MASSACRO A SHUJAYEA E RAFAH “ANNESSA”, COSÌ ISRAELE SVUOTA GAZA da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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MASSACRO A SHUJAYEA E RAFAH “ANNESSA”, COSÌ ISRAELE SVUOTA GAZA da IL MANIFESTO

Massacro a Shujayea e Rafah «annessa»: così Israele svuota Gaza

Palestina Oltre 35 palestinesi uccisi e 80 dispersi nel quartiere colpito ieri dai jet israeliani. I testimoni: corpi a pezzi, interi edifici spariti. Haaretz: Tel Aviv tramuterà la città a sud in una zona cuscinetto, la popolazione concentrata sulla costa

Chiara Cruciati  10/04/2025

Sembravano film in bianco e nero i video girati ieri a Shujayea. Solo scale di grigio nel quartiere di Gaza City, il cemento divelto, le barre di ferro sputate fuori dagli edifici sventrati, la polvere sui volti dei feriti e sui vestiti dei soccorritori.

I colori sono ricomparsi dopo, nei cortili degli ospedali che sono ormai dei gusci vuoti: il blu dei carretti dove sono poggiati i corpi dei vivi e dei morti, il rosso delle divise dei paramedici.

LA SCENA SI RIPETE ogni giorno da 551 giorni: la corsa dei papà con i figlioletti in braccio, le urla delle mamme di fronte al sacco bianco, la gente intorno che tenta una vana consolazione, volti spesso ignoti perché a Gaza è saltato tutto, non esistono più vicini di casa e reti comunitarie, si vive accanto a sfollati che arrivano da altre città, altre comunità. Erano sfollati i 35 uccisi a Shujayea, ammazzati dentro palazzi di cui non resta niente. 80 i dispersi, un massacro.

Le autorità israeliane confermano: nel mirino, dicono, c’era un comandante di Hamas, Haitham al-Sheikh, «responsabile di pianificare ed eseguire attacchi terroristici». Anche le veline dell’esercito sono tutte uguali, senza dettagli e fondate sull’identico assunto: i civili non contano.

I testimoni raccontano di diversi missili caduti sul quartiere e le tende montate sulle macerie precedenti. «Le schegge volavano in ogni direzione, una scena indescrivibile – dice Ayub Salim, 26 anni – La polvere riempiva tutto, non vedevamo niente, sentivamo solo le urla». I morti «erano ridotti in pezzi».

I soccorsi sono quasi impossibili: si scavava con le mani mentre l’aviazione di Tel Aviv continuava a bombardare. I feriti sono stati portati all’Al-Ahli Hospital che ha fatto appello a donare sangue perché non ce n’è.

«I JET ISRAELIANI hanno colpito l’intero blocco residenziale», diceva ieri sopra un mucchio di rovine il giornalista di al-Jazeera Ibrahim al-Khalili, la voce quasi coperta dal ronzio degli aerei e dei droni. La chiama «distruzione senza precedenti»: di stragi simili ce ne sono state tante ma la brutalità della macchina da guerra israeliana dopo la rottura della tregua, il 18 marzo, è paragonabile solo alle settimane successive al 7 ottobre.

Dietro tanta ferocia c’è la messa in pratica del «piano Trump», che segue come un filo rosso la strategia militare e politica di Tel Aviv: rendere Gaza invivibile per costringere la popolazione ad andarsene.

Shujayea ne è un esempio: in questa offensiva come nelle precedenti, è un quartiere martire, tra i più presi di mira. Dall’ottobre 2023 è stato invaso due volte, assediato, privato delle aree agricole a est. I campi e le case sono stati rasi al suolo per creare una «zona cuscinetto» a oriente.

UNA «BUFFER ZONE» come quella che Israele sta pianificando a Rafah, la più grande città del sud della Striscia. A rivelarlo è il quotidiano Haaretz: per la prima volta un’intera città finirebbe sotto il controllo totale di Israele, confiscata e occupata. Un pezzo di terra che rappresenta un quinto di Gaza (75 km quadrati) e la cui pulizia etnica cancellerebbe il confine con l’Egitto, mettendo sotto enorme pressione Hamas.

