli» sui «ragazzi» – nemmeno qui il presidente ha usato metafore – e poi quello della comunicazione successiva, senza una mezza parola di scuse ma solo la rivendicazione delle violenze.

Così ha fatto anche Meloni, silenziosa e poi nascosta dietro lo squallore di una nota anonima del partito in cui però è fin troppo evidente il suo stile di vittima perenne. La colpa anche stavolta sarebbe della sinistra. Una risposta vigliacca con dentro il vecchio tic autoritario e il nuovo oscurantismo calato sulla causa palestinese e su tutto il protagonismo dei giovani. Ma anche una sfida al presidente della Repubblica che prende corpo giorno dopo giorno quasi inevitabilmente, persino oltre le convenienze immediate della capa del governo. Dimostrazione evidente di dove lei intenda portare il paese con la sua investitura diretta e in quale gabbia voglia rinchiudere il capo dello stato con il passaggio al premierato. Se la risposta più ferma ai manganelli di stato la danno le piazze che si sono immediatamente riempite, l’allarme più forte su dove potrebbe portarci la riforma costituzionale della destra lo suona Mattarella.

Milano, piazza gremita contro la repressione

LA MANIFESTAZIONE. 25 mila in corteo per Gaza per il ventesimo sabato dall’inizio dei bombardamenti. Gli interventi contro la censura e il governo «sdraiato sulle posizioni di Israele»

Roberto Maggioni, MILANO  25/02/2024

Una marea di gente, una risposta forte e pacifica ai manganelli del giorno prima, dalla parte della Palestina e contro il massacro di Gaza. A Milano hanno sfilato per quasi quattro ore oltre 25mila persone, molte arrivate da fuori per questa manifestazione nazionale convocata da associazioni palestinesi e sindacati di base. Che i numeri sarebbero stati alti lo si è capito presto, dai quasi 70 pullman arrivati in città. Troppo piccola piazzale Loreto per contenere l’inizio del corteo che è partito puntuale per non ammassare troppe persone nelle vie d’accesso. Davanti le comunità e le associazioni palestinesi, poi i lavoratori e le lavoratrici dei sindacati di base, gli studenti, i centri sociali, le associazioni, mischiati alla gente comune. A inizio corteo fa la sua comparsa anche l’ex M5s Alessandro Di Battista, che poi si ferma al banchetto della sua associazione Schierarsi.

Ieri era il ventesimo sabato dall’inizio dei bombardamenti israeliani su Gaza e a Milano la ventesima manifestazione del sabato. È stata la più partecipata, quella dove i figli della diaspora palestinese più si sono mischiati alle reti solidali italiane che hanno scelto di esserci. Il corteo ha sfilato da piazzale Loreto a largo Cairoli, nel centro di Milano. Era uno degli obbiettivi della manifestazione: portare le bandiere palestinesi in quelle strade fino a ieri vietate ai cortei per Gaza. Qualcuno avrebbe voluto concludere il corteo in piazza Duomo, ma Questura e Prefettura avevano avvertito per tempo che le strade verso la Madunina sarebbero state sbarrate. «Con la resistenza palestinese, blocchiamo le guerre coloniali e imperialiste» recitava lo striscione d’apertura scritto in italiano e arabo.

La parola che torna più spesso negli interventi dal camion è «genocidio» insieme alla richiesta di «fermare il massacro a Gaza». Lo spezzone dei sindacati di base Si Cobas, Adl Cobas, Cub, Usb, per citarne alcuni, è pieno di lavoratori dei magazzini, della logistica, di rider arrivati con le loro biciclette, nella stragrande maggioranza dei casi stranieri, che nel sindacalismo di base hanno trovato voce e rappresentanza. La questione palestinese se la portano dietro dai paesi d’origine: sono egiziani, marocchini, tunisini. «No war ma class war» ha scritto su alcuni cartelli un gruppetto di loro mischiati alle bandiere dei sindacati di base. Poi la parte più giovane del corteo, migliaia di under 30.

Basta fare un giro veloce sui social per vedere quanto la questione palestinese è sentita tra i giovani: Ghali docet. Si vedono anche le bandiere di Sinistra italiana, Potere al popolo, Rifondazione comunista. Dei Fridays For Future, dei Sentinelli, della rete No Cpr, dell’Arci, di diverse sezioni Anpi milanesi. Nei pressi di piazza della Repubblica un gruppo di manifestanti prova a staccarsi dal corteo per dirigersi per pochi metri verso la strada che porta al Consolato degli Stati Uniti. La strada è bloccata dalle camionette della polizia e finisce tutto con un lancio di uova.

Poco più avanti qualcuno danneggia le vetrine di un supermercato Carrefour, accusato di legami con Israele. In largo Cairoli il corteo ci arriva lentamente perché, come per la piazza di partenza, anche quella d’arrivo è troppo piccola per accogliere tutti. Gli ultimi interventi parlano della «censura dei media», del governo «sdraiato sulle posizioni israeliane», della necessità di «sostenere la resistenza palestinese contro il genocidio». Vengono ricordati gli studenti manganellati a Pisa, Firenze e Catania, il governo è accusato di «voler creare tensione attorno alle mobilitazioni in solidarietà alla Palestina». Se l’obbiettivo delle manganellate del giorno prima era anche di spaventare i giovani, questa piazza ha detto che di paura non ne ha. Un messaggio che probabilmente varrà anche per altre mobilitazioni e che non si esaurisce con la solidarietà a Gaza.

C’è un clima di tensione che assomiglia a una strategia

 TOMASO MONTANARI  24 FEBBRAIO 2024

“Profonda preoccupazione e sconcerto”, le parole del rettore di Pisa Riccardo Zucchi interpretano benissimo il sentimento generale di fronte alle cariche della polizia contro un corteo di studenti giovanissimi che chiedeva il cessate il fuoco a Gaza. E il direttore della Normale e la direttrice del Sant’Anna offrono, nel loro comunicato congiunto, l’unico possibile giudizio politico, affermando “che l’uso della violenza sia inammissibile di fronte alla pacifica manifestazione delle idee”. La domanda è: perché? Dopo che cose assai simili sono successe alla Sapienza di Roma e nel campus universitario di Torino, è sempre più difficile credere che si tratti di una casuale catena di errori da parte di singole questure. Se si aggiungono le pessime dichiarazioni di ministri (come Casellati o Santanchè), che invece di condannare la repressione condannano i repressi, il quadro che ne esce è piuttosto fosco. Chi ha interesse a incendiare le piazze italiane con un uso della violenza di Stato palesemente irresponsabile? O il ministro dell’Interno si assume la responsabilità di spezzare questa catena, o sarà legittimo credere che sia proprio il governo a volersi avvantaggiare di un clima di tensione che assomiglia sempre più a una strategia. La matrice ideologica del governo, e il fatto che la presidente del Consiglio si accinga a una campagna referendaria in cui chiederà di fatto pieni poteri per abbattere il sistema di garanzie democratiche della Costituzione antifascista non lasciano per nulla tranquilli. Io davvero non vorrei unire i puntini tra la sproporzionata violenza della polizia in piazza e il progetto politico di Fratelli d’Italia, perché ne verrebbe fuori un’immagine terribile: ma se le cose continuano così, quei puntini si uniranno da soli.

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