LE MILLE VOCI DEL PACIFISMO da IL MANIFESTO e IL FATTO
Le mille voci del pacifismo
LA PACE NON RUSSA. Più di 100 mila sfilano a Roma fino a piazza San Giovanni: «Diversi ma uniti, la fraternità unica arma per battere chi vuole la guerra»Emanuele Giordana, Massimo Franchi 06/11/2022
«Vorrei dire al Viminale che oggi qui ci sono più di cinquanta persone radunate». La battuta la fa Maurizio Landini. Intervento che strappa una risata e chiude la manifestazione per la pace di ieri a Roma. Più di 100mila persone da tutta Italia sono arrivate in treno, autobus, auto in piazza della Repubblica dove la coalizione «Europe for Peace» ha chiamato a raccolta un movimento ampio e persino disomogeneo (tanti i fischi al Pd di Enrico Letta) ma che ha rilanciato la partecipazione come sasso lanciato nello stagno melmoso della rassegnazione della società italiana. Un movimento che si impone chiedendo a gran voce negoziato subito, cessate il fuoco, Conferenza di pace sulla guerra ucraina.
La piazza, a pochi passi dalla stazione, si riempie subito. E verso l’una muove i primi passi con puntualità svizzera. Ma la testa di un corteo lungo chilometri parte solo alle 13.15 quando arriva Gualtieri, il sindaco di Roma, e un funzionario di polizia dà luce verde: «Ora – dice alle pattuglie nel microfono – c’è pure il sindaco e si può partire».
LA TESTA DEL CORTEO, un tripudio di bandiere che rappresentano un po’ tutte le sigle che hanno organizzato la manifestazione, imbocca via Cavour con lentezza. E bisogna aspettare due ore perché gli ultimi di piazza della Repubblica, con uno striscione bianco con la parola pace in molte lingue, possano partire in marcia. La testa intanto è già arrivata a San Giovanni, una piazza molto ampia che fatica a contenere il “popolo della pace”. Un popolo variegato, che ha aderito alla piattaforma di «Europe for Peace» ma non rinuncia però ai suoi cartelli e ai suoi distinguo. Come sulla vicenda delle armi a Kiev, capitolo divisivo e che nella piattaforma non c’è.
MA NON C’È NEMMENO un clima da buttafuori in un corteo che sembra voler ricordare altre tempi. Nessuno fa questione nemmeno a una bandiera del Pci nuova di zecca, ben diversa da un vecchio stendardo del Psi un po’ stazzonato col sole nascente e la falce e il martello.
Il corteo parte sulle note di Bella Ciao e subito si nota la presenza forte della Cgil che marcia nelle prime file e che dimostra lo sforzo organizzativo del sindacato in tutta Italia: metalmeccanici, ferrovieri, pensionati, consigli di fabbrica.
FA STRANO VEDERE il mitico «servizio d’ordine» della Cgil scortare il primo striscione sorretto da boyscout. Seguono le bandiere dell’Unione degli universitari, uno dei rari spezzoni a forte componente giovanile. Poi il Movimento non violento, l’associazione delle Ong italiane, Mir, Libera. Seguono le Acli, presenza forte con molti palloncini e bandiere bianche seguite da quelle blu di Sant’Egidio. In mezzo c’è Banca Etica. Dopo Legambiente arriva il camion dell’Arci, una gigantografia di Guernica circondata da palloni rossi.
SONO GIÀ LE TRE meno un quarto e manca ancora un bel pezzo al resto del corteo ancora bloccato in Piazza Repubblica. Arriva Emergnecy e poi l’Anpi. E in mezzo ci sono le rappresentanze di chi soffre altre guerre: bandiere palestinesi ma anche iraniane. C’è un gruppo di Hazara, comunità perseguitata in Afghanistan, e un gruppo di birmane dell’associazione Italia-Birmania. Tra loro, come sempre, non mancano le suore. La loro presenza dà il senso di una solidarietà richiamata nella piattaforma di Europe for Peace con le vittime di «tutte le guerre». Il premio al miglior striscione va allo slogan pro-immigrati: «La miglior difesa è l’attracco».La polizia resta una presenza discreta. Proprio come se Landini il suo messaggio l’avesse davvero mandato al Viminale. Un gruppetto di agenti a viso scoperto si mette in posa per l’obiettivo di un fotografo del National Geographic. Si dà da fare la polizia locale e il corteo arriva a San Giovanni puntuale per i discorsi di chiusura. Sono una decina e durano solo pochi minuti tranne gli ultimi tre. Al microfono si alternano per tre minuti, scelta oculata anche se risalta una modesta presenza femminile, a parte Lisa Clark (Ican), Raffaella Bolini (Arci), Rossella Miccio (Emergency) e Francesca Giuliani che legge la piattaforma.
Carico di tensione il racconto di Nicolas Marzolino (Vittime civili di guerra-Anvcg), mutilato da un ordigno inesploso. Un grazie alla piazza lo danno Flavio Lotti della Tavola della pace e Francesco Scoppola, capo scout dell’Agesci. Gianpiero Cofano ricorda la presenza costante in questi mesi delle carovane di StopTheWarNow. Giuseppe De Marzo (Forum Numeri Pari) aggiunge che «non c’è pace senza giustizia sociale e diritti» mentre Gianfranco Pagliarulo (Anpi) ricorda la presenza di atomiche a Ghedi e Aviano.