Rafah, che contava 200mila abitanti prima del genocidio, è oggi una città quasi fantasma. L’assedio subito nelle ultime due settimane, come un buco nero, ha ingoiato e nascosto massacri sconosciuti ma ammessi dai soldati con cui il quotidiano ha parlato: sparare contro chiunque si muove, generare il terrore, distruggere tutto il possibile così da potersi garantire la fuga «volontaria» dei palestinesi dopo l’assedio.

«L’intera area è inadatta alla vita umana – dice una fonte – Non c’è necessità di mandare molti soldati». «Non ci sono civili nella zona – dice un altro ufficiale – Non ci sono innocenti. Perché altrimenti qualcuno camminerebbe a 500 metri dal mio carro armato?».

«NON CI SONO REGOLE – aggiunge un riservista – La distinzione tra civili e terroristi non importa a nessuno. Abbiamo tracciato una linea, oltre la quale tutti erano sospetti. Non era un segno sul terreno, era una linea immaginaria a un chilometro dalla frontiera».

Il riservista ha ammesso che molti di coloro che si avventuravano verso il confine lo facevano per fame: lì ci sono i campi, o quel che ne resta. Molti, dice, «avevano dei sacchi per raccogliere la malva». Gli sparavano comunque, «l’esercito porta avanti la volontà della gente: non ci sono innocenti a Gaza». Testimonianze uguali a quelle raccolte dalla ong Breaking the Silence nel rapporto The Perimeter, dedicato alle pratiche di massacro nelle zone cuscinetto.

Secondo Haaretz, la decisione di tramutare Rafah in una buffer zone priva di palestinesi risalirebbe a febbraio, un mese prima della rottura della tregua che il governo aveva già pianificato.

L’OBIETTIVO: replicare a sud quanto fatto a nord, l’allargamento delle zone di fatto annesse a Israele e il concentramento della popolazione palestinese in spazi minimi, lungo la costa.

Per questo gli attacchi sono più brutali e frequenti: ieri pomeriggio l’esercito israeliano ha parlato di oltre 45 raid in 24 ore. Colpita anche la «zona umanitaria» di al-Mawasi che altro non è che una mega tendopoli: tre uccisi, tra cui una bambina. Il bilancio dal 7 ottobre è di oltre 50.840 palestinesi uccisi, a cui si aggiunge un numero stimato di 15mila dispersi.

«Muro di Ferro» a Nablus. I soldati nel campo di Balata

Cisgiordania L’operazione militare israeliani si espande ancora. Uccisioni, distruzioni di case e arresti, tra cui un capo del gruppo combattente palestinese «Fossa dei leoni»

Michele Giorgio  10/04/2025

«Gli israeliani hanno invaso il nostro campo poco dopo l’una di notte. Hanno circondato il quartiere di Jammasin e l’area della scuola. Arrestano i giovani, cacciano via le famiglie dalle case che poi trasformano in postazioni militari». Osama T. parlava con concitazione ieri al telefono, mentre attorno a lui risuonavano gli spari e i boati dell’ennesima incursione militare nel campo profughi di Balata, alle porte di Nablus. «So che due abitanti sono stati feriti dai soldati, che i soldati sono ovunque, centinaia, in ogni angolo di Balata», aggiungeva, cercando le parole in mezzo al frastuono.

