MELONI SCEGLIE LA CISL: “LANDINI HA UNA VISIONE TOSSICA DEL CONFLITTO” da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
19026
post-template-default,single,single-post,postid-19026,single-format-standard,cookies-not-set,stockholm-core-2.4.5,select-child-theme-ver-1.0.0,select-theme-ver-9.12,ajax_fade,page_not_loaded,,qode_menu_,wpb-js-composer js-comp-ver-7.9,vc_responsive

MELONI SCEGLIE LA CISL: “LANDINI HA UNA VISIONE TOSSICA DEL CONFLITTO” da IL MANIFESTO

Meloni sceglie la Cisl: «Landini ha una visione tossica del conflitto»

Giorgia Meloni,interviene all’Assemblea Nazionale della Cisl foto Filippo Attili/LaPresse

I federali Standing ovation all’assemblea nazionale della Cisl per la premier che non parla delle condizioni materiali del lavoro e sfrutta la divisione tra i sindacati. E poi fa una requisitoria revisionista e neoliberale della storia: “L’Italia deve lasciarsi alle spalle un Novecento fatto di pregiudizi, antagonismo e furore ideologico”. Palazzo Chigi critica i contratti nazionali accusati di «rigidità» e punta su quelli aziendali e territoriali. Sbarra contro la Cgil: “Le critiche alla legge sulla partecipazione sono grottesche”. Oggi la risposta di Landini da Bologna dove lancia la campagna referendaria contro il Jobs Act e per la cittadinanza

Roberto Ciccarelli  12/02/2025

Un attacco durissimo alla Uil e soprattutto alla Cgil che oggi al Paladozza di Bologna lancia la campagna referendaria contro il Jobs Act e sulla cittadinanza. E un’alleanza con la Cisl fatta per sancire la spaccatura tra i sindacati confederali in nome di una legge sulla «partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa» che è stata peggiorata rispetto alla proposta di legge popolare presentata dal sindacato guidato dal segretario uscente Luigi Sbarra. Da oggi, al suo posto, ci sarà Donatella Fumarola.

LA DOPPIA MOSSA di Giorgia Meloni è stata fatta ieri all’assemblea generale della Cisl all’auditorium della conciliazione a Roma. Da tempo in silenzio sui problemi del governo, a cominciare dal caso Elmasry, il primo intervento pubblico di un certo rilievo è avvenuto sul lavoro e sull’economia. La presidente del Consiglio ha continuato a spacciare la favoletta per cui l’aumento assoluto della quantità dei lavoratori registrato negli ultimi due anni sia una conquista della «Nazione», mentre invece è un problema perché non corrisponde all’aumento della produttività e al recupero della maxi-inflazione degli ultimi due anni da parte dei salari.

VEDIAMO I DATI. Il 29 gennaio scorso l’Inps ha dimostrato che nell’ultimo anno la cassa integrazione è aumentata del 20% (da 41,4 milioni di ore a 507 milioni). A novembre l’Inps ha ricevuto il 4,3% in più di domande di disoccupazione (Naspi e DisColl). Inoltre ci sono i ventidue mesi consecutivi di calo della produzione industriale e la crisi devastante che sta travolgendo il settore dell’automotive. Poi c’è l’aumento record dei prezzi dell’elettricità a gennaio (+48% sulla Spagna, +40% sulla Francia). E c’è anche il record del prezzo del gas naturale che determina quello dell’elettricità nel 90% delle ore. Sono gli elementi che influiscono tanto sulle bollette, e sui salari, quanto sulle imprese che stanno rallentando la produzione. C’è il rischio di altri licenziamenti e cassa integrazione.

MELONI NON HA DETTO nulla su tutto questo. In mancanza di iniziativa politica ieri, davanti alla platea della Cisl che le ha tributato una standing ovation, ha colto l’occasione per riaffermare una linea ideologica basata sulla lotta contro un avversario, cioè Cgil e Uil (e i sindacati di base). Tutti accusati di avere una «visione tossica e conflittuale» dei rapporti con il suo governo. Meloni ha inoltre rilanciato una narrazione per cui il suo governo sarebbe favorevole a «una nuova alleanza tra imprese e lavoratori». A condizione che questi ultimi siano d’accordo con l’autorità.