Scalda la piazza don Luigi Ciotti con un intervento nel quale la retorica è usata per lanciare concetti innovativi. «Noi siamo qui perché abbiamo la malattia della pace, per cercarla sono necessari conflitti nella nostra coscienza, una coscienza inquieta di dubbi, non di certezze. Sono i dubbi che aprono le porte al confronto, al dialogo: diffidate di chi ha troppe certezze. Noi dalla politica aspiriamo ad avere meno solidarietà e più giustizia sociale. Occorre pensare la pace per renderla possibile: si costruisce anche dal linguaggio, oggi ha troppa ferocia. I veri costruttori di pace sono i medici, le Ong, i religiosi che portano il vangelo non come credo ma come strumento di dialogo, i giovani che coltivano la terra sottratta alla mafia, le donne dell’Iran». Il fondatore di Libera conclude con due proposta: «Chiediamo una legge per creare il Dipartimento della difesa non violenta e un’opzione fiscale: se sei per la pace puoi destinare il tuo sei per mille a chi lavora per la pace».SUL PALCO C’È UNA STRANA COPPIA: fianco a fianco ci sono il fondatore di Sant’Egidio Andrea Riccardi con Maurizio Landini, l’unico con cravatta. Anni fa si sarebbe detto: il diavolo e l’acqua santa.
Andrea Riccardi prende il testimone stupito dalla piazza che ha davanti: «La pace deve essere possibile per l’Ucraina violentata dalla Russia. Ma la pace è stata archiviata da troppo tempo forse perché noi europei l’abbiamo data per scontata, forse perché è scomparsa la generazione che ha subito la Seconda guerra mondiale e la Shoah. Sento parlare di “pace come tradimento”, invece si tradisce la pace se la si considera in questo modo. La pace è impura, come ha detto il presidente Macron, perché nasce dalla guerra che è la cosa più sporca. Quella in Siria, che ancora continua, è stata la prova generale di quella ucraina. Oggi le guerre cominciano e mai finiscono e così i popoli si spengono: non lasciamo che il popolo ucraino si spenga». Lancia una proposta: «Apriamo corridoi per chi vuole abbandonare la Russia». Conclude il suo intervento rilanciando l’appello del papa per una «vera trattativa»: «La pace non è debolezza, la pace è di tutti: siate audaci».
IL COMIZIO FINALE tocca a Maurizio Landini, l’uomo che più ha mediato per allargare al massimo la manifestazione. «Siamo più di 50 ma non siamo pericolosi», scherza pensando al decreto Rave del governo ma poi il segretario della Cgil che parla «a nome del movimento sindacale» diventa subito serio: «Noi non vogliamo rassegnarci alla guerra, il mondo non può vivere senza la pace: non è retorica avendo alle spalle il ’900. Ci sono sommergibili nucleari in giro per il Mediterraneo, l’uomo sta mettendo a rischio la sua stessa esistenza». Per Landini «ora è il tempo della politica».
«La bellezza di questa piazza è l’unità, l’aver messo assieme tante diversità, questa è la piazza della fraternità». Poi arriva l’attacco a Calenda e Renzi: «Non hanno capito assolutamente nulla, non siamo equidistanti, siamo contro chi ha voluto questa guerra e difendiamo il popolo ucraino. Dopo 8 mesi se non riparte la diplomazia rischiamo una guerra nucleare». Poi torna sindacalista: «Il mondo del lavoro sta pagando sulla sua pelle questa guerra: aumentano le diseguaglianze e i poveri. Per questo non siamo utopisti ma, nel chiedere la pace, i più realisti». Lancia richieste precise: «Ratifica del trattato dell’Onu per eliminare le armi nucleari e gli investimenti in armamenti». Poi rilancia guardando al futuro: «Dobbiamo rivolgerci alle altre capitali per una manifestazione internazionale per la pace». E alla piazza dice: «Non so come chiamarvi: compagni, amici, fratelli. Non ci fermeremo finché non ci sarà la pace e il popolo ucraino potrà vivere in pace sulla propria terra».
Eravamo più di 50 pacifisti «non pericolosi»
UN GIORNO DI SVOLTA. Il popolo che è sceso ieri in piazza dice che la pace non è facile, ma dovrebbe essere un obbiettivo vitale e condiviso. Allora bisogna cominciare a delineare la via per raggiungerlo
Luciana Castellina 06/11/2022
«Beh,siamo più di 50, ma non siamo pericolosi». Così, ironico, Landini ha cominciato il suo discorso che ha concluso la manifestazione per la pace di Piazza San Giovanni a Roma ieri. Poteva essere più che ironico nei confronti di Giorgia Meloni – ma anche di tutti quelli che avevano prevista una piazza semivuota, perché «gli amici di Putin sono una assoluta minoranza» – vista la gigantesca folla che è arrivata, molti solo quasi alla fine per via delle dimensioni del corteo. Ai tempi del vecchio Pci il nostro metro per giudicare i raduni in quella piazza è sempre stata la statua di San Francesco che sorge dalla parte opposta della Chiesa, calcolando di quanto la folla esbordava il santo dirimpetto a Giovanni. Ieri straripava, occupando anche le strade laterali, impossibile vedere tutti quanti.