Ciò che si temeva è avvenuto. I comandi israeliani hanno esteso l’operazione «Muro di Ferro» anche a Nablus, dopo Jenin, Tulkarem e Faraa dove continua causando distruzioni e sfollamenti. Decine gli uccisi sono ad oggi. Israele per questo nuovo capitolo della sua offensiva in Cisgiordania impiega tre battaglioni, unità speciali, riservisti, agenti della Guardia di frontiera e dell’intelligence. E circa 300 automezzi, molti dei quali blindati Eitan. Un dispiegamento eccezionale di forze per un altro dei campi profughi, Balata, che potrebbe subire la stessa sorte di quelli di Jenin e Tulkarem perché ritenuto una roccaforte dei combattenti palestinesi contro l’occupazione. Dietro i soldati sono pronti i bulldozer e i mezzi corazzati che nel nord della Cisgiordania hanno ridotto in macerie o danneggiato centinaia di case e distrutto decine di chilometri di strade. I civili di Balata corrono il rischio dello sfollamento come altri 40mila palestinesi negli ultimi due mesi e mezzo.

In queste ore le forze israeliane prendono di mira la «Fossa dei leoni» il gruppo combattente palestinese nato nel 2022 nella città vecchia di Nablus. Ieri, evidentemente grazie alle informazioni passate da collaborazionisti, un’unità speciale israeliana ha individuato e arrestato un ex Mahmoud Bana, un ex comandante del gruppo ferito a una gamba mentre tentava di scappare. Poche ore dopo è stata la volta di Khalil Hanbali, sempre della «Fossa dei leoni», gruppo armato inclusivo e fuori dal controllo delle tradizionali formazioni politiche palestinesi: Fatah, Hamas, Jihad Islami e Fronte Popolare. I suoi militanti – giovani, spesso poco più che ventenni – sono nati e cresciuti sotto occupazione e dicono di aver scelto la via della lotta armata contro le forze di occupazione e i coloni israeliani, rigettando le logiche di fazione e le rivalità politiche palestinesi. La «Fossa dei leoni» ha guadagnato in tre anni il rispetto della popolazione di Nablus per le sue azioni temerarie, come quella del 19enne Ibrahim al-Nabulsi, il «Leone di Nablus», che sfuggì alla cattura per mesi prima di essere ucciso. L’esercito israeliano ora vuole la resa dei conti anche a Nablus dove il mese scorso ha già lanciato una ampia incursione, nel campo di Al Ein, in cui fu ucciso un ragazzo, Adel Al Qatouni.

Non solo nel nord. «Muro di ferro» è una operazione capillare e ampia in tutta la Cisgiordania, voluta dal premier israeliano Benyamin Netanyahu per accontentare i suoi partner di estrema destra delusi dalla decisione, il 19 gennaio, di andare alla tregua a Gaza che poi Tel Aviv ha rotto il 18 marzo tornando all’offensiva. La distruzione delle case è un elemento centrale di «Muro di ferro». Martedì erano state distrutte sette abitazioni. Ieri le forze israeliane hanno fatto saltare in aria l’abitazione di Mujahid Mansour, nel villaggio di Bir Zeit, responsabile di un attacco a un autobus di coloni israeliani il mese scorso. Stessa sorte per la casa del prigioniero Zaid al-Junaidi, a Hebron. A Husan (Betlemme), venti palestinesi sono stati arrestati durante un rastrellamento. In prigione finiscono per motivi politici anche i palestinesi con cittadinanza israeliana. A Umm al-Fahm, città araba della bassa Galilea, la polizia ha arrestato Raja Ighbariya, storico leader del movimento nazionalista di sinistra «Abnaa al-Balad» (Figli della Patria) che vuole l’abolizione del carattere ebraico e sionista di Israele e boicotta la Knesset. L’arresto di Ighbariya, già incarcerato nel 2018 a causa di post su Facebook, non ha destato sorpresa poiché ha più volte attaccato sui social le politiche del governo Netanyahu. C’è una continua estensione del fronte, dove la linea tra i territori occupati e lo Stato di Israele si fa sempre più sottile. «La guerra a Gaza è diventata una guerra contro tutti i palestinesi, anche in Israele», ha scritto Abnaa al-Balad. E contro l’esigua minoranza di israeliani ebrei che chiede la fine dell’attacco a Gaza. Ieri sette manifestanti di Free Jerusalem, tra cui il refusenik Itamar Green, sono stati arrestati durante la manifestazione a Gerusalemme contro i massacri di palestinesi nella Striscia.

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