PER CHI PROTESTA ci sarà invece il liberticida Ddl sicurezza, marchio di questo esecutivo, e il ridimensionamento del diritto di sciopero per i lavoratori che protestano e non hanno risposte. A cominciare da quelli delle ferrovie. In tutti questi casi la «partecipazione» è soggetta all’arbitrio di chi sta al governo. Non è mancata, da parte di Meloni, il classico riferimento al «buon senso»: la categoria gommosa usata dalle estreme destre in tutto il mondo per dire che il potere ha sempre ragione e chi non lo è va punito.

È IN QUESTO QUADRO neo-autoritario che Meloni ha messo il cappello sulla proposta sulla partecipazione della Cisl e ha annunciato che presto sarà votata. Per la presidente del Consiglio il «rinascimento partecipativo» sarà basato sulla «coesione sociale» che rende «moderna una nazione». «Allora – ha aggiunto – io devo dire grazie sinceramente alla Cisl per saper ancora interpretare il confronto nell’accezione più nobile del termine».

MELONI NON HA CITATO per nome Maurizio Landini, ma il segretario della Cgil è stato l’evidente destinatario della sua stilettata contro la «rivolta sociale», citazione di Camus fatta da Landini, mentre il governo ha finanziato il taglio del cuneo fiscale con i soldi delle banche e delle assicurazioni. Non è vero: è solo di un’anticipazione di imposte che lo Stato restituirà tra il 2027 e il 2029.

BISOGNA «LASCIARSI alle spalle il Novecento» ha detto Meloni. Il secolo identificato con il conflitto che però, a suo avviso, è il risultato di «pregiudizi, antagonismo e furore ideologico». Sembra palese in queste parole il conformismo e il revisionismo che ammorba da 40 anni e più e si è incarnato nel berlusconismo in cui Meloni ha risciacquato i panni.

L’ IMPIANTO IDEOLOGICO è stato usato ieri da Meloni per dire che la contrattazione sindacale va legata ai «territori e alla dimensione aziendale», dunque è negata quella «dei contratti nazionali» che hanno «rigidità». È un’immagine delle relazioni del lavoro e di quelle sindacali di tipo nazionalistico e neo-corporativo.

LUIGI SBARRA ha regalato un mazzo di fiori a Meloni al termine del suo intervento e ha attaccato Landini definendo «grottesche» le sue critiche al modo in cui è stata cambiata la proposta della Cisl sulla partecipazione. Nello slancio Sbarra ha rievocato una distinzione tra «sindacati riformisti e antagonisti», ha parlato di una «Cgil populista paralizzata da antagonismo incendiario» «Di Vittorio – ha aggiunto – sarebbe esterrefatto davanti allo spettacolo dei suoi pronipoti». Sbarra ha rivolto un «appello bipartisan» alle forze politiche e parlamentari che dovrebbero sostenere una legge che attua «dopo 77 anni l’articolo 46 della Costituzione». Non sembrano le condizioni migliori per ottenere la risposta auspicata. Il conflitto è astuto e, ogni tanto, riserve sorprese.

Una legge inutile che non servirà ai lavoratori

Lavoro Sebbene abbia il merito di rilanciare il tema della democrazia economica, tutt’altro che irrilevante, la proposta di legge all’esame della camera sulla partecipazione dei lavoratori alla governance delle imprese ha […]

Filippo Belloc, Fabio Landini  12/02/2025

Sebbene abbia il merito di rilanciare il tema della democrazia economica, tutt’altro che irrilevante, la proposta di legge all’esame della camera sulla partecipazione dei lavoratori alla governance delle imprese ha forti limiti.