IL POPOLO DELLA PACE. Non solo tante organizzazioni (600) ma anche tutte le persone dell’ampia area di sinistra che da tempo raramente rispondeva alle mobilitazioni. Riconoscerle è stata una gioia. C’erano anche Conte e Letta. Non so cosa abbia pensato il segretario del Pd a trovarsi là in mezzo, sono contenta che sia venuto (e non sia andato a quella che a Milano Calenda e Renzi hanno promosso in polemica con quella di Roma, insieme a Letizia Moratti), ma spero che questo bagno di folla lo aiuti a capire quanto, con garbo, ha suggerito Raffaella Bolini, che ha parlato per l’Arci: «Per stabilire la pace non è utile partecipare alla guerra». Aspettare che le truppe si ritirino, e solo poi cominciare a parlare di pace, rischia di rendere così lunga l’attesa che potremmo nel frattempo essere tutti morti.TUTTI DISCIPLINATI: nessuno con le bandiere di partito, come da consegna. Ma tantissimi striscioni che indicavano la società civile; e poi il rosso dominante per i vessilli della Cgil, una presenza davvero massiccia per un impegno straordinario che la Confederazione ha posto in questa battaglia.
Il fatto più nuovo, e di grande interesse, è stata però la presenza cattolica eccezionale che si è riflessa nei discorsi dal palco, che hanno pesato. Oltre quello di Ricciardi, presidente della Comunità di Sant’Egidio – che con tono polemico ha invitato Zelenski ad accettare una seria trattativa di pace, anziché rifiutare ogni incontro. E quello di don Luigi Ciotti, che senza mezze parole ha affrontato le «coscienze pacificate» che non si indignano per l’attuale sistema economico che produce disuguaglianze e ingiustizie. Don Ciotti ha definito la grande finanza, le grandi ricchezze, le multinazionali «terre meno visibili», «subdole», mai oggetto di critica, evidente allusione al peggio del fronte che irride al pacifismo: la grande commozione per l’Ucraina aggredita che però non ha riscontro in altrettanta preoccupazione per tutto quanto di male viene prodotto da questo sistema.
UN ATTACCO SACROSANTO perché ogni giorno più pesante si fa l’arroganza di questo nostro Occidente che pensa di poter permettere qualsiasi cosa che invece indigna se la fa qualcun altro. Non penso solo a quanto viene fatto ai danni della Palestina o dei curdi, all’Iraq o all’Afghanistan, ma a quanto si continua a fare silenziosamente pur continuando ad affermare che si vuole la pace. È recente la notizia che verrà accelerata la produzione su larga scala di B61-12, nuovi congegni nucleari sì da poterli avere a disposizione già a dicembre prossimo, anche nelle basi italiane.
Dove del resto già ci sono gli F-16 C/D (ad Aviano e a Ghedi), che verranno ora dislocati anche in ogni parte dell’Europa, naturalmente intorno alla Russia. Nel 2021 è stato firmato da 50 paesi l’accordo sulla denuclearizzazione militare proposto dall’Onu. L’Italia, in quanto membro della Nato, naturalmente non l’ha ratificato. Chi dice che chiedere trattative è inutile perché Putin non le accetta, si rende conto che ratificare quell’accordo, rifiutare la presenza di armi nucleari nelle basi italiane, potrebbe aiutare a convincerlo? Perché allora non danno battaglia a questo scopo, aggiungendosi a quanti vogliono condurre una battaglia almeno sulla cosa più pericolosa di questa guerra, il rischio che lo scontro diventi mondiale e nucleare? Possibile che in otto mesi non sia emersa una, dico una, proposta di pace su cui cominciare a trattare con la Russia da parte dell’Unione Europea?
LA PACE NON È FACILE, ma dovrebbe essere un obbiettivo condiviso; e se è un obbiettivo bisogna cominciare col delineare e percorrere la strada che può permettere di raggiungerlo. Occorre preparare una mediazione possibile da proporre, che per prima cosa riguarda la sorte dei territori ucraini dove una larga parte della popolazione ha chiesto di ottenere le stesse condizioni di autonomia di tante altre regioni speciali europee.
È DIFFICILE, LO SAPPIAMO, ed è possibile che sul merito del compromesso necessario non saremo tutti d’accordo, ma quelli che si rifiutano persino di chiedere una trattative potrebbero almeno cominciare a fare proposte e a iniziare qualche battaglia contro quanto si fa per aggravare la guerra? Giustamente Landini concludendo ha insistito proprio su questo, aggiungendo il sacrosanto tema della riduzione della produzione di armi che continua ad avere, adesso con l’aiuto straordinario del ministro Crosetto, l’Italia come una protagonista di punta.
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