LEGGE SULL’AUTONOMIA AL SENATO. OPPOSIZIONI PRONTE AL REFERENDUM da IL MANIFESTO e IL FATTO
Autonomia avanti in Senato. Giallorossi pronti al referendum
RIFORME. Fdi accusa i dem: «La riforma del Titolo V l’avete voluta voi». Decaro: «Mai più sbagli». Trenta piazze, ma la gente è poca. Schlein e Conte al sit-in al Pantheon. Boccia: «Anche l’Emilia-Romagna ora è contraria»
Andrea Carugati 17/01/2024
La discussione nell’aula del Senato inizia con toni soft. Con i giallorossi (per una volta davvero uniti) a denunciare i rischi dell’autonomia differenziata per le aree più deboli del Paese, e Fratelli d’Italia impegnata a tentare di dissipare le tante nuvole che aleggiano su un mezzogiorno tutt’altro che entusiasta della riforma Calderoli.
LA DESTRA HA AL SUO ARCO buoni argomenti nel ricordare che le pre-intese con Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna furono fatte dal governo Gentiloni. E, andando a ritroso, che la riforma del Titolo V della Costituzione, di cui questa legge è una applicazione, fu voluta dal centrosinistra nel 2001, governo Amato. I dem, dal canto loro, hanno ragione nel dire che non c’è nulla nella riforma leghista che assicuri che i livelli essenziali delle prestazioni (Lep) saranno effettivamente garantiti da nord a sud. E nel ribadire che questa riforma, nel migliore dei casi, «cristallizzerà le diseguaglianze territoriali» su temi come sanità e scuola, ma potrebbe persino acuirle. Anche perché, ricordano in coro dal centrosinistra, «mancano le risorse». Certo, Fratelli d’Italia accusa il colpo quando il senatore dem Antonio Nicita invita «i partiti che hanno la parola “Italia” nel nome a toglierla se votano a favore». L’ex presidente della Camera Roberto Fico è ancora più netto: «Con il voto in Senato i “patrioti” al governo si rivelano definitivamente i veri traditori della patria». Alberto Balboni di Fdi (presidente della commissione che per 8 mesi ha esaminato il testo) accusa i dem di aver cambiato idea: «Se è vero che gli intelligenti cambiano idea, il Pd ha il quoziente intellettivo più alto», ironizza. Per poi vendersi come un trofeo il sì della Lega a un emendamento di Fdi (che sarà votato oggi) che prevede il trasferimento di risorse sulle singole materia anche alle regioni che non richiederanno l’autonomia. «Sono solo impegni scritti sulla sabbia», la replica delle opposizioni.
MENTRE IL SENATO DISCUTE e vota le pregiudiziali di costituzionalità delle opposizioni (bocciate con 90 voti contro 71), in 28 piazze i comitati «No autonomia» con sindacati e partiti provano ad alzare la temperatura dello scontro. Ma la gente non arriva. A Napoli in piazza Plebiscito ci sono 200 persone (quasi tutti anziani), l’ex sindaco De Magistris è sconsolato: «Il problema è che questa non è diventata una lotta popolare, perché il tema è difficile e viene visto come una cosa lunga». Il costituzionalista Massimo Villone spiega: «Sicuramente c’è un problema generale di costituzionalità, perché questa legge produce un aumento delle diseguaglianze che non sono compatibili con quelli che sono gli assetti costituzionali attuali del Paese».
A ROMA, A PIAZZA del Pantheon va pure peggio: un centinaio i presenti, con un via vai di senatori che raccontano quello che sta succedendo a palazzo Madama. «Venderemo cara la pelle», dice al microfono Francesco Boccia. Che chiama all’appello verso il referendum che sarà la prossima mossa delle opposizioni, dopo che le Camere avranno approvato la riforma. «I numeri ce li hanno, Fdi Fi hanno ceduto alla Lega, è un patto di potere». Sulla stessa line anche Giuseppe Conte, che si fa vedere al Pantheon così come Elly Schlein. «Se non fosse sufficiente la battaglia parlamentare è certo che dovremmo interpellare l’intero Paese», dice il leader M5S. «No allo scambio indecente fra premierato di Meloni e l’autonomia di Calderoli», attacca Nicola Fratoianni. Decine di sindaci che ieri hanno manifestato davanti alle prefetture si dicono pronti alla battaglia referendaria. «L’autonomia rischia di impoverire la parte del paese che è già povera, ed è anche colpa del Pd», dice il sindaco di Bari e presidente Anci Antonio Decaro. «Se non avessimo dato attuazione alla riforma del titolo V per inseguire la Lega, oggi non staremmo parlando del decreto Calderoli». Ora l’obiettivo è «non sbagliare un’altra volta, lo dobbiamo alle nuove generazioni del sud» . Stavolta il Pd pare compatto nel dire no. «Abbiamo fatto il congresso, la linea è chiara: tutto il Pd contrasta questa riforma. Sono qui per questo», dice Schlein alla piazza. «È un progetto che spacca l’Italia, scellerato. L’Autonomia mina l’unità nazionale e nega il diritto alla scuola e alla salute: bisogna unire le forze politiche e sociali dal Nord al Sud».