Attingendo dall’articolo 46 della Costituzione, che riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende nei limiti e modi definiti dalle leggi, la proposta prova a regolamentare quattro tipologie di partecipazione: gestionale, economica, organizzativa e consultiva. Per ciascuno di questi ambiti vengono introdotte forme di partecipazione dei lavoratori: rappresentanti nei consigli di amministrazione o di sorveglianza, strumenti di partecipazione al capitale di rischio, commissioni paritetiche con funzioni propositive in ambito produttivo, forme di consultazione delle rappresentanze sindacali.

Il primo forte limite riguarda l’assenza di un esplicito riferimento a modalità di partecipazione sostanziale. In altri ordinamenti, come quello tedesco al quale la misura avrebbe potuto in parte ispirarsi, il coinvolgimento dei lavoratori va ben oltre uno schema puramente consultivo, prevedendo forme esplicite di cogestione in base alle quali i lavoratori possono porre il veto su alcune importanti decisioni aziendali. Questo è il caso, ad esempio, di decisioni che riguardano uno dei temi cruciali delle trasformazioni in atto sul lato produttivo, come l’introduzione di tecnologie particolarmente intrusive della privacy individuale (ad esempio monitoraggio digitale). In assenza di sostanziali diritti di cogestione, le rappresentanze dei lavoratori rimangono prive di un vero potere decisionale, e i meccanismi di partecipazione gestionale e organizzativa, svuotati di efficacia, si riducono a forme di coinvolgimento meramente formale.

Un secondo aspetto critico riguarda la non obbligatorietà di molte delle disposizioni previste. Alle imprese è riconosciuta la «possibilità» di introdurre nuove forme di partecipazione. Non è introdotto, però, alcun esplicito obbligo. È evidente che un simile disegno non potrà che portare a meccanismi di autoselezione. I dispositivi di rappresentanza saranno adottati più probabilmente proprio nelle imprese per le quali risulteranno essere meno efficaci, vale a dire quelle con una forza lavoro più accondiscendente. Questo rischia di alimentare la subalternità dei lavoratori, invece di riequilibrare i rapporti tra capitale e lavoro, che è ciò che ci si dovrebbe aspettare da una legge sulla cogestione.

Un terzo limite della norma riguarda poi la partecipazione economica. È prevista la possibilità di introdurre piani di partecipazione finanziaria dei lavoratori dipendenti (si parla di azioni, diritti di opzione e altri strumenti finanziari), anche in sostituzione dei premi di risultato. Questo è davvero pericoloso. Perché se i premi di risultato consentono di distribuire ai lavoratori quanto consegue agli incrementi di produttività, quando e solo quando tali incrementi si siano realizzati, altri strumenti finanziari di partecipazione al capitale possono implicare un trasferimento ai lavoratori di eventuali risultati negativi. Con la conseguenza gravissima che, in caso di crisi aziendale, svalutato il valore delle azioni già distribuite, i lavoratori perderanno insieme il posto di lavoro e parte del proprio patrimonio.

Inoltre, come un’estesa letteratura scientifica dimostra, gli strumenti di partecipazione finanziaria funzionano come meccanismi incentivanti e di stimolo alla produttività solo se accompagnati da efficaci strumenti di partecipazione gestionale. Questa proposta di legge, invece, tiene le due sfere separate e non introduce nessun meccanismo che associ alla partecipazione finanziaria necessari e automatici dispositivi di controllo in capo ai lavoratori. Non si stabilisce, ad esempio, che la partecipazione finanziaria possa essere prevista solo nelle imprese che introducano anche strutture di partecipazione gestionale.

Ma questa proposta di legge è problematica soprattutto perché rischia di rappresentare il punto di arrivo di una discussione di ben diversa portata che meriterebbe tutt’altro percorso. Ci sarebbe molto da dire e da fare sul tema della rappresentanza e della contrattazione, anche prevedendo strumenti istituzionali di partecipazione al governo dell’impresa. La proposta di cui si discute si limita a sfiorare la questione, perché di fatto nulla cambi.

***Gli autori sono economisti dell’Università di Siena (Belloc) e dell’Università di Parma (Landini)

No Comments

Post a Comment

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.