LE IPOCRISIE, da QUALUNQUE PARTE PROVENGANO, NON GIOVANO alla PACE da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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LE IPOCRISIE, da QUALUNQUE PARTE PROVENGANO, NON GIOVANO alla PACE da IL MANIFESTO

A Erdogan via libera al massacro dei curdi

DOPPIO STANDARD. Il Sultano della Nato ha stabilmente insediato le truppe e occupato il territorio di altri stati senza che nessuno osi alzare neppure il sopracciglio. È lui a decidere, con la nostra complicità, chi siamo noi, che cosa è davvero l’Alleanza atlantica e soprattutto anche il destino dei curdi, siriani e iracheni

Alberto Negri  30/06/2022

I curdi iracheni erano intanto accorsi a difendere le loro postazioni. mentre dall’avanzata dell’Isis, ai curdi turchi, in conflitto perenne con Ankara, erano i jihadisti, sostenuti dai servizi turchi, a tagliare la gola. Allora i curdi erano i nostri eroi, acclamati come i difensori contro la barbarie, e ora, per far entrare Svezia e Finlandia nella Nato, abbiamo svenduto a Erdogan la loro sorte e i tanto conclamati valori occidentali. Perché di questo si tratta leggendo il memorandum firmato dai ministri degli esteri di Turchia, Svezia e Finlandia. Al punto 8 del documento si prevede, «sulla base delle informazioni fornite dalla Turchia», l’estradizione di membri del Pkk, come presunti terroristi, ma anche degli appartenenti alle organizzazioni affiliate come l’Ypg curdo-siriano, le milizie che proteggono l’esistenza del Rojava, un esperimento politico laico, multi-etnico e multi-religioso che dovremmo preservare.

In tutto questo non si fa minimamente cenno al fatto che la Turchia occupa parti del territorio siriano e iracheno, che bombarda sistematicamente non solo le milizie armate ma anche i civili, curdi, siriani, iracheni, compresi gli yezidi, proprio coloro che soffrirono di più delle stragi e degli stupri dei jihadisti. Finlandia e Svezia toglieranno anche il bando alla vendita di armi ad Ankara. In poche parole si tratta di un via libera su tutta la linea a Erdogan per fare quello che vuole nel nord della Siria, in Iraq e, ovviamente, anche nel Kurdistan turco dove in anni passati sono stati rase al suolo città come Cizre. Consiglio il documentario “Kurdbûn – Essere curdo”, diretto dal regista curdo-iraniano Fariborz Kamkari, da mesi nelle sale italiane. Si comprende che tra un Putin e un Erdogan non passa poi molta differenza.

In compenso Erdogan per bombardare i curdi usa i nostri elicotteri Agusta (Leonardo) e ricatta l’Europa con i suoi tre milioni e mezzo di profughi siriani, per cui l’Unione europea versa 6 miliardi di euro perché li tenga ben lontani da noi. Si chiama, per i valori occidentali, «esternalizzazione delle frontiere» e degli esseri umani. Il Sultano della Nato ha stabilmente insediato le truppe e occupato il territorio di altri stati senza che nessuno osi alzare neppure il sopracciglio. È lui a decidere, con la nostra complicità, chi siamo noi, che cosa è davvero l’Alleanza atlantica e soprattutto anche il destino dei curdi, siriani e iracheni, da scambiare sul tavolo del negoziato per l’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato.

Fanno sorridere amaramente alcuni titoli dei giornali italiani del genere: «Erdogan cede alle richieste degli alleati». Casomai è il contrario. E se ne accorgerà presto anche il presidente del consiglio Draghi atteso in Turchia per uno scottante bilaterale. Noi, per quanto ci riguarda, abbiamo già ceduto alle richieste turche: chiediamo il permesso ad Ankara anche per esercitare con le navi dell’Eni il diritto acquisito di trivellare nella zona greca di Cipro, cosa che naturalmente ha fatto infuriare gli ellenici. Figuriamoci quando ci toccherà discutere sulla zona economica esclusiva tracciata tra Turchia e Libia da Erdogan nel 2019 che allora salvò il governo di Tripoli dalle truppe del generale Haftar alle porte della capitale.

Ma l’Italia non ha molte carte da giocare se non chiedere al Sultano di aiutarci a mettere un po’ d’ordine tra le fazioni comandate anche dai turchi e a portare a casa qualche barile di petrolio e di gas libico, visto che all’ex colonia ci lega un gasdotto con una portata di 30 miliardi metri cubi, che sarebbero più di un terzo dei nostri consumi annuali. L’Italia, dalla caduta di Gheddafi nel 2011, è diventata in questi anni il Paese più esangue del Mediterraneo: va bene ricostruire l’Ucraina ma forse sarebbe più di nostra competenza avviare una sia pure timida azione di governo e diplomatica per una dignitosa ricollocazione del Paese dove è sempre stato geograficamente.