I MANIFESTANTI CHIEDONO a Boccia di garantire che l’Emilia Romagna di Bonaccini farà marcia indietro sull’autonomia. E lui: «Quelle intese del 2018 sono preistoria, anche Bonaccini è d’accordo: le avevamo già affossate noi nel 2020 col governo Conte. Chiarimmo allora che per parlare di autonomia serviva prima un fondo di perequazione da 80 miliardi per garantire le regioni più deboli». Il dem Alessandro Alfieri sbuffa col, suo capogruppo: «Il nostro avversario è la destra, non siamo in piazza per criticare Bonaccini…». In Aula, Calderoli è l’unico ministro presente. Ascolta immobile le proteste, poi sorride: «Il trenino delle riforme è partito…». Il via libera del Senato dovrebbe arrivare già domani.
L’autonomia e l’ambiente non più uguale per tutti
GAETANO BENEDETTO* 17 GENNAIO 2024
Dopo una lunga e complessa discussione in Commissione Affari costituzionali, il disegno di legge sul cosiddetto “regionalismo differenziato” sta per approdare nell’aula del Senato. Questa proposta di legge è al centro dell’attenzione di coloro che avevano sostenuto in passato la stagione politica del “separatismo” e del “federalismo”, poiché cerca di applicare l’articolo 116 della Costituzione, che prevede la possibilità di accordi tra lo Stato e le Regioni che ne facciano richiesta per stabilire, attraverso legge ordinaria, “forme e condizioni particolari di autonomia” su una serie di materie, tra cui la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.
Le conseguenze di questo provvedimento potrebbero essere estremamente gravi, tra queste la possibile frammentazione delle competenze in materia di tutela ambientale: il Wwf ritiene che la tutela dell’ambiente richieda un approccio omogeneo, al di là dei confini amministrativi, poiché la Natura non riconosce tali divisioni.
Nonostante il testo ribadisca l’obbligatorietà delle Direttive comunitarie e delle norme quadro nazionali e preveda che gli accordi con le Regioni debbano garantire Livelli Essenziali di Prestazione uniformi su tutto il territorio nazionale per l’ambiente e l’ecosistema, il rischio di una frammentazione della tutela rimane estremamente concreto. L’Italia ha dovuto affrontare numerose procedure di infrazione comunitarie relative a questioni ambientali spesso legate all’applicazione delle competenze regionali, molte delle quali ancora pendenti e che, è inutile ricordarlo, portano pesantissime sanzioni economiche. Indubbiamente il regionalismo differenziato indebolirebbe le norme quadro in campo ambientale su cui la Corte costituzionale, attivata delle Regioni, è già stata costretta a ribadire più volte la competenza dello Stato in materia di tutela, per non dire che già l’applicazione di queste norme ha visto significativa differenza da regione a regione, basti pensare ai rifiuti, alle aree protette, alla caccia. Per quando riguarda poi i Livelli Essenziali di Prestazione quelli relativi alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema non sono ancora completamente definiti e per farlo servirebbe un complesso lavoro scientifico ancora neppure avviato.
È quindi evidente che le dichiarazioni formali non bastano a garantire un’omogenea tutela dell’ambiente a cui è strettamente collegata la tutela della salute e il benessere: solo un approccio di tutela uniforme su tutto il territorio nazionale garantisce diritti uguali per tutti indipendentemente dall’appartenenza regionale di ciascuno.
Ma c’è anche un altro aspetto da considerare. L’introduzione della “tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi anche nell’interesse delle generazioni future” tra i principi fondamentali della Costituzione (art. 9). L’articolo 116 sul regionalismo differenziato è stato approvato nel 2001, mentre la modifica dell’articolo 9 è avvenuta nel febbraio del 2022.
Questa riforma avrebbe dovuto dunque almeno differenziare le modalità di riconoscimento sulle diverse materie oggetto di possibile autonomia regionale. In generale si dovrebbe escludere la possibilità di trasferire competenze complessive sulla tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali limitandosi a consentire eventuali forme di autonomia regionale ad ambiti specifici in cui questa possa garantire una tutela più efficace rispetto ai parametri fissati dallo Stato.
Questi aspetti non sono stati adeguatamente considerati e il disegno di legge sul regionalismo sembra dare un’applicazione dell’articolo 116 della Costituzione che va ben oltre il suo stesso spirito. Basti vedere come il provvedimento ridisegna il sistema fiscale ed economico rispetto agli ambiti di autonomia che verrebbero riconosciuti.
Senza entrare nel dibattito politico sul regionalismo differenziato come si può tacere sul rischio di vedere indebolita la tutela ambientale? Evidenziare questo pericolo è un dovere, ancor più oggi dopo la modifica dell’articolo 9 della Costituzione. È peraltro la Corte costituzionale sin dagli anni 80 ad aver definito l’Ambiente quale “elemento determinativo della qualità della vita”, valore “primario e assoluto”, “bene unitario che va salvaguardato nella sua interezza” e “non suscettibile di essere subordinato ad altri interessi”. È bene che il Parlamento lo tenga adeguatamente presente.
*Presidente Centro Studi Wwf Italia
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