In realtà stiamo dando al massacratore di curdi Erdogan tutte le soddisfazioni che vuole. Mentre il Sultano si potrà vantare di avere portato Svezia e Finlandia nella Nato – rendendole ai suoi occhi alleati «ragionevoli» – allo stesso tempo è in trattative con Washington per una nuova partita di caccia F-16 e forse gli Stati uniti gli sbloccheranno pure gli F-35, se rinuncia ad altre forniture di batterie antimissile S-400 di Mosca. E così Erdogan, contando sull’acquiescenza nostra e di Washington, ci dà dentro con la «sua» guerra ai curdi. Che noi naturalmente, da meschini alchimisti del doppio standard, facciamo finta di non vedere.

Disarmiamo anche gli ipocriti del «pacifismo»

Pino Ippolito Armino  30/06/2022

L’ultimo rapporto del Sipri (Stockholm International Peace Research Institute) sul commercio internazionale delle armi, datato marzo 2022, indica che il nostro Paese, nel periodo 2017-2021, è stato il sesto esportatore al mondo dopo Usa, Russia, Francia, Cina e Germania, occupando una quota del 3,1% di quel lucroso mercato globale. I due principali clienti dell’Italia sono stati l’Egitto e la Turchia che da soli hanno assorbito quasi la metà del nostro export. Come usino le armi che noi produciamo e vendiamo loro non è un mistero.

Il paese del Maghreb, dopo il fallimento delle primavere arabe, è governato dal regime di Abdel Fattah al-Sisi, dimostratosi ancora più autoritario di quello instaurato da Hosni Mubarak, mentre il sultano turco Erdogan si è distinto, come purtroppo sappiamo, nel massacro dei curdi ed è stato più volte accusato di crimini di guerra e contro l’umanità.
In questi anni non è mancato chi si è genuinamente opposto a questo commercio di morte ma tra questi non risulta, ad esempio, l’ineffabile leader della Lega. Matteo Salvini ha invece scoperto ora, grazie al conflitto in Ucraina, il valore della pace.

Considerando i suoi rapporti con Russia Unita, il partito di Vladimir Putin, potremmo essere tentati di dare una spiegazione assai meno nobile della sua recente conversione al pacifismo. Lo stesso pensiamo di chi oggi condanna l’invasione russa dell’Ucraina ma non ha trovato altrettante parole di sdegno per il massacro che in Iraq nel 2003 hanno posto in essere i “volenterosi” sotto la guida degli Usa, giunti persino a costruire false prove sulla presenza di armi di distruzione di massa per ottenere il sostanziale via libera da parte della comunità internazionale.

Lo stesso Consiglio di Sicurezza dell’Onu con la risoluzione 1511 del 16 ottobre 2003 ha riconosciuto e ratificato la situazione di fatto esistente in Iraq dopo l’aggressione anglo-americana, sollecitando gli Stati a contribuire alla formazione di una forza multinazionale per mantenere la sicurezza e la stabilità sino all’insediamento di un legittimo governo iracheno. La risoluzione fu votata all’unanimità. Russia compresa dunque, anche se il governo di Putin, in una dichiarazione congiunta con Francia e Germania, rimarcò l’impegno verso il ripristino della sovranità irachena e la necessità di scongiurare un ulteriore coinvolgimento militare. La stessa Russia dello stesso Putin che oggi pretende di giustificare la sua “operazione speciale” in Ucraina con quella altrettanto speciale dei governi occidentali in Iraq o altrove, come se un crimine potesse trovare giustificazione nei crimini commessi dagli altri. Questa ipocrisia non riguarda solo i governanti e i governi. Anche noi governati non ne siamo immuni.

I sondaggi dicono che gli italiani sono i meno favorevoli tra gli europei all’invio di armi in Ucraina e che nel nostro Paese sono anzi più numerosi i contrari. Sarebbe davvero ingenuo scambiare questa posizione come integralmente pacifista.
Molti di coloro i quali si dichiarano contrari non lo fanno per salvare vite umane ma per non essere disturbati nella vita di sempre senza il fastidioso pensiero della guerra. E soprattutto perché deplorano l’aumento del prezzo del gas e le ripercussioni sull’economia italiana.

Non so infatti quanti, fra di noi, si sono misurati fino in fondo con quello che Luigi Ferrajoli ha definito un autentico dilemma morale, fra la necessità di impedire nuove stragi di civili e di militari e quella di consentire agli ucraini di difendersi dagli aggressori. Anche Noam Chomsky, in un’intervista al Corriere della Sera, ha espresso dubbi sull’opportunità di inviare armi in Ucraina, sostenendo che la scelta dovrebbe essere presa “in base al fatto che possa aiutare o danneggiare le vittime ucraine”.
Ogni posizione intellettualmente onesta è benvenuta ma le ragioni della pace e del disarmo non possono giovarsi delle ipocrisie da qualunque parte esse provengano.

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